sabato 17 marzo 2012

Un passo indietro

Scrive Michele Serra:

I miei critici (tra i tanti ringrazio, per l'intelligenza dei rilievi che mi muovono, Luca Sofri e i blogger Fabio Chiusi e Davide Bennato) negano che il medium sia il messaggio, fanno notare che la tecnologia non determina alcunché, ma suggerisce occasioni e apre possibilità e mi accusano di passatismo. Accetto le critiche: è vero che gli anni passano per tutti, anche per me, ed è fortemente possibile che io esasperi i difetti di Twitter (superficialità, ansia di visibilità) e ne sottovaluti i vantaggi (sintesi, velocità, accessibilità, simultaneità del dibattito). Le accetto, le critiche. Ma in cambio mi piacerebbe molto che questa breve lite mediatica servisse anche a chi twitta. Servisse a capire che il rispetto delle parole, anche sui nuovi media, è almeno altrettanto importante dell'urgenza-obbligo-smania di "comunicare". Per comunicare basta scrivere "io esisto". Per scrivere, spesso è necessario dimenticarlo.


"Io", diceva Gadda, è il più infame dei pronomi. E per comunicare si può anche scrivere "vaffanculo".


Ma mia figlia, soprannominata "Schopenhauer", afferma che per comunicare, casomai, basta dire "penso". Cosa che difetta, oggi.

TWITTERONE PER MICHELE SERRA











Questa "l'amaca" pubblicata due giorni fa su "Repubblica" da Michele Serra. Me l'ero persa. Ha provocato indignazione tra gli utenti twitter, ossia, ha colpito nel segno. Provocazione era, e ha provocato.
Vediamo di rimediare, nell'ambito delle mie possibilità, ovviamente.
Intanto, ricostruiamo la scena: Michele Serra e un suo amico stavano di fronte alla TV. Seguivano un programma in cui era importante il conduttore e il suo amico twittava alle battute del tizio. A casa di chi? Mi pare di capire, di Serra. Partiamo maluccio.

Io non ho la TV. Neanche la mia compagna l'aveva quando ci siamo conosciuti. Non è stato un problema farne a meno. Le nostre due bambine non l'hanno mai chiesta. Qualche parente ha insistito all'inizio, poi ha capito. Perché la TV non solo inquina la mente, ma decide l'arredamento di una casa. Fateci caso: nella stanza della televisione, il mobilio gira intorno al francobollo. Se lo si toglie, sicuramente l'arredamento ne guadagna. Partire con un "ero davanti alla TV", è un partire con il piede sbagliato. Ma andiamo avanti. L'amico. Il povero Lucio Dalla all'amico scriveva. Serra ci guarda insieme un programma televisivo. Majakovskij, durante la presentazione di un suo libro, si sentì porre questa domanda dal pubblico:"Ho letto con un mio amico i vostri versi e non ci abbiamo capito niente". Majak rispose:"La prossima volta si scelga meglio l'amico".
Potrebbe bastare, Michelone? Potrebbe, ma Serra non mi va giù e insisto. Lessico: "gragnola di commenti" che giudica violenti. Prendo da WP: 

"La gragnola (o gragnuola) è un tipo di precipitazione  atmosferica solida costituita da particelle di ghiaccio traslucido che cadono da una nube. La gragnola raggiunge i 5 mm di diametro. Di solito la gragnola non è facilmente comprimibile e quando cade al suolo rimbalza con un suono caratteristico all'impatto. Essa è costituita da un nucleo opaco di cristalli di neve (simile alla neve tonda), completamente o parzialmente circondata da uno strato trasparente di ghiaccio e gli interstizi sono riempiti di ghiaccio o ghiaccio e acqua liquida; solo il rivestimento più esterno può essere gelato. La gragnola ha una densità piuttosto alta, tra 0,8 g cm−3 e 0,99 g cm−3 e cade solo durante rovesci o temporali.

Gragnola, parola non neutrale, che esprime una metafora di una certa violenza. Rimbalza!

Altra parola: "cozzo". E' un comune della provincia di Pavia. Meglio "cozzare": fare a testare, battere con le corna, battere, urtare con violenza. Siamo sempre alla gragnola. 

La frase migliore sarebbe stata: "nessuna possibilità che dal cozzare di..."

"Coglione": tutti conoscono il significato. Anche Serra. Probabilmente qualcuno gliel'avrà anche detto una volta nella vita.

"linguaggio totalmente binario". Totalmente è pleonastico. Sul linguaggio binario si basa il funzionamento del computer. Non piace a Serra, che probabilmente usa una Lettera 35. 

"Medium" al posto di "mezzo di comunicazione". Parola di facile fraintendimento e comunque di accezione negativa: i medium sono gente strana, in genere ciarlatani. 

"Cicaleccio": Il cicalare continuato di più persone insieme. ~ chiacchiericcio. Sinonimi: chiacchiericcio, parlottio.  

Serra spera che la cultura si impari altrove. Mi pare che in Italia esista un sistema scolastico che, è vero, stanno in tutti i modi provando a distruggere, ma ancora regge. 

"Dialettica": qui entriamo in un campo che non mi appartiene, la filosofia. Lascio agli esperti e agli studiosi la prognosi.

Se "dovessi twittare il concetto", conclude sardonico, direi: "Twitter mi fa schifo".

Schifo. Poteva dire "Twitter non mi piace". O semplicemente: "Non uso twitter, quindi non posso supporre di twittare nulla". E, con un po' più di coraggio, "mi fanno schifo quelli che twittano".

Conclusioni: L'amaca di Serra è aggressiva, costruita scientemente in modo da suscitare polemica. Una provocazione. Già solo per questo, si dovrebbe guardare e passare oltre.

In secondo luogo, un conservatore di lungo corso ex Pci ed ex tante altre cose, non può, ripeto, non può approvare un mezzo di comunicazione che svincola dall'immanenza del giornalismo ufficiale: la comunicazione non passa più per le pagine di Repubblica o del Corriere. Usa altri canali, fondati proprio sul sistema binario (tecnicamente!). E' incontrollabile e incensurabile. In una parola: è libera.

Che Serra Twitti e no, non è un problema. Non ce ne può di meno. 

Twitter esiste e non lo puoi cancellare. Lunga vita a Twitter. 









REPUBBLICA E LO SCANDALO LOOCKHEED

Il primo numero di Repubblica
Il 14 gennaio 1976 usciva il primo numero di "Repubblica", un giornale destinato a diventare il secondo quotidiano italiano e in qualche modo una sorta di partito politico di informazione militante.
Il 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Moro, "Repubblica" era uscita con un titolo nel quale si indicava proprio in Aldo Moro "Antelope Cobbler", il misterioso uomo politico italiano implicato nello scandalo Loockheed, ossia le tangenti che l'azienda americana ammise di aver pagato a politici e militari stranieri per vendere
i propri aerei a Stati esteri.
"Repubblica" sostituì in fretta il giornale in edicola con l'edizione straordinaria sul rapimento dello statista democristiano.

ALDO MORO (2)

MORO CON LA FIGLIA AGNESE
Una delle maggiori qualità politiche di Moro, che faceva di lui un caso unico tra i democristiani, era quella di saper trovare soluzioni politiche a problemi contingenti riuscendo a sfruttare gli elementi a disposizione in modo produttivo per il proprio partito e, dal suo punto di vista, per il Paese. In un articolo pubblicato sul «Giorno» alla fine del 1976, egli aveva posto con chiarezza i punti della questione rispetto al Pci: non si poteva andare oltre la formula della «non sfiducia» perché, in caso contrario, si sarebbero ignorati «dati interni e internazionali che non possono essere trascurati»; nello stesso tempo il Paese non poteva essere spaccato frontalmente «sulla base di pregiudiziali alle quali l’opinione pubblica non riserva la stessa decisiva attenzione di una volta». La terza fase in quel momento non appariva ancora delineata, ma non era possibile considerare il presente come un punto di arrivo, bensì come «una preparazione scrupolosa e responsabile per il domani». 
Due anni più tardi le cose erano ancora mutate e i comunisti chiedevano di entrare a far parte a tutti gli effetti di un governo di emergenza. Per risolvere la crisi del gennaio 1978 Moro aveva inizialmente prospettato un accordo di ampio respiro con il Pci e immaginato il coinvolgimento dei gruppi parlamentari e del consiglio nazionale del proprio partito per un dibattito generale e pubblico. Per avere con sé tutto il partito, che su questa linea sembrava non seguirlo, fu però costretto a ripiegare su una politica più misurata, incentrata su un accordo programmatico-parlamentare con i comunisti, che si collocavano dentro la maggioranza e dunque più avanti rispetto al governo della «non sfiducia», ma ancora fuori dall’esecutivo. Nel corso del suo discorso ai gruppi parlamentari del 28 febbraio 1978 Moro ricostruiva le fasi che dal 1976 avevano portato il Paese a tali condizioni. Moro parte dai dati oggettivi («le cose che [sono] dinanzi a noi») ed è esclusivamente sui fatti che egli vuole ragionare; la situazione era nuova, inconsueta e non permetteva di essere risolta attraverso gli strumenti del passato; essa, inoltre, non era causata da un vizio o da una causa non individuabile, ma nasceva direttamente dalle elezioni politiche del 1976, peraltro venute dopo un importante referendum che aveva «sconvolto la geografia politica italiana», dopo regionali che avevano visto una grande affermazione comunista e dopo la dichiarazione del Psi di ritenere chiusa l’esperienza del centrosinistra. Se era vero che la Dc era uscita vincitrice da quel confronto elettorale, era altresì indubbio che i vincitori erano stati due, in quanto anche il Pci aveva ottenuto un grande successo «e due vincitori in una sola battaglia creano certamente dei problemi». Infatti, a causa della sconfitta dei partiti laici e del Psi (peraltro contrario, come detto, all’alleanza con la Dc) la forza politica che per trent’anni era stata capace di governare o da sola, o aggregando intorno a sé maggioranze di un certo tipo, non era più in grado di fare lo stesso. Si poteva rispondere con nuove elezioni, ma per rispetto del Paese il partito era stato unito almeno nell’evitare questa soluzione. Restava, dunque, la ricerca di vie diverse, praticabili grazie a una novità rispetto al panorama degli ultimi trent’anni, ossia il fatto che non solo i partiti in passato alla guida del Paese, ma anche il Pci aveva manifestato un atteggiamento non ostile nei confronti della Dc. Si poté, allora, lavorare all’interno di uno spazio che Moro chiamò «quadro del confronto», ossia del dialogo tra due forze antitetiche, alternative, le quali tuttavia potevano presentare alcuni punti di convergenza. Era da questo quadro di confronto che nacque la formula della «non sfiducia». Tale situazione, che andava bene nel 1976, nel 1978 si era però aggravata in quanto il Paese non era uscito dalla crisi. A quel punto si rendeva dunque necessario per il partito di Moro porre con chiarezza il limite invalicabile oltre il quale la Dc non poteva andare – e questo fu individuato nella diretta partecipazione dei comunisti al governo – ma all’interno del quale si potevano e dovevano percorrere tutte le strade. Perciò, pragmaticamente, si doveva guardare alla situazione reale e alle alternative, ovvero, chiedersi quali fossero i rischi concreti. E il pericolo principale che Moro individua era quello di «passare la mano», ossia di vedere al governo un’alleanza che escludesse la Dc. Egli non sapeva quanto considerare probabile una simile evenienza, ma «mettiamola fra le cose problematiche, tra le tante cose problematiche che debbono essere presenti alla nostra coscienza. Potrebbe non essere vero, ma potrebbe anche esserlo» qualora si fosse andati alle elezioni. Moro, dunque, pone i parlamentari del suo partito di fronte a una reale alternativa alla trattativa politica, che egli chiama «atto di testimonianza» e che definisce importante (le elezioni), ma allo stesso tempo respinge; infatti questa «testimonianza» non solo non era chiara negli esiti, ma non rappresentava neppure (fortunatamente) l’unica via. Se la Dc, per percorrere un’alternativa alla «testimonianza» avesse dovuto rinunciare ai propri ideali e valori, in quel caso Moro sarebbe stato pronto anche per una «ultima elezione». Ma se tale alternativa che si prospettava permetteva al partito di restare sostanzialmente entro i margini della propria linea, egli si dichiarava più cauto. Dunque, non era possibile una piena solidarietà con il Pci né il suo coin- volgimento diretto in un governo di emergenza, e al proposito Moro affermava: «Sappiamo che vi è in gioco un delicatissimo tema di politica estera che sfioro appena. Vi sono posizioni che non sono solo le nostre, ma riguardano anche altri Paesi, altre opinioni pubbliche, con le quali siamo collegati». Moro, dunque, era ovviamente ben cosciente dei veti, non solo statunitensi, ma di tutta l’alleanza atlantica, a un governo con i comunisti per ragioni con le quali, tra l’altro, afferma di concordare, ma non sostiene la stessa cosa per un loro ingresso nella maggioranza. Ed erano proprio le condizioni del Paese, la sua crisi sociale, economica e morale, a suggerire in quel momento la necessità di interrompere il meccanismo della maggioranza e dell’opposizione, in quanto la logica dell’opposizione avrebbe bloccato qualsiasi iniziativa di governo. L’emergenza indicava «una sorta di tregua» perché «oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità», da mettere in atto nell’unità del partito, che costituiva uno dei valori fonda- mentali ai quali Moro si era richiamato nel suo discorso: «camminiamo insieme» concludeva «perché l’avvenire appartiene in larga misura ancora a noi».  (segue)

giovedì 15 marzo 2012

ALDO MORO


Il 16 marzo 1978 l’allora presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, veniva rapito a Roma dalle Brigate Rosse. L’uomo, il politico Moro, aveva rappresentato fino a quel momento uno dei cardini del potere democristiano nel paese, grazie alla sua grande capacità di mediazione e di interpretazione della fase politica contingente. Pronto a cogliere il significato dei cambiamenti nel momento in cui questi si realizzavano, Moro, mantenendo sempre centrale la posizione del suo partito, aveva la capacità di delineare una tattica politica conseguente, che nel corso degli anni si venne a precisare come strategia complessiva per un rinnovamento politico dell’Italia. Non si trattava di passaggi meccanici, ma di una serie di riforme con tempi lunghi, che a partire dalla fine degli anni Cinquanta avrebbero dovuto portare alla massima partecipazione della società civile al governo del Paese. L’allargamento dell’area di governo al Psi nei primi anni Sessanta costituì il primo passo; l’esaurimento di quella politica e l’avanzata elettorale dei comunisti aprirono una nuova fase, che avrebbe potuto concludersi o con l’ingresso dei comunisti nell’esecutivo attraverso forme adeguate (ad esempio come ministri tecnici d’area) o con il loro ritorno all’opposizione, dopo la fase della solidarietà nazionale. A prescindere dai possibili veti degli Usa e degli altri Paesi della Nato, comunque, gli ostacoli interni a un ingresso del Pci nel governo erano molti e non lasciavano prevedere un simile esito con facilità; anzitutto la Democrazia cristiana, nel suo complesso, non era unita su questo punto. Il mondo imprenditoriale, poi, non era favorevole a un impegno diretto dei comunisti nell’esecutivo.
Lo stesso Partito comunista, del resto, non era del tutto compatto sulla partecipazione a un governo con i democristiani, a una grosse Koalition che mandasse all’opposizione i socialisti, provocando con essi una grave rottura e lasciando spazi aperti a sinistra. Certo, l’eurocomunismo propugnato da Enrico Berlinguer ipotizzava la costruzione di un socialismo democratico lontano dai condizionamenti dell’Urss e proiettato in un contesto atlantico, e tale ipotesi apriva prospettive che lasciavano intravedere alla fine del percorso una nuova democrazia dell’alternanza, ovvero una seconda repubblica basata su una formula politica diversa da quella dei primi trent’anni postfascisti. Tuttavia, le resistenze di una parte del partito erano forti, mentre la formula dell’eurocomunismo era stata poco compresa dai più e non aveva provocato entusiastiche adesioni nella base.
Moro voleva effettivamente giungere all’attuazione, la più ampia possibile, della carta costituzionale coinvolgendo nel governo, direttamente o indirettamente, il partito che rappresentava una parte del Paese davvero consistente, rimasta per trent’anni esclusa a causa di una serie di fattori oggettivi e peculiari. Questo cambiamento avrebbe significato la fine di quella prima repubblica, intesa come sistema politico a centralità democristiana e non in grado di estrinsecarsi in una democrazia compiuta. Dopo una serie di ulteriori cambiamenti, anche all’interno del Pci, il Paese sarebbe approdato a un ambito nuovo nel quale l’alternanza tra governi centristi e di sinistra si sarebbe realizzata senza mettere in discussione la posizione geopolitica della penisola. Si trattava di un passaggio davvero difficile, ancorché realizzabile, che prevedeva il costante lavoro di mediazione di Moro senza prescindere dalla lettura di quanto la realtà in movimento dettava alla politica. 
Le elezioni politiche del giugno 1976, che registrarono una forte avanzata dei comunisti pur in presenza di un successo democristiano, furono interpretate da Moro come il fattore in grado di aprire ispo facto una nuova fase politica; egli era pronto a condividere alcuni temi berlingueriani, come l’austerità e la questione morale, che rivolgeva anche al suo partito, considerato già nel corso del XI congresso (29 giugno 1969) vittima di una gestione «chiusa, inerte, carica di diffidenza e di malinteso spirito di difesa, lontanissima da quel vasto respiro di libertà che dovrebbe caratterizzar[lo]», ma il passaggio di fase, se poteva diventare strategico per i comunisti, per Moro era dettato dalla contingenza del forte spostamento a sinistra del Paese, e dunque corrispondeva a una precisa richiesta di ampie fasce sociali che non si poteva più ignorare. 
Sviluppando l’idea degasperiana dei due tempi, Moro riteneva che si fosse aperta una terza fase nella storia del Paese, nella quale la Dc non era più l’unico partito in grado di governare; essa era costretta al governo, ma non più come nel passato. Il Pci, infatti, stava maturando tutte le potenzialità per arrivare alla guida del Paese, e la funzione della Dc, era quella di dare una risposta politica a tale prospettiva, nel senso di un confronto aperto con le spinte che avevano portato il Pci ad assumere un simile ruolo. L’esito di tutto ciò (nuova centralità democristiana o alternanza) non era chiaro nella mente di Moro e tutto sarebbe dipeso, dopo l’esperienza della solidarietà nazionale, dall’esito di un nuovo passaggio elettorale. Se il Pci avesse perso voti, la Dc avrebbe riguadagnato la propria centralità; in caso contrario, sarebbe stato necessario elaborare una nuova formula per il governo del Paese. Il rapimento dello statista, però, fu sufficiente a mettere in crisi questa strategia, perché gli uomini che fuori pretesero di continuarla non la compresero e ne impoverirono i contenuti. Anzi, alzando il muro della non-trattativa con le Brigate Rosse, i partiti politici, e in particolar modo i comunisti, scelsero di continuare la politica di Moro senza Moro. Lo scelsero coscientemente, ma ancora oggi non lo vogliono ammettere. (segue)

INDACO DAGLI OCCHI DEL CIELO

Zucchero il 9 aprile a San Pietroburgo. Ci saremo!
A beautiful video












mercoledì 14 marzo 2012

SPOSI


BERTINOTTI-GUZZANTI




NON SERVONO ALTRE PAROLE DA AGGIUNGERE AL GENIO DI GUZZANTI


THE HUMILIATION OF GREECE


The Humiliation of Greece

by MIKE WHITNEY
MIKE WHITNEY
“How can one speak of default in the future tense when we’re already bankrupt… Don’t you see the people scouring through garbage and sleeping on sidewalks? Those who led us to bankruptcy – the troika and the government – now claim they want to save us from bankruptcy. It’s incredible.”
– Mikis Theodorakis, composer and songwriter
“Everything is changing. Everything is frightening.”
–Kathimerini, Greek newspaper
If Greece’s €130 billion loan was going to be used for fiscal stimulus, then it might be worth the commitment. Because that kind of money could put a lot people back to work and kick-start the economy fast. But the loan isn’t going to be used for stimulus. It’s going to be used to recapitalize the banks and pay off creditors, neither of which will do anything to boost activity or create jobs. So, why bother? Why dig an even deeper hole if it achieves nothing? If that’s the case, then Greece should just default now and start rebuilding the economy ASAP. There’s no point in putting it off any longer.
The troika (the European Central Bank, the European Union, and the International Monetary Fund) is demanding another €3 billion in spending cuts even though unemployment is tipping 20 percent and the economy shrank 7 percent in the last quarter. What sense does that make? You don’t have to be a genius to figure out that Greece won’t reach its budget targets if tax revenues continue to fall because everyone’s either been laid off or taking a pay-cut. It will just make a bad situation even worse. But the troika doesn’t worry about these type of things. They don’t care that their lamebrain economic theories have failed miserably so far, or that their austerity measures have been a complete flop. They just keep plugging along making the same mistakes over and over again, impervious to the criticism of reputable economists, oblivious to the abysmal results, they remain steadfast in their commitment to belt tightening, sure that a strict diet of breadcrumbs and water is the best way to nurse an ailing economy back to health. It doesn’t bother them that the facts prove otherwise.
Fitch isn’t convinced that austerity will work, in fact, the ratings agency lowered Greece’s rating to “C” on Tuesday, saying that they now think a default is “highly likely”. Similarly, a “confidential report” that was given to EZ finance ministers on Sunday –indicates there’s a high-probability that the slump in Greece will get worse and that the country’s debt-to-GDP ratio will still be 160 percent by 2020, a full decade after the implementation of austerity measures. So even if Greece sticks with the hairshirts and follows the troika’s diktats orders to the “T”, its debt could still be at “unsustainable” levels 8 years from today.
Then why take the loan to begin with? Why not just default quickly and get it over with? Let the creditors (mainly German, French and English banks) sort out the losses. That’s their problem. Look; if you can’t pay your bills, you declare bankruptcy, right? That’s the way the system’s supposed to work. The same rule applies to countries. If they get in over-their-heads and can’t service their debts; they call a “Time Out”, raise a white flag, and start over. It’s time for Greece admit that the game is over and call it quits.
Now we’ve all heard a lot about “lazy Greeks” and “profligate spending” over the last two years, but here’s the truth: The lenders that are always to blame. Always. It doesn’t matter if Greece is the biggest deadbeat in history; that’s completely irrelevant. It’s the lender’s responsibility to do due diligence to make sure that the borrower is creditworthy. The borrower has no responsibility in that regard. None. It’s not his job to sniff around to see if so-and-so is employed, or if he pays his bills, or if he has a good credit history or whatever. That’s the banks job; and they’re pretty good at it, too, (when they’re not scamming the system with toxic mortgages.) That’s because they have very strict criteria for lending, and if an applicant doesn’t meet that criteria, then –BOOM–out the door they go. So, if EU banks lose a ton of money because they didn’t do their homework and they were too stupid to figure out that lending to Greece was riskier than lending to Germany, then who are you going to blame? Greece? No way.
Of course, the people in power reject this line of reasoning because they don’t think banks or bondholders should ever lose a dime. That’s what this latest bailout fiasco is all about, trying to protect ignoramus bankers from losing doe on their crappy bets. But if the bankers don’t take the losses, then, who will? Working people? That’s how its playing out at present, but that’s also why Athens has turned into a war zone, because the wrong people are getting slammed for a crisis they didn’t create and shouldn’t have to pay for.. Here’s how Satyajit Das sums it up over at naked capitalism:  ”There is no longer any pretence of “assisting” Greece. It is about ensuring that German and French banks minimise their losses.”
See? This isn’t about Greece at all. It’s just another bailout for the big finance creeps. Here’s more from Das:
“It is probable that no funds will be released to Greece but rather placed in a special account from where it will be used to meet the country’s debt obligations….Germany and the Netherlands have suggested that the EU assume control of Greek finances and elections be suspended in favour of a technocratic government, having the confidence of Berlin, Paris and Brussels. In the end, the communique required Greece to pass a humiliating law giving priority to debt repayment over other government obligation.” “It’s all Greek to me”, Satyajit Das, naked capitalism)
Now that Greece has agreed to indentured servitude for the next millennia or so, the Eurocrats have decided to pile on more onerous conditions, like putting a taskmaster in Athens to oversee the budget to make sure that foreign creditors get their money before pensioners, dependent mothers, cancer patients, disabled veterans, homeless children, and unemployed workers. How’s that for priorities? At the same time, hardliners in Germany want the Greek parliament to pass a bill that would make it impossible for future parliaments to reject the terms of the bailout. In other words, Greece is expected to repeal the fundamental principles of democratic government in order to pay back the cutthroats that issued the loans. The next thing you know, the Greeks will have to post their firstborn as collateral on the loans. Where does it stop?
And–as we said earlier–the bailout doesn’t even fix the problem. The Greek economy will continue to decelerate while the nation’s debt-to-GDP ratio will continue to rise. So, once again, why agree to a deal that’s only going to make matters worse?
Here’s a clip from an article in Der Speigel that draws the same conclusion:
“Of course, the 130 billion would not solve the problem. It is only intended to buy time. Time until the financial markets have stabilized to the extent that they can handle the actual bankruptcy of Greece without a chain reaction. Without bank failures, no knock-on effects through the loss of credit insurance and no interest for the remaining problem of explosion of the Euro-zone countries.” (“Stop the 130-billion bank transfer!”, Der Speigel)
So, Greece is being sacrificed to prevent another Lehman Brothers; is that it? It’s being stripped of its sovereignty and its people are being reduced to a decade of grinding poverty because undercapitalized, over-extended and under-regulated financial institutions are lashed together in counterparty conga-line that could blow up at any minute and take down the entire financial system along with it. Is that it? Is the system really that fragile or is Lehman being invoked (much like 9-11) to achieve a different objective altogether; to replace elected representatives with agents of the bank Mafia who plan strip-mine the country of its national treasures while crushing organized labor beneath its bootheel.
But isn’t Greece at least partially responsible for the present crisis?
Sure. Corruption, cronyism and tax evasion are rampant, but the real problems didn’t surface until 2009 as composer Mikis Theodorakis explains in this post on his web site:
“Until 2009, there was no serious economic problem. The major wounds of our economy were the enormous expenses related to the purchase of war material and the corruption of a part of the political and economic-journalistic sector. For both of these wounds, foreigners are jointly responsible. Germans, for instance, as well as French, English and Americans, earned billions of Euros from annual sales of war material, to the detriment of our national wealth. That continuous hemorrhage brought us to our knees and did not permit us to move forward, while at the same time it made foreign nations prosperous. The same was true of the problem of corruption. The German company S, for instance, maintained a special department for buying off Greek stakeholders in order to place its products in the Greek market. Hence, the Greek people have been victims of that predatory duo of Greeks and Germans, growing richer at their expense.
It is obvious that these two big wounds could have been avoided if the leaders of the two pro-American parties in power hadn’t been eroded by corrupt elements who resorted to excessive loans in order to cover the leakage of wealth (the product of the Greek people’s labor) into the hands of foreign countries, resulting in the public debt reaching 300 billion Euros, i.e. 130% of GDI (Gross Domestic Income).”
Sound familiar? The banks lend gobs of money to crooked contractors and venal politicians who line their pockets while buying a bunch of useless military equipment in one big feeding frenzy. Everybody gorges at the public trough; everybody gets fat and happy. How many times have we heard that story before? And–Oh yeah–some of the Wall Street heavyweights also helped the Greek government hide the amount of red ink that was on its books so they could keep this larcenous sharkfest going as long as possible. Now that the bills have come due, the cockroaches have scattered, and working people are left to pick up the tab.
Is it any wonder why the victims of this baldfaced ripoff have taken to the streets and set Athens ablaze rather than accept their fate lying down?
No one thinks that this latest Greek bailout is anything more than a can-kicking exercise designed to prolong the inevitable. Eventually, Greece will default, and the reason it will default, is because the policies that have been implemented have made failure unavoidable. The vicious belt-tightening regime imposed by Brussels and Frankfort wasn’t intended to lift the economy back to productivity and growth; it was intended to punish, humiliate and create a “permanent state of colonial dependency”. It’s just “shock therapy” in different wrapping.
MIKE WHITNEY lives in Washington state. He is a contributor to Hopeless: Barack Obama and the Politics of Illusion, forthcoming from AK Press. He can be reached at fergiewhitney@msn.com

GIANGIACOMO FELTRINELLI

Quarant'anni fa moriva Giangiacomo Feltrinelli, il compagno Osvaldo, mentre stava organizzando un attentato dinamitardo su un traliccio dell'alta tensione nella zona di Milano. Con lui c'era un compagno, il mai identificato Gunter, partigiano classe 1927, che raccontò come andarono le cose. Si trattò di un errore nel timer e la bomba scoppiò tra le gambe dell'editore. Ciò nonostante, i dietrologi si sono scatenati, ipotizzando le strade più diverse, battute dagli immancabili servizi segreti di mezzo mondo.
Noi lo ricordiamo così, ringraziandolo per averne capito la grandezza e pubblicato per primo il Dottor Zhivago, di Boris Pasternak. 


"Un rivoluzionario è caduto. Lo dipingono ora come un isolato, un avventuriero [...] o come un crudele terrorista. Noi sappiamo che dopo aver distrutto la vita del compagno Feltrinelli ne vogliono infangare e seppellire la memoria [...] perché Feltrinelli ha tradito i padroni, ha tradito i riformisti. Per questo tradimento è per noi un compagno. Per questo tradimento i nostri militanti, i compagni delle organizzazioni rivoluzionarie, gli operai di avanguardia chinano le bandiere rosse in segno di lutto per la sua morte. Un rivoluzionario è caduto. Giangiacomo Feltrinelli è morto. Da vivo era un compagno dei Gap [e] a questa determinazione Feltrinelli era arrivato dopo una bruciante e molteplice attività – dalla partecipazione alla guerra di liberazione alla milizia nel Pci, all’impegno editoriale, alla collaborazio- ne con i movimenti rivoluzionari dell’America Latina. L’indimenticabile ’68 lo aveva spinto ad un ripensamento di tutta la sua milizia politica; la breve ma intensa confidenza con Castro e Guevara gli forniva gli strumenti teorici attraverso cui analizzare il fallimento storico del riformismo e, a un tempo, la prospettiva da seguire per una ripresa del movimento rivoluzionario in Europa. La forte passione civile, la rivolta ad ogni forma di sopraffazione e di ingiustizia (si pensi all’attenzione con cui ha sem- pre seguito le rivendicazioni autonomiste delle minoranze linguistiche italiane) lo spingevano a saltare i tempi, a bruciare le mediazioni. [...]. Il compagno Feltrinelli è morto. E gli sciacalli si sono scatenati. Chi lo vuole terrorista e chi vittima. Destra e sinistra fanno il loro mestiere di sempre. Noi sappiamo che questo compagno non è né una vittima, né un terrorista. È un rivoluzionario caduto in questa prima fase della guerra di liberazione dallo sfruttamento."


MOSCA, CACCIATI NELLA METRO

Mosca, 5 marzo 2012
Finita la manifestazione di Mosca del 5 marzo, parte dei dimostranti sono stati allontanati dentro una stazione della metropolitana dalla polizia. Fatti simili sono già accaduti nel passato. A Parigi, L’8 febbraio 1962 il partito comunista organizzò una manifestazione contro la guerra d'Algeria. Scesero in piazza oltre sessantamila persone,  disperse a colpi di manganello da migliaia di poliziotti, alcuni dei quali rientrati  da qualche giorno da Algeri. Morirono otto persone, cinque schiacciate dalla folla, tre con il cranio fratturato; il più giovane si chiamava Deniel Ferry, sedici anni, lavorava negli uffici amministrativi de "l’Humanité". Venne ritrovato cadavere in un corridoio della stazione della metro "Voltaire", soffocato dalla folla rifugiata lì dopo gli scontri.




martedì 13 marzo 2012

QUELLO SMEMORATO DI BERTINOTTI


Bertinotti
Come tutti hanno letto, Nanni Moretti in un'intervista a "Repubblica" (e basta con il verbo "attaccare"!!) afferma di ritenere Bertinotti e il suo partito responsabili della caduta del primo governo Prodi, costringendo "il Paese a perdere 10 anni". 
Bertinotti, molto innervosito, ha risposto dando i numeri: "Qualche generoso cronista - ha replicato oggi  - dovrebbe informare il molto saccente Nanni Moretti che la rottura tra Rifondazione comunista e il governo Prodi è del 1998 [APPUNTO, DI QUELLO SI STA PARLANDO!] e che dopo tale rottura, e prima del ritorno di Berlusconi, vennero i governi di Massimo D'Alema e di Giuliano Amato e che poi, dopo il governo Berlusconi, nel 2006 tornò di nuovo a vincere la coalizione guidata da Prodi". 
"Dopo quella lontana rottura il Prc, ed io con esso - prosegue  Bertinotti - ha fatto un gran cammino che gli ha consentito di vivere l'esperienza del movimento altermondialista da Porto Alegre a Genova e oltre. Per parte mia è un'esperienza che rivendico: non a tutti è dato di essere autonomi dal potere. Per scelta volontaria ho lasciato il ruolo di direzione politica nel 2008, nel frattempo, da quella rottura era passata una intera storia". "Anche chi è eccessivamente affezionato alle sue opinioni - conclude l'ex leader comunista - potrebbe vedere che non esiste alcun rapporto di causa ed effetto tra i due fatti".
Parole in libertà, falso storico spudorato.
Il primo governo Prodi cadde proprio per volere del Pcr e di Bertinotti in particolare. Era l'ottobre 1998 e lo ricordo come fossi oggi, dato che mi trovavo a Bratislava ospite dell'Accademia delle Scienze. 
Ma, comunque, c'è internet: basta scrivere queste parole: "ottobre 1998 governo Prodi" e si legge, addirittura, che non solo fu sfiduciato il 9 ottobre alla Camera dei deputati con 312 favorevoli e 312 contrari, ma che 


"l'ingresso di Rifondazione tra i banchi dell'opposizione causò la prima crisi parlamentare della storia dell'Italia Repubblicana".


INSOMMA, Bertinotti passa alla storia e non lo sa. E nessuno glielo dice? Possibile che non si trovi un cronista generoso (o informato), che possa ricordare i fatti in sua presenza? 


Stiamo tranquilli, non si troverà. 


Lo sproloquio su D'Alema, Porto Alegre e l'altermodismo è, appunto, uno sproloquio, che non vale neanche la pena di commentare. Moretti (Nanni), parlava di Prodi, in particolare del suo primo governo. Dopo, con D'Alema a palazzo Chigi, l'Italia ha bombardato Belgrado. 













































Xenophon Zolotas speech


Xenophon Zolotas con la moglie sulla
copertina di "Eikones" (1967)

In 1957 and 1959, the Greek economist Professor Xenophon Zolotas, Governor of the bank of Greece and Governor of the Funds for Greece, delivered two speeches in English using Greek words only. 

As Prof. Zolotas said:
"`I always wished to address this Assembly in Greek, but I realized that it would have been indeed Greek to all present in this room. I found out, however, that I could make my address in Greek which would still be English to everybody. With your permission, Mr. Chairman, I shall do it now, using with the exception of articles and prepositions only Greek words".

First speech - September 26, 1957

" Kyrie,
I eulogize the archons of the Panethnic Numismatic Thesaurus and the Ecumenical Trapeza for the orthodoxy of their axioms, methods and policies, although there is an episode of cacophony of the Trapeza with Hellas.
With enthusiasm we dialogue and synagonize at the synods of our didymous Organizations in which polymorphous economic ideas and dogmas are analyzed and synthesized.
Our critical problems such as the numismatic plethora generate some agony and melancholy. This phenomenon is characteristic of our epoch. But, to my thesis, we have the dynamism to program therapeutic practices as a prophylaxis from chaos and catastrophe.
In parallel, a panethnic unhypocritical economic synergy and harmonization in a democratic climate is basic.
I apologize for my eccentric monologue. I emphasize my eucharistia to you Kyrie, to the eugenic and generous American Ethnos and to the organizers and protagonists of this Amphictyony and the gastronomic symposia.''
Prof. Xenofon Zolotas

Second speech - October 2, 1959

" Kyrie,
It is Zeus' anathema on our epoch for the dynamism of our economies and the heresy of our economic methods and policies that we should agonise between the Scylla of numismatic plethora and the Charybdis of economic anaemia.
It is not my idiosyncrasy to be ironic or sarcastic but my diagnosis would be that politicians are rather cryptoplethorists. Although they emphatically stigmatize numismatic plethora, energize it through their tactics and practices.
Our policies have to be based more on economic and less on political criteria.
Our gnomon has to be a metron between political, strategic and philanthropic scopes. Political magic has always been antieconomic.
In an epoch characterised by monopolies, oligopolies, menopsonies, monopolistic antagonism and polymorphous inelasticities, our policies have to be more orthological. But this should not be metamorphosed into plethorophobia which is endemic among academic economists.
Numismatic symmetry should not antagonize economic acme.
A greater harmonization between the practices of the economic and numismatic archons is basic.
Parallel to this, we have to synchronize and harmonize more and more our economic and numismatic policies panethnically.
These scopes are more practical now, when the prognostics of the political and economic barometer are halcyonic.
The history of our didymous organisations in this sphere has been didactic and their gnostic practices will always be a tonic to the polyonymous and idiomorphous ethnical economics. The genesis of the programmed organisations will dynamize these policies. I sympathise, therefore, with the aposties and the hierarchy of our organisations in their zeal to programme orthodox economic and numismatic policies, although I have some logomachy with them.
I apologize for having tyrannized you with my hellenic phraseology.
In my epilogue, I emphasize my eulogy to the philoxenous autochthons of this cosmopolitan metropolis and my encomium to you, Kyrie, and the stenographers."
Prof. Xenofon Zolotas

lunedì 12 marzo 2012

Secondo Congresso degli osservatori indipendenti di San Pietroburgo



Alcune fasi del Secondo congresso degli osservatori indipendenti di San Pietroburgo, 10 marzo 2012


Nell'ordine:


Michail Shatz


Aleksandra Krylenkova, coordinatrice e anima dell'associazione


Anastasija Pilipenko, giurista


Ivan Kvasov, poeta


Ancora Alessandra Krylenkova


Marija Pirogovskaja, coordinatrice del quartiere Centro


Nikita Sorokin, osservatore indipendente





RODINA (PATRIA) DDT


Pietroburgo, 10 marzo 2012


LIBERI TUTTI-SUBSONICA





C'è qualcosa del grande Bergman in questo video. Ricordate Il Settimo Sigillo?

CHODORKOVSKIJ

Michail Chodorkovskij, capo virtuale dell'opposizione a Putin e probabile prossimo candidato alle presidenziali del 2018 (se si svolgeranno), si trova in carcere dal 2003. Un arresto politico e due sentenze tutte da verificare lo hanno condannato al campo di lavoro fino al 2017. Ora esce in Italia, per la casa editrice Marsilio, il suo libro: La mia lotta per la libertà. Un uomo solo contro il regime di Putin. Ovviamente il titolo originale è un altro, molto più bello e significativo, ma conosciamo bene l'editoria italiana per stupirci (Piero Citati si è svegliato pochi giorni fa a ottant'anni passati per ricordarcelo!). Prigioniero del silenzio. Storia di come in Russia si diventa liberi e quali sono le conseguenze. 
Titolo italiano profondamente errato per un motivo più visibile, però: Chodorkovskij non è solo. Tutt'altro. Noto ormai in tutto il mondo, e non solo in Russia, qui è davvero l'oppositore più seguito. Su Facebook ha esaurito  la possibilità di avere nuove amicizie per l'alto numero di richieste. Riceve continuamente posta da ogni parte del paese e con cadenza regolare si svolgono a Mosca le cosiddette "Letture" in suo nome, che sono una specie di convegni sulla libertà di parola e la situazione politica nel paese che cominciano ogni volta con la relazione del suo avvocato. Ho partecipato personalmente a un paio di queste letture e sono molto interessanti, anche perché richiamano le maggiori personalità dell'opposizione democratica al regime.
Il libro, comunque, è da leggere. Prima di tutto perché è un libro contro la galera: "La prigione è il luogo dell'anticultura e dell'anticiviltà. Qui il bene è male, la falsità verità. La feccia educa altra feccia".
In secondo luogo, perché è un libro di scambi epistolari con alcuni tra i maggiori scrittori russi contemporanei: Boris Akunin (pseudonimo che ricorda Bakunin), Boris Strugackij e Ljudmila Ulickaja. Per le lettere con la Ulickaja scambiate mentre era in Siberia, Chodorkovskij ha ricevuto il premio letterario del giornale "Znamja".
Quando giunsi per la prima volta in Russia-Unione Sovietica, nel 1987, e tutto sembrava così lontano dal nostro mondo, ricordo che le persone si arrabbiavano molto, o comunque rimanevano male, quando si faceva cenno alle differenze con quella che noi chiamiamo oggi Europa. Ovviamente sbagliavo nel marcarle, ma c'erano, ed erano profonde. Non volevo dire che la Russia non era un paese europeo, lo è per storia, cultura e tradizioni. Era quel preciso momento storico che la teneva in disparte. Pochi anni fa partecipai a una tavola rotonda proprio su questo tema. Sostenni la tesi dell'appartenenza della Russia all'Europa. Non fu bene accolta: i rappresentanti del mondo culturale, tra cui un noto regista, quasi insorsero. Rimasi sorpreso, provai  convincerli, ma senza successo, ovviamente.
Chodorkovskij è un convinto europeista, invece: "La Russia è un paese europeo", dichiara. "Un paese con sensibilità democratiche che, per quanto siano state violate più di una volta, tuttavia esistono...Noi siamo accomunati dalla stessa cultura, comprendiamo il mondo allo stesso modo. Siamo un paese europeo. Ed è questa a strada che dobbiamo continuare a seguire".















domenica 11 marzo 2012

Aleksandra

Aleksandra Krylenkova il 4 marzo durante una pausa. In piedi, vicino al muro, si intravede Aleksandr Skobov,
un ex dissidente che è stato rinchiuso per qualche anno in un ospedale psichiatrico durante gli anni Ottanta del
secolo scorso.

Dopo una settimana dalle elezioni Aleksandra Krylenkova ancora "ne otoshlà" - non si è ripresa - dalla delusione del 4 marzo. Assieme al marito, Aleksandr, e ad altri attivisti per la difesa dei diritti civili, ha organizzato "l'Associazione degli osservatori di San Pietroburgo", che nel corso degli ultimi due mesi ha avuto decine di incontri con aspiranti "osservatori", nel corso dei quali è stata spiegata la legge elettorale, i diritti e i doveri delle commissioni elettorali e tutto quello che riguarda il corretto svolgimento delle elezioni. Aleksnadra è stata arrestata il 7 dicembre 2011 durante una manifestazione a San Pietroburgo. L'hanno rilasciata dopo 24 ore. Stessa sorte è toccata al marito, Aleksandr, preso al seggio elettorale proprio il 4 marzo e rilasciato la sera del 5.

Sasha, quando è nata l'idea di formare un'associazione di osservatori indipendenti?

"A dicembre, dopo il mio rilascio. Ho saputo che a Mosca si stavano organizzando; ho preso il treno e sono andata a vedere cosa facevano."

Per impegnarsi in questo lavoro Aleksandra e il marito hanno lasciato per due mesi i figli ai nonni: il piccolo, di due anni, in Germania, il grande, di 7, dalla nonna a Pietroburgo. All'inizio si sono occupati del quartiere Kalininskij, poi progressivamente di tutta la città. Il lavoro si è svolto su base esclusivamente volontaria, così come i finanziamenti. Da sola Aleksandra ha speso 100.000 rubli (circa 2.500 euro), così come la segretaria dell'associazione, Galina.

"Non abbiamo aperto un conto speciale. Tutti i finanziamenti sono stati mirati. Per esempio, abbiamo ricevuto una grossa somma per l'affitto di un ufficio e l'organizzazione dei mezzi di comunicazione".

Il 4 marzo erano in piedi 26 gruppi di osservatori per ogni quartiere e uno per la Commissione elettorale centrale di Pietroburgo. La sede centrale è stata organizzata in via Marat 8; altre sedi addirittura in case private. Nonostante il lavoro prodotto e l'impegno di centinaia di volontari, Aleksandra si sente sconfitta:

"La legge elettorale, il codice penale, la Costituzione: nulla di tutto ciò ha impedito che ci fossero brogli, e nessuno ha potuto farci nulla. I presidenti di sezione dicevano una cosa, promettevano di seguire le regole, ma poi facevano quello che volevano, così, apertamente, sicuri di restare impuniti. Eravamo convinti che la pubblicità, la diffusione di nomi e fatti, la glasnost', per usare una parola un po' fuori moda, avrebbe in qualche modo fermato le violazioni, ma non è stato così. Si sono svolte apertamente, sotto gli occhi di tutti. I nostri osservatori spesso sono stati allontanati dai seggi con i pretesti più diversi, tutti illegali, ma la polizia eseguiva gli ordini dei presidenti, senza seguire le istruzioni elettorali, che garantivano la loro presenza."

Tutto finito?

Noi siamo per il controllo civico del potere. Durante questi due mesi si sono consolidati i rapporti tra i volontari, la società civile si è mossa e per il momento non vuole tornare a sedere a casa in attesa degli eventi. Vogliamo essere protagonisti. Siamo in procinto di organizzare un congresso per tirare le somme di quanto accaduto il 4 marzo e organizzare il lavoro futuro. Inoltre, le procure dei vari quartieri saranno inondate di ricorsi. No, non è tutto finito. La lotta vera comincia adesso."