sabato 12 novembre 2011

I MORTI DI CEFALONIA

VERONA, 21 settembre 2012. Commemorazione del 69 anniversario dell'eccidio di Cefalonia
E' uscito per il Mulino un libro a firma di Elena Aga Rossi e Maria Teresa Giusti intitolato Una guerra a parte. Si tratta di un lavoro interessante per molti aspetti. La recensione di Antonio Carioti sul Corriere appare appassionata e positiva. Ricorda, tra le altre cose, che il volume rimette in ordine i numeri riguardanti le vittime di Cefalonia. Ne sono lieto. Da anni persone come Massimo Filippini (che perse il padre in quell'occasione), Gianfranco Ianni e Filippo Manduchi insistono sul ridimensinoamento dell'eccidio, documenti alla mano.
Filippini ha un sito. Ianni ha recentemente pubblicato un bellissimo libro su quegli accadimenti (Rapporto Cefalonia, Edizioni Solfanelli), mentre Filippo Manduchi ml aveva inviato un breve riassunto della documentazione in suo possesso. Era il 2 febbraio 2011. Non ero ancora stato epurato da Odradek. e il suo post ando' a finire su quel blog.
Lo riporto integralmente, con il commento di Filippini.


Colgo l'occasione per salutare Gianni Delle Fave, un amico di Cefalonia, figlio di quella guerra, che visse sull'isola fino al terremoto del 1953, per poi raggiungere il padre, finanziere, in Campania. E' scomparso prematuramente pochi giorni fa, lasciando in tutti un grande vuoto. 

Marconista




Cefalonia

Siamo convinti che la Storia la si scrive e la si legge con l'aiuto delle carte geografiche ma anche di una calcolatrice, per contare i morti, certo. Per avere cioè cognizione dell'ordine di grandezza dei fenomeni, ma anche per poterli attribuire a una parte o all'altra sulla base di documenti e testimonianze, e sul loro controllo incrociato. Una condizione necessaria, anche se non sufficiente. Col risultato di dissacrare la storiografia dei piaggiatori o dei pugilatori a pagamento. Si tratti di Cefalonia o delle Foibe. 
Cefalonia 1943. Dati raccolti e curati dal Capitano di Fregata (c.p.) Filippo Manduchi, di Rimini, negli archivi dello Stato Maggiore dell’Esercito e della Marina. 

Caduti nel corso di tutto il secondo conflitto mondiale della Divisione Acqui e relativi reparti di supporto: 4.836 (escluse le camicie nere, che hanno patito, fino al 25 luglio 1943, 106 caduti).
Morti accertati a Cefalonia in combattimenti o fucilati dai tedeschi dall’8 al 28 settembre 1943: 1679 militari. Di questi, gli ufficiali uccisi furono 314, di cui 136 fucilati alla “Casetta Rossa”.
Nei 1679 caduti sono compresi anche 29 carabinieri (3 ufficiali), 21 guardie di Finanza (3 ufficiali) e 33 marinai (8 ufficiali).
Dopo la resa avvenuta il 22 settembre e le ultime fucilazioni del 25, rimasero in mano tedesca circa 8000 prigionieri, mentre qualche centinaio di soldati italiani si diede alla macchia; alcuni di loro passeranno nella file dell’ELAS, altri si rifugeranno nel continente greco aiutati da pescatori locali.
Dal 28 settembre iniziarono le partenze dei prigionieri per i campi di lavoro in Europa. Su 8 navi da trasporto, fatiscenti e sovraccariche, partirono 6418 prigionieri italiani. Di queste, ne giunsero a destinazione solo 5, mentre 3 affondarono.
Il 28 settembre la prima di queste, il piroscafo tedesco “Ardena” che aveva a bordo 840 soldati italiani, affonda dopo aver urtato una mina. Morirono in 720, più 59 dei 120 soldati tedeschi.
Il 13 ottobre un sommergibile britannico, il Trooper” silura e affonda il piroscafo italiano “Maria Amalia”, già francese con il nome di “Marguerite”, con 900 prigionieri a bordo. Ne morirono 544, mentre non sono noti i numeri riguardanti i tedeschi.
Il 22 novembre viene silurata dal sommergibile britannico “Torbay” la motovedetta italiana “Alma”. Sui 200 prigionieri trasportati ne morirono la metà.
Nei tre naufragi morirono 1364 italiani.
Nel novembre del 1943 rimasero a Cefalonia circa 1600 prigionieri, con 20 ufficiali, che fino al settembre del 1944 collaborarono in varie forme con i tedeschi. Nel dicembre del 1943 due compagnie con tre ufficiali (il Postal, Tommasi e Farina), furono spostate nel continente greco ad Agrignon in campi di lavoro.
Dopo la partenza dei tedeschi da Cefalonia, nell’ottobre del 1944, 1286 italiani reduci dall’isola sbarcarono a Taranto il 13 novembre 1944.
Filippo Manduchi
La verità è nota da tempo. Secondo l’Ufficio ALBO D' ORO del Ministero Difesa sito in via Sforza n. 4/b, Roma, i Caduti furono 1.639. Della vicenda, invece, è stato fatto un uso strumentale, che la rende l’altra faccia della medaglia delle Foibe. In entrambe gli italiani sono le vittime, mentre i carnefici sono da una parte i nazisti, dall’altra i comunisti, i due totalitarismi del ‘900. Pur di consolidare l’immagine di un paese martire agli occhi dell’opinione pubblica, la politica italiana ha gonfiato a dismisura le cifre di entrambe le vicende, dichiarando addirittura “Giornata del Ricordo” delle vittime delle Foibe il 10 febbraio, proprio il giorno in cui è stato firmato il trattato di pace nel 1947. Non può trattarsi, ovviamente, di una coincidenza. Si tratta di rimozione storica più che di revisionismo, di rovesciamento dei fatti e di ricerca di una vittima (un gruppo di vittime) presentabili per la ferocia subita, o il loro eroismo. Cefalonia come primo atto della Resistenza? In realtà quegli italiani, tutti, dagli uccisi ai deportati, fino ai collaborazionisti, avevano un solo desiderio dopo l’8 settembre: tornare a casa e porre termine alla guerra. Si divisero sul come raggiungere questo obiettivo.

Commento di Massimo Filippini, · http://www.cefalonia.it

Quando per circa 70 anni le Autorità Politiche (Capi dello Stato compresi) dicono che la div. Acqui 'SCELSE' DI COMBATTERE e non che ricevette l'ORDINE DI COMBATTERE, quando le Autorità Militari - per nascondere una Verità da cui l'Esercito sarebbe uscito con l'immagine compromessa - 'secretarono' per 50 anni - fino al 1998 - la Relazione del t. col. Picozzi che nel 1948 esse avevano mandato a Cefalonia per fare chiarezza sui fatti e lui l'aveva fatta - eccome! - e quando le stesse - depositarie dei documenti che smentiscono i colossali dati numerici delle Vittime - si uniscono alle commemorazioni di 10.000 militari uccisi dai tedeschi (di cui oltre la metà fucilati in un solo giorno !!) orchestrata da Associazioni - come la 'Acqui' e la 'Mediterraneo' - sostenitrici della ricostruzione in chiave ideologico-resistenziale della Sinistra da cui, per giunta, i nostri Soldati vengono trasformati in Partigiani ansiosi di morire pur di resistere ai tedeschi con cui erano alleati fino a poche ore prima, a questo punto l'impresa di smentire tali falsità poteva - un tempo - apparire titanica ma oggi non lo sembra più grazie ANCHE a Filippo Manduchi che ringrazio ed abbraccio fraternamente.
Lasciamo agli altri di sostenere le loro falsità storiche giocando con i morti: noi li rispettiamo.
Massimo Filippini.




Allego anche un commento di Massimo Filippini alla trasmissione Porta a Porta dedicata alla Resistenza  

fonte: http://www.politicamentecorretto.com/index.php?news=22808

   Ho visto la puntata di ‘Porta a Porta’ andata in onda il 21 aprile (La Resistenza sconosciuta) in cui largo spazio era riservato al libro LA RESISTENZA TRICOLORE di A. Petacco e G. Mazzuca -giustamente diretto a rivalutare la resistenza delle FFAA o ‘tricolore’ contrapposta a quella ‘partigiana’ - ma poco dopo l’inizio mi sono cadute le braccia nel vedere il consesso di ‘esperti’ presente -tra cui addirittura il Ministro della Difesa- non battere ciglio mentre l’ineffabile Bruno Vespa ‘dava i numeri’ sulla resistenza di Cefalonia che -stante il titolo della trasmissione- potremmo anche definire ‘Resistenza Porta a Porta’.
  Dico questo senza alcuna intenzione di essere irriverente sulla tragedia che si consumò in quella maledetta isola e di cui restò vittima anche mio Padre, ma solo perché di fronte all’ennesimo scempio della verità storica compiuto questa volta da Vespa reiterando il solito FALSO dei 9.646 (NOVEMILASEICENTOQUARANTASEI) Morti a Cefalonia di cui 6.000 (!) nei combattimenti e il resto Fucilati dopo la resa, l’ineffabile Ministro della Difesa anziché annuire compunto avrebbe dovuto alzarsi e dire al conduttore che era un mentitore o un ignorante.
  Mi chiedo infatti se, a fronte di DOCUMENTI esistenti negli Archivi dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito il cui contenuto è confermato da quelli custoditi nell’ Ufficio “Albo d’Oro dei Caduti” del Ministero Difesa -TUTTI DA ME CONSULTATI- sia normale che il Ministro della Difesa e non un Pinco Pallino qualsiasi stia ad ascoltare, senza reagire ma anzi annuendo, le balle snocciolate da un tizio interessato, per di più, a dare un taglio spettacolare alla vicenda ricorrendo al solito stantìo ritornello dei ‘novemila e rotti morti’ ormai smentito da studiosi e ricercatori ‘onesti’ –e sottolineo ‘onesti’- tra cui io fui il primo, soprattutto in base alla DOCUMENTAZIONE ESISTENTE NEGLI UFFICI del Dicastero di cui egli è addirittura…MINISTRO (!).
  Si potrà obiettare –come ormai sono usi fare coloro che ho colto in castagna- che anche un numero di Caduti inferiore di molto a quello contrabbandato per vero è pur sempre indice della barbarie di cui i nazisti fecero sfoggio nella 2^ G. M. acuita per di più -a Cefalonia- dal fatto di essersi sentiti traditi, purtroppo non senza ragione, dall’armistizio concluso alla chetichella da Badoglio.
  Sono pienamente d’accordo con tale considerazione e non perdonerò mai ai tedeschi l’infame comportamento tenuto nei confronti dei nostri Ufficiali, ‘rei’ di aver obbedito ad un ORDINE (infame) del loro Comando Supremo, i quali, dopo la resa della div. Acqui  furono gli UNICI sui quali si indirizzò la loro vendetta che ne vide 129 il 24 settembre e 7 il 25 –tra cui il Padre di chi scrive- fucilati a Capo S. Teodoro nel cortile della tristemente nota ‘Casetta Rossa’ ivi esistente: ma proprio per tal motivo non è più giustificabile continuare a parlare dell’eccidio di 9/10.000 uomini ormai smentito documentalmente oltre che da me, ne ‘I CADUTI DI CEFALONIA: FINE DI UN MITO’, anche da altri tra i quali il defunto ricercatore tedesco H. F. Meyer che nel suo ‘Bluetiges Edelweiss’ documentò che i morti italiani furono ‘circa 2.000’ fino alla recente CTU del prof. Carlo Gentile, Perito nominato dalla Procura Militare di Roma nel processo a carico dell’ex s. ten. tedesco Muhlhauser, estinto lo scorso anno per morte dell’imputato, dove a pagina 30 è scritto che le Vittime furono ‘circa 2.300’ cifra ben lontana quindi dalle cretinaggini sparate con disinvoltura da Bruno Vespa tra il tacito consenso degli avventori di ‘Porta a Porta’.
  Ho qualificato di proposito ‘avventori’ i presenti alla trasmissione perché –absit iniuria verbis- di fronte alle sciocchezze dette con sicumera da Vespa essi sembravano a cominciare dagli autori del libro (Petacco e Mazzuca) i clienti di un’osteria dediti -dopo aver alzato il gomito- a dare in generosa confusione i ‘ numeri’ più disparati e comunque ‘astronomici’ sui Caduti di Cefalonia come è avvenuto l’altra sera.
   E dire che avevo perfino scritto qualche giorno prima al  deputato PDL Giancarlo Mazzuca autore con Petacco de ‘La Resistenza Tricolore’ presentato da Vespa, la seguente mail:
“Egr. on. le
ho letto il libro anche da lei scritto La Resistenza Tricolore e pur condividendo il tema di ridare visibilità alla Resistenza dei Militari oscurata dalla Sinistra debbo però rilevare che su Cefalonia -dove venne fucilato mio Padre magg. Federico Filippini- è riportato un numero di Caduti (9646) smentito dai DOCUMENTI esistenti all'Uff. Storico EI e all'Albo d'oro Caduti del Min. Difesa.
Essi furono 1300 circa -morti nei combattimenti- e SOLO 350 circa -in gran parte UFFICIALI- che furono fucilati come capi di partigiani o franchi tiratori a norma delle Convenzioni Internazionali che lo autorizzavano poichè non c'era stata alcune DICHIARAZIONE DI GUERRA AI TEDESCHI che avvenne solo il 13 ottobre successivo.
L'ho detto anche a Petacco ed ora a lei per opportuna conoscenza e a  ciò aggiungo il link che segue  con un rimprovero amichevole per l'errore commesso di cui  spero vi rendiate conto correggendolo in seguito.
Distinti saluti
Avv. Massimo Filippini.






mercoledì 9 novembre 2011

Le due Europe

Le reazioni al referendum greco, le dimissioni di Papandreou, la democrazia sempre più impotente
LE DUE EUROPE

di Stefano Carluccio

Persino nel cuore dell’Impero, nella stampa di lingua sassone del IV Reich (come chiamano gli americani l’Europa “germanizzata”, poichè quella “carolingia” franco-tedesca è ormai superata dai fatti  - come ha ben esemplificato Romano Prodi (“Ma quale direttorio! Lei detta le regole e lui fa la conferenza stampa”, alludendo al duo Merkozy) - persino in Germania e in Austria c’è fermento per la sottomissione alle tecnostrutture finanziarie globali della piccola politica dell’Unione.
La questione è posta con brutale chiarezza: siamo di fronte a “Due Europe”, quella dei mercati e quella di popoli, ed ad uno bivio tra le due prospettive.
Chi ha avuto il merito di mettere a fuoco sotto gli occhi del mondo la natura della crisi dell’Euro nella speculazione contro il debito sovrano dell’Unione (e dei suoi membri) è stato il primo ministro Papandreu con la minaccia del referendum, non sulla moneta unica, ma sulla questione di sovranità in assenza di un passo conclusivo verso l’integrazione economica e politica.
Questione aggirata in nome dell’emergenza, quasi fosse impazzito.
Scrive l’austriaca Die Press che le “reazioni alla proposta di referendum dimostrano che in Europa si è ormai affermato un pensiero unico che non tollera obiezioni, ma l’ortodossia finisce sempre per accecare le menti”. E si domanda: “Cosa ci vogliono dire i commentatori dell’ Europa unita (che il giornale austriaco mette sul piano di una casta sacerdotale, investita da non si sa quale potere superiore) che un rifiuto del piano di Bruxelles da parte dei greci avrebbe avuto ‘conseguenze imprevedibili’? Insinuano forse che le conseguenze delle ‘misure’ decise finora erano prevedibili? Gli avvenimenti dell’anno scorso ce ne hanno fornito qualche prova?”.
Quindi l’affondo: “Perchè i cittadini europei non avrebbero il diritto di pronunciarsi su un progetto che riduce in modo considerevole la sovranità del loro Paese? Forse è colpa loro se non capiscono che succede oppure è di chi non glielo ha spiegato chiaramente? E le mancate spiegazioni di questi ultimi non sono forse dovute al fatto che anche loro non capiscono quello che succede?”.
Senza dogma non vi sarebbe eresia “e senza eretici l’Europa - ne è convinta Die Press - non potrà essere salvata. In realtà chi contesta il diktat attuale difende l’Europa”.
Si mormora in giro, sempre più spesso, che l’Euro sia stato un errore e che sia una disgrazia esserci finiti dentro. E’ un luogo comune forse maggioritario nel sentiment di tutti i ceti, soprattutto negli ex ceti medi o in via di diventarlo (l’asticella del reddito sale di mese in mese). E’ una reazione giustificata, ma sbagliata. 
Giustificata perchè l’Euro non era il fine del Trattato di Maastricht, ma un mezzo: il fine era il“Mercato Unico con un’Unica Moneta”, come titola lo stesso Trattato. Ma senza Mercato unico c’è solo la politica monetaria. E questa è l’unico criterio di economia pubblica europea vigente nell’Unione. Di qui la crisi della prospettiva unitaria, della crescita economica e della moneta.
Sbagliata, perchè, L’Euro deve essere rimesso al suo posto come strumentale a una più ampia visione di Unità europea: porre fine a secoli di conflitti e al sorgere di totalitarismi, come vollero a Maastricht Khol e Mitterrand, Craxi, Thatcher, Gonzales, Soares, ecc.
L’Euro è dunque un campo di battaglia in cui si combatte per “Due Europe” e che i democratici non abbandonano, per affermare la loro visione di Europa.
Lo spiega molto puntualmente il più importante quotidiano tedesco la FAZ (Frankfurter Allgemeine Zeitung) in un editoriale di Frank Schirrmacher ( sollecitiamo a leggere con attenzione l’articolo qui sotto) che chiarisce i termini dello scontro in corso (vedi testo originale in tedesco).
Essendo quello tedesco un popolo da decenni democratico, a tutela della sua stessa libertà la FAZ scrive fuori dai denti e pone questioni molto pesanti (forse ricordando Weimar), ma illuminanti su ciò che si muove dietro le quinte della crisi: “Sui mercati finanziari alcuni protagonisti analizzano senza scomporsi la storia di questa crisi annunciata. Una voce che circolerebbe - riferisce la FAZ - negli ambienti della finanza sostiene: sarebbe bello se una giunta militare prendesse il potere in Greciaperchè nessuna giunta militare potrebbe essere accettata nella UE”. Quindi prosegue: “C’è chi come Forbes, che non è certo una voce ininfluente nel mondo della finanza, si spinge addirittura oltre: ‘La cosa più triste della battuta - riferisce -  è che se ignoriamo il fatto che si tratterebbe di una dittatura militare, sarebbe in realtà una buna soluzione per il Paese”.
Chiaro? Se non lo fosse, il quotidiano di Francoforte si fa più esplicito: “Ormai è sempre più evidente che la crisi che sta stritolando l’Europa non è una difficoltà passeggera, ma l’espressione di una lotta per la supremazia tra il potere economico e quello politico”.
Sui giornali italiani nemmeno un cenno, nè all’editoriale (clamoroso per la testata e il Paese da cui proviene), nè al tema. Mille anni luce distanti. Non solo provinciali, non solo irresponsabili, come si dice. No, peggio: servili. Capita anche ai migliori, come - lo citiamo a mo’ di un esempio tra i tanti perchè mediamente più illustre -  in un recente editoriale sul Corriere della Sera,  nel quale si giunge a sostenere che: ogni democrazia, persino quella greca, può liberamente mandare a quel paese anche l'euro, purché ne accetti le conseguenze. I cosiddetti mercati non impongono nulla”.
Questo  è il “culturalmente corretto” in voga. Ma la ragione ha un suo rigore: il dirigismo finanziario che si asserisce nell’articolo, si basa su una presupposta e indimostrata “neutralità” dei fatti economici, quasi questi non fossero il risultato di libere volontà, di scelte più o meno etiche. Quasi i “mercati” non avessero un nome, cognome, via e numero di telefono. La venatura dirigista di molti intellettuali italiani si è spostata, dopo la fine del comunismo, in quella che si specchia come falsa coscienza “liberale” perchè si applica alla finanza. Fatto sta che lo “storicismo finanziario” finora non l’aveva inventato ancora nessuno.  Ma è una sciocchezza che sta diventando un “fatto” nell’opinione pubblica, la  disorienta in una crisi che non si vuol dire come sconfiggere. Aspettare e subire.
Dopo un secolo speso in distruzioni, il solo traguardo positivo, l’Europa unita, sembra essere in pericolo aggredita da entità neutre “che non impongono nulla”.
Ci si crede davvero o ci si adegua?
Nel dubbio verso “entità neutrali” di qualunque tipo, la Grecia inventò oltre duemila anni fa la Democrazia. Che neutrale non è, essendo l’arma degli indifesi.
                                                                                


La crisi europea è strutturale. Lo scontro è tra potere economico e politico. Il caso della Grecia nei corridoi della finanza internazionale
"LA DEMOCRAZIA E' SPAZZATURA"
L'analisi della Frankurter Allgemeine



di Frank Schirrmacher
(2 novembre 2001)

Il referendum indetto da Papandreou ha scatenato l'indignazione di tutta Europa, ma si tratta di un basilare esercizio di sovranità popolare. Il sacrificio dei valori fondamentali sull'altare dei mercati è ormai compiuto.Il sentimento di apparente stabilità tra le élite europee è durato appena due giorni. Sono trascorse 48 ore tra l'immagine della matriarca Merkel, a cui il mondo intero si è rivolto, e quella della depressione. Un medico direbbe che si tratta di una patologia, e ci spiegherebbe che la psiche collettiva è malata, e i fantasmi della grandezza e della fiducia di cui si nutre sono ingannevoli. Costernazione in Germania, Finlandia, Francia e persino nel Regno Unito. Costernazione sui mercati finanziari e nelle banche. Il motivo? Il primo ministro greco George Papandreou ha deciso di indire un referendum per chiedere l'opinione del suo popolo su una questione decisiva per il futuro del paese. Il primo novembre abbiamo visto i banchieri e i politici europei lanciare l'allarme di un crollo delle borse. Il messaggio era chiarissimo: se i greci diranno sì, vorrà dire che sono degli idioti. Quanto a Papandreou, è uno scriteriato soltanto perché ha pensato di porre la domanda. Forse però, prima di sprofondare nella spirale del panico, è arrivato il momento di fare un passo indietro e osservare la situazione in modo distaccato. Davanti ai nostri occhi si sta svolgendo lo spettacolo della degenerazione dei valori che l'Europa dovrebbe incarnare. Sui mercati finanziari, alcuni protagonisti analizzano senza scomporsi la storia di questa decadenza annunciata.

Il Daily Telegraph riporta una voce che circolerebbe nei circoli della finanza e anche all'interno del governo britannico: sarebbe bello se una giunta militare prendesse il potere in Grecia, perché nessuna giunta militare potrebbe essere accettata dall'Ue. Forbes, che non è certo una voce ininfluente nel mondo della finanza, si spinge addirittura oltre: 'La cosa più triste della battuta è che se ignoriamo il fatto che si tratterebbe di una dittatura militare, sarebbe in realtà una buona soluzione per il paese'.Non c'è bisogno di sottolineare tutti i collegamenti di questa battuta con il subconscio per capire che siamo davanti al sacrificio totale dei principi morali del dopoguerra sull'altare di un'entità economica e finanziaria superiore. Processi come questo si sviluppano sotto traccia. A volte durano decenni, e spesso si concludono con la nascita di una nuova ideologia. È accaduto in occasione di tutte le grandi crisi autoritarie del XX secolo. Vogliamo ricordare le parole di Papandreou, che sono risuonate nelle orecchie dell'Europa come i vaneggiamenti di un pazzo: 'la volontà del popolo finirà con l'imporsi'. Se il popolo rifiuterà l'accordo con l'Ue, 'non lo porteremo avanti'. In Germania, ricordiamocelo, fino a qualche giorno fa consideravamo la democrazia come l'affermazione del potere legislativo, imposta dalla Corte costituzionale e acclamata da tutti i partiti. In nome di questo principio abbiamo addirittura rinviato un summit dell'Ue. Ma oggi lo stesso non vale per la Grecia.
Prigionieri dei mercati

Ma cos'ha di così insopportabile l'iniziativa del governo greco? Risposta: il fatto che il primo ministro sottometta il futuro del paese al parere del popolo. Davanti a una simile decisione i tedeschi, i cosiddetti cittadini modello, sono andati nel panico, ma soltanto perché prima di loro lo hanno fatto i mercati finanziari. La verità è che siamo tutti prigionieri dei mercati ancora prima che si esprimano. Ormai è sempre più evidente che la crisi che sta stritolando l'Europa non è una difficoltà passeggera, ma l'espressione di una lotta per la supremazia tra il potere economico e quello politico. Quest'ultimo ha già perso molto terreno, e continua a perderne sempre più rapidamente. L'incomprensione totale suscitata dal gesto di Papandreou riguarda anche lo spazio pubblico democratico. Nessuno sembra ricordarsi che la democrazia ha un prezzo, e dobbiamo essere tutti disposti a pagarlo.
Vogliamo davvero che il processo democratico cada in balìa delle agenzie di rating, degli analisti e di altri gruppi bancari? Nelle ultime 24 ore tutti questi attori si sono affrettati a porre interrogativi di ogni sorta, come se davvero avessero voce in capitolo per interferire con il diritto del popolo greco a decidere il futuro del proprio paese.
La supposta razionalità dei meccanismi finanziari ha lasciato il posto all'atavica tendenza a generalizzare. Ci eravamo illusi che l'arroganza di trattare un popolo intero come se fosse composto soltanto da truffatori e scansafatiche fosse sparita insieme al nazionalismo. E invece oggi assistiamo a un ritorno di questa mentalità, sostenuta addirittura da 'prove ragionevoli'. La deformazione del parlamentarismo, schiacciato dalle logiche di mercato, non cancella il fatto che il popolo greco deve essere considerato un 'legislatore straordinario'. I cittadini della Grecia hanno il diritto e il dovere di esprimere il loro parere.
In Germania i deputati che seguono la loro coscienza sanno che nessuno metterà loro la museruola. E ciò che è valido per un deputato tedesco, in quanto individuo, vale anche per uno stato e per l'Europa intera. Papandreou fa benissimo a fare quello che sta facendo. La sua decisione indica al vecchio continente la via da percorrere. L'Europa dovrebbe fare di tutto per convincere i greci che la soluzione proposta è la migliore. Ma dovrebbe prima convincere se stessa. Per gli altri paesi europei indebitati, invece, sarebbe un modo esemplare di dar prova di lucidità e capire fino a che punto sono disposti a sacrificarsi in nome di un'Europa unita.
(traduzione di Andrea Sparacino)
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Islanda, allieva prediletta


Islanda, allieva prediletta del FMI




Ma voi sapevate che i “ribelli” islandesi del “default selettivo” sono stati per circa tre anni sottoposti alle amorevoli cure del Fondo Monetario Internazionale, bastione dell’ortodossia finanziaria globalizzata? No, vero? La notizia non vi è stata data dagliindignados de noantri, quelli che “il vostro debito non lo paghiamo”, quelli che “facciamo tutti come la virtuosa Islanda”. Meglio di no, si direbbe.
Dopo il collasso del proprio sistema bancario, l’Islanda ha subito quello che in gergo viene chiamato un  sudden stop, un arresto improvviso dell’influsso di fondi, che ha causato un violento squilibrio di bilancia dei pagamenti. In questi casi, gli stati chiedono l’assistenza del Fondo Monetario Internazionale, che eroga una linea di credito (Stand-By Arrangement, SBA), la cui erogazione rateale è condizionata a precise azioni di politica economica, tra le quali una feroce austerità, per migliorare la competitività.
Ebbene, l’Islanda si è assoggettata di buon grado alla procedura, che è terminata in agosto e che è stata giudicata dal FMI “un successo”. Non tutti la pensano allo stesso modo, a dire il vero, e i dati macro non sembrano particolarmente eclatanti, come scrive l’economista Jon Danielsson su Voxeu evidenziando, tra le altre cose, che:
  • Public finances are not on a sustainable path,
  • Exchange rates are not fully stable even with capital controls,
  • Investment has collapsed, and
  • The financial sector is dysfunctional
Non entriamo nei dettagli, lasciando agli interessati la lettura del pezzo di Danielsson, che spiega tutti i gravi problemi che il paese sta ancora affrontando. Quello che ci preme ribadire, ormai ad nauseam, è che la “ribellione” del debitore Islanda si è sostanziata nel rifiuto di indennizzare Regno Unito e Olanda per aver protetto i propri depositanti in Icesave, che era una banca privata islandese. Ora, non che questa iniziativa non sia degna del massimo plauso, tutt’altro. Ma non si è trattato in alcun caso di un default sovrano. Ma resta il fatto che, per fronteggiare la crisi di bilancia dei pagamenti innescata dal crollo dei flussi finanziari, l’Islanda ha seguito la strada più tradizionale possibile, il ricorso all’ortodossia del FMI.
Sarebbe utile segnalare anche questo “dettaglio”, quando si racconta la vicenda islandese, ad evitare che qualcuno si entusiasmi troppo per ricette “alternative” alla crisi del debito che in realtà di alternativo non hanno proprio nulla.
http://phastidio.net/2011/10/31/islanda-allieva-prediletta-del-fmi/