giovedì 16 maggio 2013

OPAC SBN

Opac Sbn, un gioiello italiano che rischia di scomparire

Tecnologia 7 maggio 2013
C'è un gioiello tutto italiano sul web che rischia di sparire, per mancanza di fondi: è il servizio del Catalogo nazionale on line delle Biblioteche italiane (Opac Sbn), a cui aderiscono oltre 5 mila biblioteche. E' un esempio di come il web possa mettersi al servizio del mondo 'materiale' (ricerca di libri o documenti rari). Servizio superfluo, in tempi di vacche magre? Non proprio: www.opac.sbn.it ha più di 2 milioni e mezzo di visitatori l’anno: studiosi, ricercatori o semplici lettori.

Come spiegano le responsabili Gabriella Contardi e Silvia Simonelli, il catalogo consente di accedere a 14 milioni di titoli con 64 milioni di localizzazioni, circa 50 milioni di ricerche bibliografiche e piu’ di 35 milioni di pagine visitate’’. E permette anche di prenotare la consultazione del libro o del documento, chiederne una riproduzione e in alcuni casi il prestito. Un sogno, per chi ad esempio (come me) ha fatto la tesi prima del web, cercando i testi in biblioteche diverse di diverse città.

Taglio su taglio, dopo anni il Catalogo unico non dispone più dei finanziamenti necessari alla gestione. ‘’Si è dovuto ridurre il livello del servizio offerto e cercare finanziamenti al di fuori del bilancio dell’Iccu. Ma ormai la chiusura è inevitabile’’. E pensare che, come spiegano gli addetti, il Catalogo unico ‘’è considerato una realizzazione all’avanguardia presa a modello di buona pratica a livello internazionale’’.

Possiamo fare uno sforzo e salvarlo?

Franca Ferri

LUISA IMPASTATO RICORDA


DA BARUDA.NET


Alessia Salamina, che ringrazio, ha commentato così un post sulla vicenda dello scortato e del prigioniero [qui l'ordinanza di archiviazione della causa penale intentata da Saviano contro Paolo Persichetti
http://insorgenze.wordpress.com/2013/01/23/persichetti-ha-utilizzato-fonti-attendibili-il-gip-archivia-la-querela-di-saviano-contro-lex-brigatista/

Ecco comunque il commento di Alessia:

Gentile Marco,
questa mattina -o pomeriggio- ho scritto per la seconda volta un breve post sul profilo facebook di Roberto Saviano, chiedendo spiegazioni riguardo la faccenda Impastato. Immaginavo che non avrei ricevuto alcuna risposta, tuttavia ho posto la domanda senza ostilita', senza l'ombra della piu' lieve ironia. Soltanto esercitando il mio diritto a sapere. Ho ricontrollato il profilo di Saviano dopo alcune ore e ho trovato come unico, ma apprezzatissimo, segno il suo "Mi piace" al mio post. Come puo' vedere ho curiosato (spero non la infastidisca) tra le sue carte virtuali e ho scoperto il suo blog che contiene un aggiornamento sul caso a me caro.
La faccio breve: mi riassumerebbe la risposta/giustificazione di Saviano? Che cosa gliela ha resa cosi deludente come sembra dal suo post?
La ringrazio e buon lavoro.

Alessia Salamina

Stamattina in tutta fretta ho aggiunto un paio di commenti, promettendo un post. Poi, è intervenuta Luisa Impastato, che riporto. Mi pare decisiva. Sottolineo proprio quel "letterario" e gli dò il senso di "letteratura". Come avevo scritto già, molto tempo fa, su questo blog. E non credo fossi così lontano dal vero.
http://primadellapioggia.blogspot.it/2011/11/anna-e-lo-scrittore.html


Luisa Impastato Scusate l’intrusione, ma credo che si stia tentando di innescare anche in questo caso, e al contrario, la cosiddetta macchina del fango. Se la memoria non m’inganna, ricordo che la rettifica che era stata chiesta a Saviano ( e che lui ha rifiutato) fosse relativa ad una sua affermazione che ha ingiustamente ridotto a poco il grandissimo lavoro svolto dalla mia famiglia, dal centro Impastato ( che ha chiesto la rettifica) e dai compagni, per pervenire ad una giustizia che, ha si impiegato più di 20 anni per compiersi, ma che poco ha avuto a che fare col film “i cento passi”. il film ha di certo contribuito ad amplificare la storia di mio zio sul circuito nazionale, ma è arrivato dopo una lotta ventennale per tentare di mantenere viva la memoria di Peppino. Era questa l’inesattezza che gli si contestava. Inoltre credo pure di ricordare che mio padre fosse stato già prima invitato alla trasmissione ” vieni via con me” , invito rimandato a data da destinarsi proprio in seguito alla vicenda sopra riportata; a quel punto pensammo, se non ricordo male, che si sarebbe potuto chiarire tranquillamente il tutto proprio in occasione della partecipazione alla trasmissione, ma , come dicevo, ciò non avvenne più. Un altro momento che ricordo, anche con affetto, e’ stata l’iniziativa di cui Roberto parla,organizzata in pizzeria. Io,sinceramente, sono certa che lessi il libro ( che mi feci pure timidamente firmare) solo dopo l’incontro e ricordo che con mia madre commentammo quello scritto che trovammo un po’ romanzato: in effetti mia nonna non aveva il telefono e non chiamava mai nessuno ( se non erro nel libro non è specificato che qualcuno era li e le abbia passato il telefono). Con mia madre riflettevamo su una descrizione di mia nonna che poco la rappresentava così come la conoscevamo noi , per questo pensammo che fosse un tantino enfatizzata ( magari non del tutto falsa, per carità, ma molto letteraria) . Ma ne apprezzammo comunque il pensiero (personalmente ricordare anche mia nonna lo trovo determinante). Mi sono permessa di ” intromettermi” perché anche io sono tra quelli che non riesce a resistere, se legge delle inesattezze o delle illazioni che poco hanno a che fare con la realtà ( chi conosce i “protagonisti” di questa storia sa benissimo che non pubblicizzano un prodotto, ma portano in tutta Italia la memoria storica di Peppino e di mia nonna, avendo in cambio una gratificazione data soprattutto dai tanti che dopo 35 anni ne sposano ancora la causa). Ho scritto tutto d’un fiato, per cui mi scuso anche per eventuali errori. con rispetto.
Luisa Impastato.

mercoledì 15 maggio 2013

LA MACCHINA DEL FANGO

Gli risponde, allo scortato, una grande Baruda (baruda.net)



Caro Roberto Saviano,
pochi minuti fa hai risposto sulla questione della telefonata con Felicia, la mamma di Peppino Impastato, che sarebbe avvenuta poco prima della sua morte e prima della tua notorietà. 
Pensavo, sinceramente facessi come con Vittorio Arrigoni, pensavo non avresti risposto, tacendo.
La lettera della nuora di Felicia Impastato
La lettera della nuora di Felicia Impastato
Ma dimenticavo che ti piace infierire con i più deboli, e la tua querela contro Paolo Persichetti e la testata per cui scriveva, nonchè la tua risposta di poco fa, lo palesa: non solo un giornalista infatti, ma un detenuto.
Che ogni sera varcava la soglia del carcere perchè accusato di aver preso parte ad un’organizzazione armata sciolta più di 25 anni fa, e “rapito” dalle autorità italiane nell’agosto 2002 in barba alle normali procedure di estradizione.
A causa della querela, e di ciò che ne è seguito, per più di un anno si è visto negare l’affidamento ai servizi sociali (praticamente a fine pena) e questo è una sentenza di Cassazione a raccontarcelo, come tu ben saprai.
Le stesse cose dette da Persichetti son state sostenute dal Centro Impastato e dai suoi portavoce, ma hai denunciato il più debole, un giornalista in semilibertà che lo raccontava.
Non mi risulta che tu ti accanisca nello stesso modo con personaggi come Aldo Grasso, meno deboli certamente, che hanno scritto anche di peggio.
Nessun tribunale ha detto che quella telefonata non c’è stata, non era lì a stabilire quello: ci ha detto che il giornalista Paolo Persichetti, e non quello che le tue parole ci descrivono come una specie di assassino livoroso, ha lavorato nel modo giusto, appoggiandosi a fonti più che certe e provabili. Come i familiari.
Il resto sta al buon senso di chi legge carte e fatti.
La tua risposta dimostra che sei fatto di tanta spocchia e megalomania, e accolli agli altri un livore tutto tuo solo perché raccontano dei dati di fatto. La macchina del fango, appunto.

VOCE DEL VERBO LORDARE

Pubblica Saviano su FB, in evidente ambasce dopo che la notizia dell'assoluzione di Paolo Persichetti, da lui denunciato per diffamazione, finalmente è diventata di contezza nazionale.
Scrive, dunque, lo scortato:



"Ho ripensato a quando nell'agosto del 2009 Giovanni Impastato, fratello di Peppino, mi invitò a Cinisi, nella pizzeria estiva di famiglia. Un posto divenuto il simbolo delle iniziative antimafia, un luogo di resistenza. La resistenza di una madre, Felicia Impastato, che per trent'anni ha aspettato che fosse fatta giustizia per suo figlio, che i responsabili della sua morte venissero riconosciuti tali e condannati. A giugno di quello stesso anno, due mesi prima, era uscito “La bellezza e l’inferno” una raccolta di miei scritti che comprendeva anche un ricordo che nel 2004 avevo pubblicato su Nazione Indiana, in occasione della scomparsa di Felicia Impastato. Giovanni Impastato mi invitò a Cinisi per presentare il mio libro e il suo, “Resistere a Mafiopoli”, che dava il nome all’evento organizzato dall’associazione Peppino Impastato - Casa della Memoria e dal Centro Siciliano di Documentazione “G. Impastato”. Erano giorni difficili quelli, perché Gaetano Pecorella aveva detto pubblicamente che non era ancora chiaro il movente dell’omicidio di Don Peppe Diana. Decidemmo con Giovanni Impastato di dedicare quell’incontro – erano presenti anche l’allora Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso e il giornalista Francesco La Licata – alla memoria di Don Peppe. Nella corrispondenza di quel tempo, che conservo scrupolosamente, chiesi a Giovanni di poter visitare la tomba di Peppino e di Felicia Impastato, cosa che facemmo, insieme a Ciccio La Licata e alla mia scorta.
A Cinisi, pensando a Peppino Impastato, ricordai e condivisi con i presenti ciò che mi disse Enzo Biagi dopo avermi intervistato. "Non ti perdoneranno mai". Io pensavo ai camorristi, ma lui intendeva tutti gli altri. Avrei solo con il tempo capito quelle parole. Ecco, ciò che negli anni mi ha più colpito è la trasversalità con la quale mi si odia, da destra a sinistra, camorristi, brigatisti, Berlusconi, antimafiosi, intellettuali. Mi detesta anche chi non ha mai letto un mio scritto. Mi si attacca cercando e trovando le alleanze più inconsuete.
Di solito mi scrollo il fango di dosso, pensando che sia il prezzo da pagare, ma su questo non ce la faccio. Su questo ho deciso di non tacere, per il rispetto profondo che provo per la memoria di Felicia Impastato e per il disprezzo profondo per chi, odiando me, lorda chiunque trovi sulla sua strada.
Quando nel 2000 è uscito “I cento passi” e nel 2001 e nel 2002, con le condanne di Vito Palazzolo e Tano Badalamenti, si è chiuso il processo sull’omicidio di Peppino Impastato che durava dal 1984, ho pensato a quanto l’arte, in qualunque sua forma, abbia la forza di riaccendere i riflettori su vicende fondamentali che restano però nella cura e nella memoria di comunità attive ma esigue. Un film aveva giocato un ruolo essenziale perché l’Autorità Giudiziaria desse una risposta definitiva su un caso che ormai ciascuno sentiva vicino. Un film aveva avuto il merito di creare un’urgenza sociale. Un’urgenza giudiziaria. Dopo “I cento passi” nessuno poteva più dire di non conoscere Peppino Impastato e la sua vicenda. Queste parole le avevo scritte in un libro, “La parola contro la camorra”, pubblicato nel 2010, e sono valse la diffida all’editore Einaudi dal presidente del Centro Siciliano di Documentazione “G. Impastato” (lo stesso che solo qualche mese prima mi aveva invitato a Cinisi) e una lettera a Fabio Fazio e Paolo Ruffini, con la quale si intimava – “come il ministro Maroni” (cito testualmente) – un invito a Vieni via con me o a presentare un libro a Che tempo che fa per replicare a quanto avevo affermato sui meriti del film.
Quante cose si volevano estorcere per una mia valutazione, mia e non vincolante, non offensiva. E quanto ora si mistifica il racconto di quella telefonata con Felicia Impastato di cui avevo scritto per la prima volta nel 2004 e poi nel 2009, ma che assume importanza solo ora, quando diventa vitale screditarmi.
Le mie valutazioni su “I cento passi” non erano piaciute nemmeno a un ex brigatista condannato a 22 anni e 6 mesi di carcere per l’omicidio del generale dell’aeronautica Licio Giorgieri. Non avrei avuto titoli, secondo lui, per parlare di Peppino Impastato – sulla cui morte ci sono stati depistaggi da parte delle forze dell’ordine – perché “marionetta nelle mani di alcuni apparati” (anche qui, cito testualmente le parole del terrorista). Ecco, per questa affermazione e altre simili, ho presentato una querela che è stata archiviata perché il Giudice le ha ritenute espressione del diritto di critica. Accetto serenamente la decisione del magistrato, ma non le mistificazioni. Si è detto che il Giudice avrebbe stabilito che la telefonata che Felicia Impastato mi fece prima di morire sarebbe una mia invenzione. FALSO. Mai nelle motivazioni dell’ordinanza, che ognuno può leggere online, si afferma questo. E soprattutto in nessun passaggio si dice che non sia avvenuta. È una cosa terribile. La nuora di Felicia Impastato dice: “La madre di Peppino non aveva il telefono e faceva le telefonate tramite me. Non mi risulta che abbia telefonato a Roberto Saviano. Faccio notare che mia suocera è morta nel 2004 e il libro Gomorra è uscito nel 2006”. Una ragazza aveva letto i miei articoli e ne aveva parlato alla signora Felicia incontrandola a Cinisi. Le aveva passato me al telefono, all’epoca sconosciutissimo scrittore. Non avevo ancora scritto Gomorra e mandavo come gesto di omaggio gli articoli che scrivevo. Non è detto che ci si ricordi di un ragazzo che scrive di camorra e che nessuno conosce. Appunto, erano anni precedenti al 2004 e Gomorra esce solo nel 2006. Del resto, se avessi mentito, perché Giovanni Impastato mi avrebbe invitato a Cinisi nel 2009 per parlare di Peppino? Perché mi avrebbe portato sulla tomba di suo fratello? Avevo già scritto della telefonata con Felicia Impastato nel 2004 e poi ancora nel 2009, proprio nel libro che Giovanni Impastato mi aveva invitato a presentare. Perché non contestarmi la veridicità della telefonata in quel momento? Perché farlo ora? La macchina del fango urla falsità. Le urla ai tuoi amici, a chi ti è vicino. Cancella e mistifica la verità.
Nel 2004 quando Felicia Impastato morì, scrissi poche parole. Parole non richieste. Parole che non cercavano ricompensa. Quale ricompensa avrei mai potuto avere da un'anziana signora che non c'era più? Parole che nessuno o in pochissimi avrebbero letto. Non mi interessava, volevo ricordarla Felicia. Volevo ricordare il suo coraggio e la sua tenacia. Ma spesso gli amministratori della memoria ufficiale di chi non c'è più non hanno scrupoli. Non ci pensano troppo a trascinare nel fango chiunque. Attaccate me, come avete sempre fatto, con le solite accuse, ma lasciate stare chi nella vita ha avuto il coraggio di guardare negli occhi un mafioso e dirgli “fosti tu” a uccidere mio figlio.
Mi disgusta che le parole livorose di un ex brigatista condannato per omicidio, sostenute dal fango berlusconiano e alimentate da persone che volevano ottenere da me favori di promozione televisiva, provino a lerciare un mio ricordo scritto nove anni fa. Questo ho detto al Giudice in udienza e questo ritengo importante dire oggi: non intendo voltare la faccia di fronte a tanta meschinità. Lo devo al ragazzo che ero e a Felicia. Questo è il ricordo che scrissi della sua figura; mi farebbe piacere non venisse lordato."

INTERVISTA A DAVIDE STECCANELLA



"IL GIORNO"
Milano, 15 maggio 2013 -  Avvocato Davide Steccanella, non è troppo giovane per occuparsi di Lotta Armata? Come è nato questo interesse così densamente storiografico espresso ne «Gli anni della Lotta armata» per quasi 500 pagine? «All’epoca del sequestro Moro avevo 16 anni e ricordo l’enorme coinvolgimento politico della città in quegli anni e la violenza nei cortei... È una “storia” che ha procurato molti lutti “da una parte e dall’altra” ed è ancora abbastanza recente: non può essere raccontata in modo oggettivo da chi allora ne fu direttamente coinvolto».
Il sottotitolo parla di “rivoluzione mancata”. Cosa mancò?
«Il Novecento fu un secolo molto particolare: nel mondo si era visto rovesciare il potere esistente con azioni di forza, anche di matrice popolare e spontanea. E invece il mondo e l’economia stavano andando verso altre direzioni e quella generale spinta insurrezionale dei primi anni Settanta venne meno. Basti pensare che 11 anni dopo l’autunno caldo del 1969 ci sarà nel 1980 la marcia dei 40.000 quadri intermedi a Torino fino alla caduta del muro di Berlino. L’idea di poter fare la rivoluzione in un paese a capitalismo avanzato è stato, col senno di poi, l’errore originario».
Perché in così tanti decisero di armarsi?
«Non è facile attribuire questa scelta a qualcosa di diverso dal generale contesto politico del periodo e non va scordato l’antifascismo militante nato in reazione ai tanti morti. Non c’è dubbio tuttavia che si possano rintracciare nei più importanti gruppi armati precise provenienze: dai delusi del PCI nascono i GAP e le BR, dallo scioglimento di Potere Operaio, Autonomia Operaia e la successiva colonna romana delle BR, mentre sia i NAP che Prima Linea sono diretta derivazione di Lotta Continua».
Lei cita Erri De Luca: “Qualcuno in una cella e in un esilio sconta il Novecento anche per me”.
«De Luca ha saputo mirabilmente sintetizzare con quella frase anche la tragedia finale: di quella generale spinta alla rivolta alla fine sono rimasti a pagare con anni e anni di carcere solo quelli più direttamente esposti».
Crede che si corra il rischio di un nuovo terrorismo?
«No, la storia non si ripete mai. E la lotta armata di quegli anni è stata il punto di arrivo di un percorso storico e politico ben preciso che ha interessato non solo l’Italia ma tutto il mondo e che si caratterizzava anche per la sua “collettività”. Oggi non esistono più “movimenti” o anche solo categorie di massa in grado di organizzarsi in un attacco allo Stato».
 
«Gli anni della Lotta armata» di Davide Steccanella (edizioni Bietti)

SERA A SCHWABHAUSEN



Leningrado, 15 maggio 1988, casa dello studente «Korablstroiteli».
Diario di Thomas

Ieri Lisa è partita per Budapest e stamattina Ignat mi ha consegnato questa lettera:


Le radici dell’aurora affondano nel clivio dei tuoi occhi, che socchiusi riemergono dal mare come una dama dall’ottomana. Attendo il sogno concavo e le mattine andate del mio tempo presente che sono nelle notti bianche che verranno, grandi e umide come i miei occhi. Sarò la natura fragile di una farfalla di maggio abbandonata sotto forma di battello da te, l’enfant plein de tristesse che ha compiuto un sacrificio, a tuo ben dire, necessario. Già conoscevo il buio dell’oblio in cui mi ricacciasti, abbrutito come quel custode che, di fronte alla cittadella, non aspettò neanche la morte dell’astante, e chiuse le porte con un ghigno. Le tue mani di angelo, ferite e cieche, cedono al tempo in solitarie carezze contro il mio viso scarlatto ricoperto del sangue nero esploso dentro ai capillari dei miei occhi. Amasti il mio seno vermiglio e le perle della mia fronte ad una ad una, chino, raccogliesti, dopo aver spezzato il filo rosa, mentre tutto intorno l’aria bollente sgocciolava cera sul mio cuore quel 10 aprile, quando rientrammo in camera dopo che mi avevi portato fin sopra il lucernario di quel palazzo del centro per vedere la città odiata. L’uguaglianza ti turba, non è vero? Ti turba da quando ti sei chiesto per la prima volta: ma io sono amato? Dimmi Thomas, ricordi sempre che cosa ti ho detto domenica 10 aprile? Per me è ancora così, ma con una correzione, poiché Mozart venne seppellito in una fossa comune, e la moglie Constance non ebbe i soldi se non per un funerale di terza classe. A presto.
Ti allego questa poesia di Harold Gerlach, (che tu conoscerai senz’altro).  Si intitola 

Sera a Schwabhausen:

Tesa come su un tamburo la pelle
cede se mi sforzi piano,
per non ferire.
Tra noi il ricordo
di tutto ciò che non sapevamo.
Logorati a vicenda.
Respinta la mano irrigidita,
incerti i gesti,
sospesi fra noi.
Nomi, definizioni:
parole al macero.
Nulla più da perdere:
è questa la libertà?
Sapevamo che nulla resta valido.
A lungo sembrò possibile un’intesa.
Intorno lo sfacelo di villaggi deserti.
Separarci,
poi che il profilo si perde nella luce calante degli addii, irrevocabile,
unica via per restare noi stessi.

La poesia è molto bella. Io, però, non riesco proprio a ricordare che cosa mi abbia detto il 10 aprile.   

L'ATTACCO FINALE. E SENZA VOLTAIRE

Siamo soli, siamo alla resa dei conti. Il governo rosso-nero deve poter andare avanti. E per questo ogni tipo di critica ha da tacere.

Voltaire


Repubblica, la voce del padrone, pubblica sul suo sito:


Sul sito No Tav un post inquietante
"Chi lavora nel cantiere è condannato"

Alfano: "I delinquenti non ci fermeranno" videoL'attacco al cantiere con le molotov foto 


Nel frattempo, 22 persone sono indagate per vilipendio al capo dello Stato. Vilipendio telematico sul sito di Grillo. 

L'onda lunga della repressione genovese arriva al 2013. Chi crede nella libertà di parola è sotto attacco. E, ovviamente, nessuno di quelli potrà più citare la famosa e sciocca frase sull'opinione altrui.

D'altro canto, "come Galilei non ha mai scritto: « Eppur si muove» e in nessun luogo delle opere di Machiavelli si trova: « Il fine giustifica i mezzi», allo stesso modo Voltaire non ha mai scritto né detto «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire». Come ci informa linkiesta.it/blogs, 



La sola versione nota di questa citazione è quella della scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, «I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it. », The Friends of Voltaire, 1906, ripresa anche nel successivo Voltaire In His Letters (1919).
Per chiudere la storia di questa falsa citazione, Charles Wirz, Conservatore de "l'Institut et Musée Voltaire" di Ginevra, ricordava nel 1994, che Miss Evelyn Beatrice Hall, mise, a torto, tra virgolette questa citazione in due opere da lei dedicate all’autore di « Candido», e riconobbe espressamente che la citazione in questione non era autografa di Voltaire in una lettera del 9 maggio 1939, pubblicata nel 1943 nel tomo LVIII dal titolo "Voltaire never said it" (pp. 534-535) della rivista "Modern language notes", Johns Hopkins Press, 1943, Baltimore.
Ecco di seguito l’estratto della lettera in inglese:
«The phrase "I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it" which you have found in my book "Voltaire in His Letters" is my own expression and should not have been put in inverted commas. Please accept my apologies for having, quite unintentionally, misled you into thinking I was quoting a sentence used by Voltaire (or anyone else but myself).» Le parole "my own" sono messe in corsivo intenzionalmente da Miss Hall nella sua lettera.


BOLLETTINO COORDINAMENTO CONTRO LA REPRESSIONE. TORINO 1982

CONTINUA LA PUBBLICAZIONE DI documentazione dell'Archivio Marconista.
Questa è parte del numero 0 del "Bollettino del Coordinamento contro la repressione degli organismi territoriali torinesi per la ripresa dell'antagonismo di classe".
E' un titolo molto lungo, nello stile dell'epoca, quando si scrivevano documento che dovevano contenere il mondo. Resta ovviamente un testo interessante e utile per la ricerca.




















martedì 14 maggio 2013

GLI ANNI DELLA LOTTA ARMATA

Ieri 13 maggio alle 18 si è svolta alla libreria Feltrinelli di via Manzoni a Milano la presentazione del libro di Davide Steccanella "Gli anni della Lotta Armata" con Fran CIMINI, Luca FAZZO e Marconista. La sala era colma di persone, tanto che molti erano seduti per terra e altri non sono riusciti a entrare. Purtroppo, quando la discussione stava decollando dopo l'intervento dell'avvocato Spazzali...ci hanno gentilmente chiesto (era passata un'ora e dieci), di terminare. I commenti dicono che saremmo rimasti lì almeno fino alle 20 se...

Seguono alcune foto della serata e l'intervento di Marconista.



STECCANELLA RISPONDE

LUCA FAZZO INTERVIENE

L'AUTORE
AUTOGRAFI


MARCONISTA





Davide Steccanella
Gli anni della lotta armata
Cronologia di una rivoluzione mancata. Bietti, Milano 2013.




Il libro di Davide Steccanella, avvocato penalista milanese con un’ottima vena scrittoria, si inserisce in un genere, quello delle cronologie, che ha avuto un certo sviluppo non solo in Italia. Esistono cronologie in quasi tutte le lingue e in genere si tratta di testi dedicati al mondo antico, moderno e contemporaneo.
Nel nostro caso, invece, abbiamo tra le mani una cronologia su un tema preciso, la lotta armata e il terrorismo in Italia, argomento su cui esistono precedenti importanti: Le date del terrore. La genesi del terrorismo italiano e il microclima dell’eversione dal 1945 al 2003, a cura di M. Calvi, A. Ceci, A. Sessa e G. Vasaturo, Luca Sossella Editore, Roma 2003 e, in particolare per le Brigate Rosse, un numero speciale del “Bollettino dell’Associazione Solidarietà Proletaria” [1996] dal titolo Contributo per una Storia documentale delle Brigate Rosse. Nel primo troviamo tutte le operazioni portate a termine in Italia attraverso un’azione violenta dalla fine della Seconda guerra mondiale all’anno in cui è stato pubblicato il libro. È diviso per anni e l’indice dei nomi completa la ricerca: accanto a ogni nome non corrisponde la pagina, ma la data di riferimento. Il Bollettino è, invece, un elenco di tutte le azioni brigatiste, dalle origini allo scioglimento dell’organizzazione storica. Non sono indicate solo le azioni militari ma anche il volantinaggio, considerato – a ragione – parte integrante del lavoro rivoluzionario.
Accanto a questi esempi, esistono documenti riservati che corrispondono a delle vere e proprie cronologie. Mi riferisco, per esempio, a una relazione dell’UCIGOS (Ufficio centrale investigazioni generali operazioni speciali) che riguarda il terrorismo internazionale in Italia nel 1979. Si tratta di una lettura interessante, concentrata sui gruppi palestinesi ma utile anche più in generale per una ricerca sulla lotta armata in Italia [Archivio Marconista].
        Prima di procedere nell’analisi del libro di Steccanella, partirei dalla copertina: immagine e titolo. Per la prima, credo si tratti di una scelta editoriale, in qualche modo avallata dall’autore. Una pistola nera, la stella a cinque punta sul calcio e della vernice che cola come se fosse sangue. Questa immagine poco si addice al contenuto del libro né, per la verità, al titolo: Gli anni della lotta armata. Cronologia di una rivoluzione mancata. In altre parole, non rende giustizia ai meriti del volume. Lo fa sembrare peggiore di quello che è. La soluzione di una pistola e di una stella a cinque punte è la più facile perché colpisce l’immaginario collettivo. Aiuta la diffusione del libro, ma non corrisponde a quanto accaduto in Italia in quegli anni. Lo racconta, del resto, lo stesso Steccanella, quando afferma che decine di gruppi armati tentarono la via della lotta allo Stato perché credevano che quella fosse la strada per arrivare a una rivoluzione sociale. E questi gruppi nacquero e si diffusero all’interno di una società in pieno fermento rivoluzionario. Fermento rimasto tale, perché nel momento di massimo attacco allo Stato, tra il 1977 e il 1980, non assistiamo alla presa del palazzo d’Inverno, né al suo assalto, per la verità. Ma fu comunque ampio e vario, al punto da permettere a organizzazioni combattenti di nascere, svilupparsi e avere una non comune esperienza di clandestinità, dove con questa parola non si deve pensare a chi vive nascosto e riemerge solo per compiere azioni militari, ma a chi organizza le avanguardie vivendo in mezzo a loro. Il sociale è quindi il vero protagonista di quegli anni e allora la foto di una manifestazione operaia, o un lavoratore al reparto verniciature anziché una pistola, avrebbe sostenuto con forza maggiore il contenuto del libro.
       Contenuto che, per essere una cronologia – un genere che per natura lascia poco spazio alle capacità scrittorie dell’autore – è di facile lettura e rivela una mano leggera e sicura già dall’introduzione, dove viene ricordato il film di Margarethe von Trotta Die bleierne Zeit, tradotto in italiano come “Gli anni di Piombo”, ma letteralmente – aggiungo – “Il periodo plumbeo” o “Il tempo plumbeo”. Steccanella osserva che nel film l’aggettivo “plumbeo” si riferiva “alla tetraggine oppressiva degli anni che avevano preceduto la nascita della RAF” e non, come poi è accaduto nell’uso corrente, agli anni della lotta armata [p. 15], sebbene riguardando la pellicola si potrebbe pensare anche agli anni seguenti la sconfitta del progetto rivoluzionario, al carcere e ai suicidi degli ex.
La conclusione della premessa costituisce la dichiarazione d’intenti, il manifesto del libro: “Ho quindi tentato di ricostruire la cronologia di quegli anni e le ragioni del suo inizio e della sua fine, cercando di documentarmi il più possibile su quanto era accaduto, scoprendo così molte cose che prima non sapevo, e tantissimi ed assai diversi percorsi umani e sociali”[p. 18].
L’operazione è riuscita. Il libro è ben strutturato, articolato e pieno di spunti per un lettore curioso o per uno studioso. È diviso per anni, partendo dal 1969, al quale è anteposto un capitoletto intitolato Le origini della lotta armata in Italia. Si arriva fino ai giorni nostri, con la morte di Prospero Gallinari, i suoi funerali (19 gennaio 2013 che sono stati un atto politico di un certo rilievo), e l’uccisione nel corso di una rapina di Giorgio Frau, che giovanissimo aveva militato in una organizzazione figlia delle Br storiche, l’UCC [primo marzo].
        Ad ogni anno, prima delle vicende storiche, vengono riportate le seguente notizie: l’uscita di un album considerato importante dall’autore, il film vincitore dell’Oscar, il campione d’Italia di calcio e il vincitore del Festival di San Remo. È una cosa molto intelligente perché si presta a diverse letture: da un lato si può dire che, mentre l’operaio massa si organizzava per prendere il potere ma veniva sconfitto, nel mondo patinato le cose si ripetevano senza soluzione di continuità. D’altro canto, questa continuità non deve necessariamente essere percepita come negativa. Probabilmente, se la rivoluzione avesse vinto, ci sarebbe stato ancora il Festival di San Remo e il campionato di calcio. Ma c’è anche un’altra cosa, più importante e profonda. Lasciando da parte il campionato, leggendo i titoli dei film, delle canzoni e i nomi degli artisti, si può avere una prima idea della direzione verso cui marciava il paese (forse dire il mondo è esagerato). Infine, mera ipotesi, mentre “fuori” accadeva la rivolta, l’autore all’epoca era più concentrato su musica e cinematografo.
Voltando pagina, si entra nell’anno: anno/anni, che Steccanella tratta con abilità dopo aver consultato un numero impressionante di fonti, bibliografiche, documentali e orali. Si racconta l’Italia di quegli anni con distacco, senza perdere il controllo della grande mole di dati, aggiungendo novità anche per uno studioso (come l’autore di queste righe) che si occupa della materia da più di un decennio. Un esempio del disincanto si percepisce quando l’autore racconta la morte di Feltrinelli:

Il 14 marzo Giangiacomo Feltrinelli viene trovato dilaniato da una bomba presso un traliccio di Segrate. La sua identificazione non è immediata, perché essendo da tempo entrato in clandestinità aveva con sé un documento di identità falso intestato a tale Vincenzo Maggioni [p. 70].

Divertente quando svela il nome del poco più che neonato Manolo Morlacchi, figlio di Pietro, nella carrozzina del quale i brigatisti nascosero il frutto di una rapina. Molto interessante la ricostruzione della storia di Marco Barbone, dirigente della Brigata XXVIII Marzo, e della cerimonia di commemorazione di Walter Tobagi svoltasi il 28 maggio 2012 al Liceo Parini di Milano. Nell’occasione venne scoperta una lapide che riporta: “Ucciso dalle Brigate Rosse”. Ai media, che stigmatizzarono l’errore (fu la XXVIII Marzo a ucciderlo), l’insegnante di storia Teresa Summa rispose con molta franchezza: “Si è trattato di una scelta ponderata perché ci siamo chiesti: tra 30 anni chi saprà chi era la Brigata XXVIII Marzo, mentre BR è un concetto quasi universale”[p. 391]
         Importanti sono anche i ricordi di personaggi apparentemente di secondo piano. Il 10 settembre del 2012 è mancato a Roma Otello Conisti, ex Br [p. 392; l’autore riporta che fu militante dei MRPO, ossia Movimento Proletario di Resistenza Offensivo, un’emanazione delle Br]. Ebbene, Conisti, che nessuno o pochissimi avranno sentito nominare e che ha trascorso 15 anni in carcere per reati associativi, ha svolto un ruolo di primissimo piano prima in galera e poi nella casa editrice Sensibili alle Foglie, quella fondata da Renato Curcio. Stesso discorso per la figura di Pietro Vanzi, un brigatista di Torre Spaccata, del quale viene raccontata in nota la storia di scalatore di grande spessore, che aprì addirittura nuove vie nel canyon di Fosso Raibano, presso Sasso Marconi. Le note di commento, qui come in pochi altri libri, sono parte integrante del testo, con il quale dialogano continuamente e che a loro volta sono fonte di grande informazione.
Il libro si chiude con un indice dei nomi, una bibliografia e un’interessantissima filmografia ragionata (manca in Italia un libro esaustivo sui film dedicati a quegli anni). Compare, inoltre, un dialogo con un “cattivo maestro” tra lo scrittore Giovanni Sordini, che fu suo allievo al liceo, e Luca Colombo, tra i fondatori delle Formazioni Comuniste Combattenti.
Ogni tanto, raramente, assistiamo a qualche scivolone nella vulgata. Accade nella ricostruzione un po’ confusa del 18 aprile 1978 e convince poco la divisione delle Br in militaristi e movimentisti, divisione legata alla errata visione per la quale i “militaristi” sono quelli che sparano di più e i “movimentisti” di meno. È esattamente il contrario e per convincersene basta osservare la parabola del Partito Guerriglia, sintesi del movimentismo, che in circa un anno e mezzo ha provocato in proporzione più morti che le Br in 15 anni. Fu proprio Moretti, anzi, a condurre una dura lotta politica contro i Curcio e i Franceschini che dal carcere chiedevano un maggiore numero di azioni e lo accusavano di immobilismo.
        D’altro canto, l’autore respinge con decisione i misteri e scrive con estrema lucidità che se Morucci e Faranda uscirono dalle Br per il loro disaccordo con l’uccisione di Moro, è evidente che la sua morte non fosse stata pianificata all’inizio dell’operazione. Ovviamente, accanto a questa deduzione, si deve sottolineare come le Br fecero di tutto per aprire una trattativa al fine di ottenere una contropartita politica per la liberazione di Moro, tanto da esporsi in modo chiaro con la telefonata di Moretti alla famiglia Moro il 30 aprile 1978. In essa si chiedeva un intervento di Zaccagnini che dicesse: in Italia esiste il problema dei prigionieri politici. Ciò sarebbe bastato per aprire la trattativa [pp. 190-191].
Ben congeniata appare la dialettica tra i vari gruppi rivoluzionari che hanno praticato la lotta armata in Italia. Con grande scioltezza si passa da un’azione a una sigla, senza perdersi o far perdere il lettore, che rischierebbe altrimenti davvero tanta confusione. Utili sono anche le segnalazioni di violazioni giuridiche e costituzionali operate dallo Stato italiano per combattere la “rivoluzione”. Accanto alla denuncia delle torture, di cui si è tanto parlato nel 2012, a p. 199 si sottolinea che il decreto legge che nel 1978 attribuì poteri speciali al generale Dalla Chiesa violò l’articolo 77 della Costituzione, perché pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale con un anno di ritardo.
      Accanto alle lodi, sono poche le osservazioni che si possono fare al libro su questioni fattuali: non è vero, come scrive Steccanella a p. 193, che i democristiani più vicini a Moro sparirono in breve dalla scena politica. Tina Anselmi, portata come esempio, fu a capo della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla P2 e la sua relazione, assieme ai diari recentemente pubblicati da Chiarelettere, costituiscono ancora oggi un materiale importantissimo per lo storico. Fu dopo quell’esperienza che cominciò il suo tramonto come politico di primo piano. Anche sulla figura di Giuliano Naria, noto alle cronache perché dopo l’arresto si proclamò innocente e decise di difendersi in giudizio, ci sarebbe da aggiungere, a quanto scritto in nota dall’autore [p. 143], che nel libro L’ultimo Brigatista, l’ex br Fiore ne traccia con due parole la storia, indicandolo proprio come brigatista: “Eravamo clandestini per modo di dire. Quando il livello dello scontro prese ad alzarsi, la realtà ci portò ad assumere atteggiamenti più corposi. Giuliano Naria, ad esempio, fu catturato in Valle d’Aosta perché decise di rivedere la sua compagna, che era controllata” [Aldo Grandi, L’Ultimo Brigatista, BUR, Milano 2007, p. 82].
Infine, una riflessione aperta sul sottotitolo: “una rivoluzione mancata”. Mancata o, piuttosto, sconfitta?