martedì 3 dicembre 2013

SANTE NOTARNICOLA


Ai funerali di Gallinari prese la parola Sante Notarnicola, poeta. 
Oggi si ritrova indagato dalla procura di Bologna.



IL CORRIERE DELLA SERA E CEFALONIA

http://lettura.corriere.it/caduti-di-cefalonia-il-conteggio-infinito/

Se vi domandate quanti furono i militari italiani della divisione Acqui uccisi dai tedeschi nell’isola greca di Cefalonia, dopo l’armistizio del settembre 1943 e la loro decisione di non cedere le armi, le risposte possono essere le più varie. Spesso si dice che l’eccidio di settant’anni fa costò la vita a 9 o 10 mila uomini. Nell’introduzione alla riedizione del romanzo di Marcello Venturi Bandiera bianca a Cefalonia(Mondadori), che nel 1963 ebbe il merito di riportare l’attenzione sul massacro, Francesco De Nicola parla di 6.500 «trucidati». Cifre prive di riscontro, largamente esagerate.
La consultazione degli archivi militari italiani porta a ridimensionarle molto. Massimo Filippini prima, Elena Aga Rossi e Maria Teresa Giusti poi, hanno riportato alla luce documenti da cui risulta che i caduti sull’isola furono tra i 1.650 e i 1.900, cui vanno aggiunti altri 1.300 militari periti nel naufragio delle navi che li trasportavano verso la prigionia in Germania. Nel recente saggio Camicie nere sull’Acropoli(Derive Approdi), dedicato all’invasione italiana della Grecia, Marco Clementi si attiene a un elenco da cui risultano 1679 uccisi in combattimento o fucilati dopo la resa, più 1364 affogati in mare.
La questione però si complica sul versante tedesco. In un libro sull’unità militare che perpetrò la strage, lo storico Hermann Frank Meyer, scomparso nel 2009, fornisce dati diversi. Il testo, ora tradotto in Italia con il titolo Il massacro di Cefalonia e la 1ª divisione da montagna tedesca (Gaspari), riferisce che furono esumati 2176 cadaveri e almeno altri 137 furono gettati nel Mar Jonio. Siamo intorno alle 2.300 vittime, mentre 1564 sarebbero i morti nei successivi naufragi. Tuttavia, nella sua prefazione al libro di Meyer, Giorgio Rochat sostiene che il numero dei militari italiani sull’isola era più alto rispetto al calcolo dell’autore tedesco e che i caduti a Cefalonia furono circa 3.800.
Si potrebbe ironizzare sugli storici che «danno i numeri», ma in realtà la ricerca procede sempre per approssimazioni successive. In tal senso il lavoro di Clementi rappresenta una tappa importante per ragioni che vanno ben oltre Cefalonia, poiché si tratta di uno studio specifico e approfondito sull’occupazione in Grecia, finora poco esplorata. Per esempio l’autore evidenzia le responsabilità italiane e tedesche, ma anche britanniche, nel determinare la micidiale carestia che colpì la popolazione ellenica nell’inverno 1941-42, cui peraltro le autorità di occupazione cercarono in parte di rimediare.
Interessante è anche il modo in cui Clementi, distinguendosi da un precedente studio di Davide Conti, affronta il tema dei crimini di guerra italiani in Grecia e della controversia che ne seguì tra Roma e Atene. Senza minimamente negare la violenza della repressione, con esecuzioni sommarie, torture, incendi di villaggi, Clementi nota che i governi del Cln, cercando di proteggere i nostri militari dalle richieste delle autorità di Atene che intendevano processarli, agirono in sostanza come tutte le altre potenze coinvolte nella guerra. Semmai il paradosso è che a pagare il conto della proditoria aggressione contro la Grecia, lanciata da Mussolini nel 1940, furono soprattutto i civili italiani residenti a Patrasso e nel Dodecaneso, di fatto costretti a lasciare le loro case e a rifugiarsi nella madrepatria. Una vicenda per molti versi analoga all’esodo istriano, sia pure su scala ridotta, ma coperta da un velo di oblio ora squarciato da Clementi.
Marco Clementi, Camicie nere sull’Acropoli. L’occupazione italiana in Grecia (1941-1943), DeriveApprodi, pagine 367, € 23
Hermann Frank Meyer, Il massacro di Cefalonia e la 1ª divisione da montagna tedesca, a cura di Manfred H. Teupen, prefazione di Giorgio Rochat, Gaspari 2013, pagine 492, € 29
Marcello Venturi, Bandiera bianca a Cefalonia, prefazione di Sandro Pertini, introduzione di Francesco De Nicola, postfazione di Giovanni Capecchi, Mondadori 2013, pagine 307, € 9,50
Antonio Carioti

Untold Story: Italian Regime Spied on Residents of Dodecanese

Bureaucratic certificates, such as permits and authorizations, as well as confidential reports, records of personal habits, political views and much more: the Fascist regime held 90,000 files on the inhabitants of the Italian Dodecanese, Greece a group of Aegean islands governed by Italy from 1912 to 1947, where at the time there were a total of roughly 130,000 inhabitants.
Now, 66 years after the end of Italian rule, the local Greek state archive has acquired the archive of the Royal Carabinieri Group – Special Central Office, hosted for all these years within the Rhodes police station. The documents will be available for consultation by researchers once the considerable effort of cataloging is complete.
Italy, which invaded the Dodecanese in 1912, taking the island group from the Ottoman Empire, administered for 35 years what was called the “Italian Possessions of the Aegean.” The Italians left the islands in 1947, with the signing of the Paris Peace Treaties, which formally ended the Second World War. The Dodecanese were ceded to Greece with Turkey’s consent (until 1912 they had been part of the Ottoman Empire) under the condition that they were to be kept demilitarized.
Athens therefore came into possession of all the documents produced by the former rulers, available for consultation at the General State Archives. But up until now, only about 20,000 files relating to all aspects of the experience of this government (to some scholars, not to be confused with a colony) were known about-from public works to trade, to financial aspects of the relationships with the various religious communities.
The new archive, however, contains about 90,000 personal files that include information of a private nature on Italians, Greeks, Turks, Jews and foreigners who lived in Rhodes and the other islands. Alongside land reclamation, agricultural development and relevant urban works and building, the Italians had devoted themselves to putting most of the population under strict supervision through an incessant daily practice of data collection.
Eirini Toliou, director of the archive, emphasizes that “it was Mussolini himself who wanted these files, making them one-of-a-kind.” Under Toliou’s supervision, a team of researchers and archivists are preparing to inventory the material to make it available to experts. “Even though the archive index is intact, making our job easier, it’s not possible to indicate precise times,” said Toliou. “Unfortunately, some files were lost over the years due to external removal operations, probably to hide stories regarding collaboration with fascism.”
Marco Clementi, researcher at the University of Calabria and member of the team at the Dodecanese state archive, confirms that the story of the possession will now have to be seen in a new light: “Hiding behind a discreet administration was the dark work of a shrewd dictatorship, bound to keep an entire population under control due to an obvious inability to give and receive trust. “Speaking about the files, Clementi explains that “almost all of them regard direct descendants of people who live in Rhodes today. It’s like a sort of family album.” In fact, rules regarding consultation of the files will have to take this fact into account, keeping certain data, such as health status or sexual preference, from public view, should it appear in the files.
Since some of the documents have partly to do with Jewish citizens — the communities of Rhodes and Kos were eradicated almost entirely during the Holocaust — the United States Holocaust Memorial Museum in Washington, D.C. has expressed an interest in the political archive. A delegation will arrive in Rhodes at the start of 2014 to decide on timing and intervention methods in order to digitize at least part of the archive. Italy, at the moment, hasn’t shown any sign of interest in the documentation.
(source: ANSA)

ANSA MED NEL DODECANESO

(di Patrizio Nissirio) (ANSAmed) - Rodi (Grecia), 3 dic - Atti burocratici, come permessi ed autorizzazioni, ma anche segnalazioni riservate, annotazioni su abitudini personali, idee politiche e molto altro: il regime fascista tenne ben 90.000 fascicoli sugli abitanti del Dodecaneso italiano, una serie di isole egee governate dall'Italia dal 1912 al 1947, dove all'epoca vivevano in tutto circa 130.000 abitanti.

E in questi giorni, 66 anni dopo la fine del dominio italiano, il locale archivio di Stato ellenico acquisisce l'archivio del Gruppo Carabinieri Reali - Ufficio Centrale Speciale, ospitato per tutti questi anni nei locali della centrale di polizia di Rodi. Documenti che, una volta completato il notevole sforzo di catalogazione, saranno consultabili dagli studiosi.

L'Italia, che invase il Dodecaneso nel 1912 strappandolo alla Turchia, amministrò per 35 anni quello che fu chiamato "Possedimento italiano dell'Egeo". Gli italiani lasciarono le isole solo nel 1947, con la firma della pace di Parigi che concluse formalmente la Seconda guerra mondiale. Il Dodecaneso venne ceduto alla Grecia con il consenso della Turchia (fino al 1912 aveva fatto parte dell'Impero Ottomano) a patto che fosse mantenuto smilitarizzato. Atene entrò così in possesso anche di tutta la documentazione prodotta dagli ex dominatori, consultabile presso l'archivio di Stato. Ma fino ad oggi erano noti solo circa 20.000 fascicoli riguardanti tutti gli aspetti di quell'esperienza di governo - per alcuni studiosi da non confondere con una colonia -, dai lavori pubblici al commercio, dagli aspetti finanziari ai rapporti con le varie comunità religiose. Il nuovo archivio, invece, contiene circa 90.000 fascicoli personali che includono informazioni di carattere privato su italiani, greci, turchi, ebrei e stranieri che vivevano a Rodi e sulle altre isole. Accanto alle bonifiche, allo sviluppo agricolo e a rilevanti opere urbanistiche e edilizie, dunque, gli italiani si dedicarono a mettere stretta sorveglianza gran parte della popolazione in un incessante lavoro quotidiano di raccolta dati. Eirini Toliou, la direttrice dell'archivio, sottolinea come "sia stato Mussolini stesso a volere questi dossier, creando un caso unico". Sotto la sua supervisione una squadra di ricercatori e archivisti si prepara a inventariare il materiale perché sia messo a disposizione degli studiosi. "Non è possibile indicare tempi precisi - prosegue la direttrice - anche se il fatto che lo schedario è intatto ci faciliterà il compito. Purtroppo, nel corso degli anni alcuni fascicoli sono andati perduti a causa di interventi esterni di rimozione.

Probabilmente per nascondere alcune storie di collaborazionismo con il fascismo". Marco Clementi, ricercatore all'Università della Calabria e collaboratore dell'archivio di Stato del Dodecaneso, afferma che la storia del possedimento dovrà essere riletta sotto una nuova luce: "Dietro quella che è stata una discreta amministrazione si nascondeva l'oscuro lavoro di una dittatura occhiuta, costretta a tenere sotto controllo l'intera popolazione per l'incapacità evidente di dare e ottenere fiducia". Entrando nel merito dei fascicoli Clementi spiega che "quasi tutti riguardano antenati diretti di persone che oggi abitano a Rodi. Si tratta di una specie di album di famiglia". In effetti, i termini per la consultazione dovranno tenere conto di questa specificità, rendendo inaccessibili al pubblico dati come stato di salute o le tendenze sessuali, nel caso fossero presenti nei dossier. Dal momento che i documenti riguardano in parte cittadini di religione ebraica - le comunità di Rodi e Kos furono quasi interamente sterminate durante l'Olocausto - il museo della Shoah di Washington ha manifestato un concreto interesse per l'archivio politico. Una delegazione giungerà a Rodi all'inizio del 2014 per concordare tempi e modi di intervento al fine di digitalizzarlo almeno parzialmente. Dall'Italia, al momento, non è giunto alcun segnale di interesse per questa documentazione.(ANSAmed).