sabato 29 novembre 2014
venerdì 28 novembre 2014
La "buona" scuola
Chiamarla
riforma è un'autentica bestialità. Perché non dà una forma nuova,
non cambia pedagogicamente proprio nulla, rispetto ai danni già
apportati, s'intende. Perché non è altro che l'attuazione di un dovere da
parte dello stato di garantire ai suoi cittadini il lavoro, come
previsto dalla Costituzione. Peccato che questo dovere se lo siano
dimenticato e che oggi venga imposto sottoforma di sanzione
dall'Unione Europea.
Dunque
ora, nero su bianco, sono obbligati ad assumere definitivamente poco
meno di 150 mila persone. La legge prevede che le assunzioni siano
per il 50% dalle graduatorie permanenti, nelle quali, è bene
ricordarlo, gli insegnanti stazionano da almeno 15 anni, e per il 50%
dalle nuove graduatorie formatesi dopo il concorso del 2012. Siccome
però la sentenza dell'Unione Europea impone di assumere chi già
abilitato da molti anni si è visto rinnovare il contratto senza
essere mai assunto definitivamente, la legge va cambiata per poter
immettere in ruolo il 90% di chi è iscritto nelle graduatorie
permanenti. Olé.
150
mila docenti non sono pochi. Ci saranno cattedre sufficienti per
tutti? Il governo, che si è fatto due conti, ipotizza che circa 43
mila rinunceranno volontariamente all'assunzione dato che
negli ultimi 3 anni non hanno accettato supplenze (pag 27). Come è
possibile che 43 mila persone coi tempi che corrono rinuncino
a un lavoro fisso?! Devono essere pazzi. No. Per capire perché
probabilmente in molti rinunceranno, cerchiamo di spiegare come si
intende immettere in ruolo e cosa succederà nella scuola e ai
docenti. Analizziamo parte delle 136 pagine che il governo si è
affrettato a pubblicare ai primi di settembre, molto in anticipo
sulla scontata sanzione europea, tanto per dimostrare che gli
italiani sono di buona volontà. Quanto è stato scritto lascia spazio a diversi dubbi ed incertezze, ma si può evincere che la
chiamata sarà su scala nazionale e che non necessariamente sarà
nella classe di concorso per la quale si è abilitati e nella quale
già si lavora: bisogna essere flessibili e venire incontro alle
esigenze geografiche e didattiche della penisola (pag 27). Vuol dire
che, una volta esauriti i candidati iscritti in una provincia (non è
scritto a chiare lettere, ma si spera che dimostrino buon senso e
partano da lì), si passa ad offrire la cattedra con tutta probabilità, ma neanche su questo non ci sono indicazioni certe, al primo col
punteggio più alto sul territorio nazionale. Ricordo ancora che la
stragrande maggioranza dei docenti in questo paese è costituita da
donne (andate a vedere i grafici che lo stesso governo pubblica a pag
18), che nei 15 anni di precariato hanno, come penso molti colleghi maschi, probabilmente formato una
famiglia, avuto dei figli, magari hanno la fortuna di avere un marito
che lavora, magari hanno avuto l'ardire di comprare casa. Poniamo che
l'insegnante viva a Terni, insegni matematica in un liceo (ha
l'abilitazione solo per insegnare matematica alle superiori), nella
sua provincia non ci sono più posti disponibili, le offrono una
cattedra a Torino. Può capitare che la nomina non sia in un istituto
superiore, ma alle medie (perché lì c'è bisogno), dove mai avrebbe
voluto insegnare, perché coi ragazzini non ci sa stare, non li
capisce, perché i contenuti della materia sono molto meno stimolanti per lei. Ora che fa? Accetta e
lascia i figli “soli” 6 giorni su 7 (perché avere il sabato
libero è una chimera per l'ultimo arrivato)? Li sradica da scuola e
amici? Chiede al marito di cercarsi un lavoro in Piemonte? Rinuncia e
butta via laurea e abilitazione, anni di aspettative, anni in cui ha
investito le sue energie creative, le sue passioni per far crescere i
figli degli altri? Ma è un problema suo, lo stato le offre il
lavoro, se poi rinuncia...
Certamente
altri rinunceranno perché magari lavorano in una paritaria o in una
privata o hanno effettivamente cambiato lavoro. E beati loro a questo
punto.
Ma
anche così non ci saranno posti per tutti, neppure accorpando
spezzoni, neppure reintroducendo, in minimissima parte,ore di
insegnamenti eliminate dalla ristrutturazione degli indirizzi,
eliminazione che ha portato a sopprimere cattedre non più
necessarie. Dunque come risolvere? Creando una figura nuova: il
docente organico funzionale. Questi insegnanti assunti a tempo
indeterminato non avranno una loro cattedra, ma: “saranno a
disposizione delle scuole, o delle reti di scuole, sia per svolgere
gli altri compiti legati all'autonomia e all'ampliamento dell'offerta
formativia (insegnamenti extra-curricolari, predisposizione di
contenuti innovativi per la didattica [contenuti qui significa uso lo
strumento tablet piuttosto che fotocopie, non pensiate ai contenuti
in termini di conoscenze, ricordatevi che da anni i programmi
nazionali come li abbiamo conosciuti sono stati aboliti, ora ci sono
le indicazioni nazionali che fissano gli obiettivi da raggiungere,
che cosa tu ci metta dentro, ma meglio se non ci metti molto, sono
fatti tuoi], progettualità di vario tipo, affiancamento ai
tirocinanti, ecc.); sia, anche in questo caso, per coprire le
supplenze brevi.”, le quali “non apportano infatti molto dal
punto di vista della didattica e dell'apprendimento”.(pag 24) Già
perchè si tratta al massimo di poche settimane e naturalmente è
impossibile programmare qualunque cosa. È evidente che l'organico
funzionale è manodopera: oggi in quella scuola a tot chilometri
manca il prof. vacci tu, domani in quell'altra manca il tale vai
sempre tu, quell'istituto (nel quale mai hai lavorato) avrebbe
bisogno di un progettino: tu che sei bravetta pensane uno, e via di
seguito. Ma il governo si rende conto di quanto potrebbe essere
frustrante per un insegnante essere assunto e fare tutto fuorché
insegnare e pensa bene di creare mobilità interna: chi ha la
catterdra può passare ad organico funzionale e viceversa. Geniale
vero?
Come
geniale è rivedere lo status giuridico degli insegnanti (e i
sindacati firmeranno, ve lo assicuro!) per introdurre i crediti
didattici, formativi, professionali al fine di valutarli e farli
progredire nella carriera. Progredire nella carriera qui significa un
aumento di stipendio che si ottiene ancora una volta facendo molto
altro oltre che insegnare. Ma pare che entusiasmo e motivazione
derivino unicamente da incentivi di natura economica, così almeno è
ripetuto più volte ne “La buona scuola”.
E “La
buona scuola” prevede che i dirigenti tornino ad occuparsi di
scelte educative (però!), possano “scegliere i docenti che
coordinano attività di innovazione didattica, valutazione,
orientamento e premiarne, anche economicamente, l'impegno”.( pag
64) Si sta introducendo una sorta di chiamata diretta, anche se non
ancora per l'attività di didattica in aula, che potrebbe avere un
suo senso, se non fossimo in Italia, dove gli insegnanti saranno una
volta di più alla mercè del più forte. (pag 68)
Inoltre:
siccome gli organi colleggiali non devono esistere per porre veti ed
intralciare il lavoro del dirigente come oggi spesso ahimè accade,
vanno riformati (pag 71). Qui però il governo va cauto e si limita
ad una proposta.
Meno
male che puntano sulla scuola come risorsa per il futuro, per la
democrazia, che hanno a cuore gli insegnanti, che li vogliono
formati, entusiasti, felici e pagati, altrimenti chissà dove
andremmo a finire.
Ci
sarebbe ancora molto molto da dire, ma mi fermo: sono certa che il
governo in carica o chi per esso mi darà modo di scrivere ancora.
A.Z.
martedì 25 novembre 2014
Storia di E*
Ottant'anni
e ancora non ti stancheresti di guardarla. Il viso parla di una
bellezza passata da urlo. L'ovale del viso incorniciato dalle onde
argentee dei capelli ancora folti, gli zigomi alti, la bocca dal
disegno preciso e pieno, l'arco delle sopracciglia un semicerchio
perfetto, gli occhi verdi appena scuriti dall'età, la pelle liscia
dal colore d'alabastro senza neppure una macchia, liscia che è un
piacere darle una carezza... una carezza per calmare quello sguardo
spaventato e inquieto, come fosse un animale braccato.
Incontro
E* nell' ospedale dove siamo entrambe ricoverate. Veramente non
dovrebbe essere nel mio reparto, ma il personale è poco e hanno
unito temporaneamente il mio e il suo. Ora sta di fronte a me. Si
passa una mano sul viso a intervalli regolari, a controllare che sia
tutto in ordine, a controllare di esserci ancora. A volte si guarda
le mani, i palmi, i dorsi. Le mani deformate dall'artrosi, i palmi
piatti come una tavola e gli indici storti che si guardano. L'unico
arto che muove, le mani. E* non parla, non comunica realmente con
nessuno.
Conosce
solo il letto qua dentro. Giorni come la notte e notti come il
giorno. Una finestra che non cambia mai panorama. Il cibo unico
diversivo. Non c'è musica, né ballo. Solo il letto. O asciutto o
bagnato. E mani che la rivoltano.
Le
braccia bucate dagli aghi per le flebo e la trasfusione.
Adesso
facciamo un altro sacco, così sei bella carica principessa!
Questa
è la terza sacca di sangue che le somministrano. Goccia, goccia,
goccia, goccia, goccia, goccia, goccia... è lentissima.
L'infermiera, la sua profonda pena per quell'essere indifeso è
palpabile, non dovrebbe, ma ci fa capire che E* è qui per via del
marito.
Ma
cosa ha fatto?! Infermiera!!! Mmmaariavvergine!!! Si è strappata
tutti gli aghi!
Da
E* non un suono.
La
mattina ricomincia la litania che le avevamo sentito cantare la notte
precedente:
Mariiiiaaa.
Ci sei?
No,
E*, Maria arriva dopo.
Ah,
va bene, grazie... Maria, andiamo?
Non
c'è ancora Maria signora E*, viene più tardi.
Ah,
più tardi... scì, scì... Maria, siamo a posto?
….....................................................
!
Eccola
Maria. Rumena, formosa, labbra carnose sempre in una piega triste.
Parla piano, sottovoce, dolcemente.
Poi
arriva lui. Arriva col passo strascicato, un panama in testa.
Ah,
sei arrivato... il cappello...
Con
questo tutti mi rispettano, mi salutano tutti! Come va... eh, come
stai
Le
agita accanto al viso la mano indurita dalla vecchiaia, minaccia come
si minaccia un bimbo quando ha fatto una marachella, poi l'appoggia
pesante sul suo viso, le dà piccoli schiaffetti. Non sa accarezzare,
sembra non l'abbia mai fatto.
Allora?
Eh? Come stai...
Bene.
Dici
sempre bene tu... eh, ma non capisci mica, non capisci niente... hai
male?
No.
E
come faccio io, ho solo te, mi capisci? Siamo solo noi due... come
faccio? Mi capisci? Sto male io, sai che sono malato, mi gira la
testa, sto male, siamo solo io e te. Ma capisci cosa dico? Ecco, ma
io ho bisogno di parlare con qualcuno, signora, e invece... la guardi
lì... è così, non capisce mica niente... e io devo parlare con
qualcuno, tutto il giorno... così...
Alto,
spalle larghe, curato nel vestire, gli occhi sempre nascosti da lenti
scure. Doveva essere un bell'uomo da giovane. Sapeva parlare, forse
incantava. E lei gli hai creduto. Quando ha capito era tardi e allora
ha continuato a fingere di credergli.
Le
dà da mangiare come si nutre un'oca all'ingrasso, le cola tutto sul
collo, le riempie la bocca che quasi non riesce a chiuderla, e lei
non dice nulla.
Ma
glielo ho detto, eh... a casa alle otto, altrimenti parte!
Hai
fatto bene.
Perché
quelle lì... prima in casa e poi sulla strada la notte... eh, no...
che schifo, tutte puttane!
Hmmh.
Ma
tu sai leggere?
Scì.
Ma
sai scrivere? Non firmare se non ci sono io eh... e perché devi
lasciare il 30% a N*? Non bisogna lasciarlo, hai capito?
Scì.
Ma
sai leggere? Scrivere? Eh? Il notaio, due righe di testamento e tu
poi firmi, sei capace? Così poi ti porto i fiori con la macchina.
Scì,
come vuoi tu.
Dici
sempre sì, ma hai capito quello che ho detto? Eh? Che cosa ho detto?
Cosa?
Cosa
ho detto?
Non
so.
Non
capisci niente. Vado.
Dopo
quarant'anni ancora prende le botte e non un lamento. Solo lo sguardo
spaventato e “non so, non ricordo, così”. Quarant'anni di
silenzio, quarant'anni di solitudine, perché anche chi sa non parla,
ha paura. Paura! Paura?!
Vado.
Scì,
vai, vai. Ciao
Torno
domani.
Scì,
scì, ciao.
Gli
occhi di solito persi in qualche pensiero, si spostano inquieti per
la stanza e su di noi. Notte. Non riesce a dormire. Mi avvicino al
letto col dito sulle labbra a dirle che bisogna fare piano. Imita il
mio gesto. Maria! Non sono Maria signora E*. Le accarezzo la guancia.
Maria torna domattina. Ah, scì. Le do una mano che lei stringe con
la sua, nodosa, arsa dal tempo. Con l'altra continuo ad accarezzarla
piano, sulla guancia poi sulla fronte. E' tranquilla? Scì. Allora
adesso bisogna dormire un po', è tardi... Scì. Bene, buon riposo.
Scì, grazie, grazie tante. Ti sorrido e vorrei dirti tanto di più,
ma non ne ho il coraggio.
Chiudi
gli occhi e dal mio letto mi accorgo che scivoli nel sonno.
Maria!
Andiamo...
Dove
andiamo, E*?
A
casa...
A
casa?
Scì.
Maria... ci sei?
Sì
E*sono qvi. Come stai?
Bene.
Hai
sete?
Scì.
Cos'è là? Maria andiamo là?
No,
non si può.
Non
si può. Nooo. Maria... andiamo?
Dove
E*?
Dove
vuoi tu.
Il
giorno della sua dimissione passo a salutarla nella stanza dove
l'hanno trasferita. Le racconto che proprio quella mattina ho visto
uno scoiattolo correre su per il tronco dell'abete accanto la sua
finestra. Lei si illumina, mi guarda con uno sguardo attento, vivo,
per nulla spento. Ah sì, sono belli! Mi dice sorridendo. Io resto di
stucco. Capisco che quel suo essere-fingersi ottenebrata, lontana da
tutto è l'unica difesa che le sia rimasta.
Ah,
Ah, Ah!!!! Brava E*! Così si fa, ben fatto! Che colpo togliere tutti
i soldi dalla banca e darli a tuo nipote che si compri la casa! E
passare tutte le proprietà a tuo fratello! Se lo sa G* ti ammazza.
A.Z.
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