http://lettura.corriere.it/caduti-di-cefalonia-il-conteggio-infinito/
Se vi domandate quanti furono i militari italiani della divisione Acqui uccisi dai tedeschi nell’isola greca di Cefalonia, dopo l’armistizio del settembre 1943 e la loro decisione di non cedere le armi, le risposte possono essere le più varie. Spesso si dice che l’eccidio di settant’anni fa costò la vita a 9 o 10 mila uomini. Nell’introduzione alla riedizione del romanzo di Marcello Venturi Bandiera bianca a Cefalonia(Mondadori), che nel 1963 ebbe il merito di riportare l’attenzione sul massacro, Francesco De Nicola parla di 6.500 «trucidati». Cifre prive di riscontro, largamente esagerate.
La consultazione degli archivi militari italiani porta a ridimensionarle molto. Massimo Filippini prima, Elena Aga Rossi e Maria Teresa Giusti poi, hanno riportato alla luce documenti da cui risulta che i caduti sull’isola furono tra i 1.650 e i 1.900, cui vanno aggiunti altri 1.300 militari periti nel naufragio delle navi che li trasportavano verso la prigionia in Germania. Nel recente saggio Camicie nere sull’Acropoli(Derive Approdi), dedicato all’invasione italiana della Grecia, Marco Clementi si attiene a un elenco da cui risultano 1679 uccisi in combattimento o fucilati dopo la resa, più 1364 affogati in mare.
La questione però si complica sul versante tedesco. In un libro sull’unità militare che perpetrò la strage, lo storico Hermann Frank Meyer, scomparso nel 2009, fornisce dati diversi. Il testo, ora tradotto in Italia con il titolo Il massacro di Cefalonia e la 1ª divisione da montagna tedesca (Gaspari), riferisce che furono esumati 2176 cadaveri e almeno altri 137 furono gettati nel Mar Jonio. Siamo intorno alle 2.300 vittime, mentre 1564 sarebbero i morti nei successivi naufragi. Tuttavia, nella sua prefazione al libro di Meyer, Giorgio Rochat sostiene che il numero dei militari italiani sull’isola era più alto rispetto al calcolo dell’autore tedesco e che i caduti a Cefalonia furono circa 3.800.
Si potrebbe ironizzare sugli storici che «danno i numeri», ma in realtà la ricerca procede sempre per approssimazioni successive. In tal senso il lavoro di Clementi rappresenta una tappa importante per ragioni che vanno ben oltre Cefalonia, poiché si tratta di uno studio specifico e approfondito sull’occupazione in Grecia, finora poco esplorata. Per esempio l’autore evidenzia le responsabilità italiane e tedesche, ma anche britanniche, nel determinare la micidiale carestia che colpì la popolazione ellenica nell’inverno 1941-42, cui peraltro le autorità di occupazione cercarono in parte di rimediare.
Interessante è anche il modo in cui Clementi, distinguendosi da un precedente studio di Davide Conti, affronta il tema dei crimini di guerra italiani in Grecia e della controversia che ne seguì tra Roma e Atene. Senza minimamente negare la violenza della repressione, con esecuzioni sommarie, torture, incendi di villaggi, Clementi nota che i governi del Cln, cercando di proteggere i nostri militari dalle richieste delle autorità di Atene che intendevano processarli, agirono in sostanza come tutte le altre potenze coinvolte nella guerra. Semmai il paradosso è che a pagare il conto della proditoria aggressione contro la Grecia, lanciata da Mussolini nel 1940, furono soprattutto i civili italiani residenti a Patrasso e nel Dodecaneso, di fatto costretti a lasciare le loro case e a rifugiarsi nella madrepatria. Una vicenda per molti versi analoga all’esodo istriano, sia pure su scala ridotta, ma coperta da un velo di oblio ora squarciato da Clementi.
Marco Clementi, Camicie nere sull’Acropoli. L’occupazione italiana in Grecia (1941-1943), DeriveApprodi, pagine 367, € 23
Hermann Frank Meyer, Il massacro di Cefalonia e la 1ª divisione da montagna tedesca, a cura di Manfred H. Teupen, prefazione di Giorgio Rochat, Gaspari 2013, pagine 492, € 29
Marcello Venturi, Bandiera bianca a Cefalonia, prefazione di Sandro Pertini, introduzione di Francesco De Nicola, postfazione di Giovanni Capecchi, Mondadori 2013, pagine 307, € 9,50
Antonio Carioti
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