Una pagina del "Manoscritto di Voynich" |
Ieri su FB una lista di amici e compagni ha pubblicato un'intervista di Stefania Limiti, autrice di un libro che uscito di recente ricostruisce una contro storia della Prima Repubblica.
Quando uscì il suo libro "L'anello della Repubblica", scrissi questa recensione.
L’Anello della Repubblica. Il volume sarebbe dedicato, almeno stando al titolo, a un servizio segreto “clandestino”, chiamato “Anello” o “Noto Servizio” che, creato ancora nel 1943 dal generale Roatta, avrebbe gestito alcuni casi della recente storia italiana (la fuga di Kappler, il caso Moro e il caso Cirillo). Nella postfazione di Paolo Cucchiarelli si legge che il servizio “alle informali dipendenze della Presidenza del Consiglio e impegnato a condizionare la vita interna dei partiti e quella del libero gioco democratico”, rappresenta “in pieno quell’organizzarsi nell’ombra per operare in parallelo rispetto alle strutture dello Stato” (p. 298). Purtroppo, poco di tutto ciò si trova nel libro, e la stessa organizzazione clandestina, lungi dall’essere presente a tutto tondo, emerge raramente nella confusione generale della narrazione. Prima di spiegare quello che intendo, devo premettere che un servizio segreto è una cosa seria; si tratta di un’organizzazione strutturata e gerarchica, dove esistono precisi livelli di segretezza, con relativi accessi. Tanto per essere chiari, non basta appartenere al Kgb per poter conoscere tutti i segreti del Cremlino. Anzi, non esiste proprio un agente onnisciente (il più delle volte è vero esattamente il contrario, un agente sa solo ciò di cui si occupa direttamente, per esempio, che sta seguendo una persona a Parigi) e soltanto in pochissimi hanno accesso ai livelli più alti di segretezza. Se questo è vero, nel servizio clandestino chiamato Anello tutto ciò sembrerebbe mancare, se mai il “noto servizio” sia esistito. Perché tutte le informazioni dirette che lo riguardano, nascita, nome, competenze, dipendenze, sono confuse e contraddittorie. Per quanto riguarda la nascita, infatti, esistono diverse versioni. Secondo la prima, il “noto servizio” sarebbe stato creato per volontà dell’ex capo del Servizio militare fascista, il generale Mario Roatta, alla fine del 1943. Destituito il quale, sarebbe stato preso in mano da un generale ebreo polacco, tale Otimsky, giunto in Italia sempre alla fine del 1943 al seguito della delegazione sovietica presso il governo di Badoglio. Roatta fu capo di Stato Maggiore italiano fino al 12 novembre 1943, quando venne destituito perché accusato di non aver difeso adeguatamente Roma. Arrestato nel 1944, riuscì a fuggire in Spagna, mentre in Italia il processo contro di lui si concludeva con la condanna all’ergastolo per l’assassinio dei fratelli Rosselli. L’oscuro generale Otimsky non poteva essere giunto in Italia con i sovietici alla fine del 1943, perché non esisteva alcuna delegazione sovietica presso il nostro governo a quella data, dato che le relazioni dirette tra il governo italiano e quello sovietico furono stabilite solo nel marzo del 1944. Tanto per non fare torto a nessuno, comunque, oltre che con i sovietici, Otimsky viene anche dato come giunto al seguito delle truppe del contingente polacco del generale Anders (p. 59), nonché di un tale Arazi, incaricato nel 1945 di “impiantare e dirigere la locale stazione del Mossad”, cosa definita “un’ipotesi molto seria” (p. 63) [tanto per capirci, il Mossad non esisteva allora].
La seconda versione sulla genesi di Anello fa risalire la sua nascita agli anni Settanta per volontà di Andreotti (pp. 24/25) che a capo del governo voleva creare una struttura in grado di rimediare al caos dei servizi e fungere da anello di congiunzione tra il vecchio e il nuovo durante la riforma del 1977-78. Esiste, infine una terza versione, che pone la nascita del servizio “nel vuoto istituzionale e politico dell’immediato dopoguerra”, quando, è bene ricordarlo, anche il Pci era al governo (p. 419). Le tre versioni sono offerte al lettore senza ulteriori commenti, né ci si preoccupa di metterne in luce le contraddizioni. Sul nome la questione non migliora: “magari fin dalla nascita questo nome è stato ‘Anello’, oppure un altro che non è filtrato mai da testimonianze e documenti. Nel gergo delle spie ‘noto servizio’ è un termine utilizzato per riferirsi a una precisa ‘cosa’ e si presuppone che l’interlocutore la conosca o che, altrimenti, è bene non capisca”. (p. 24). Se data di nascita, paternità e nome non sono chiari, nessuna luce neanche sullo status del servizio. Esso è chiamato “struttura illegale” (p. 24), “gruppo parapolitico” (p. 124) e nel corso del libro genericamente “servizio segreto occulto”; dato che fin dall’inizio del racconto si chiarisce che era alle dirette dipendenze della presidenza del Consiglio, addirittura fino a Craxi, perché definirlo illegale o parapolitico? Per quanto riguarda le sue dotazioni, poi, siamo vicini al surrealismo: “Il ‘noto servizio’ - leggiamo a p. 101 – contava su parecchi mezzi: disponeva anche di un aereo e di un elicottero. Non risulta però che avesse una propria dotazione di armi: sarebbe stata un ‘ingombro’ e avrebbe accresciuto solo i rischi che qualche ficcanaso ne chiedesse conto. E poi, probabilmente, non c’è n’era quasi bisogno. In moltissime caserme c’erano […] i cosiddetti Magazzini Dit, destinati alla difesa interna del territorio: grandi quantità di materiale bellico, custodite in stanze ben chiuse nelle caserme dei Carabinieri sparse sul territorio. È molto probabile che lì si rifornissero anche gli agenti del ‘noto servizio’ ”. Ovviamente, un servizio segreto non può funzionare in questo modo macchinoso, ma comunque si tratta, come ci dice la chiosa del brano citato, di una mera ipotesi.
Ora, quale che ne fu la genesi, il nome, il
padre, lo status e gli attributi, “Anello” sarebbe intervenuto in tre episodi
importanti della storia recente italiana: la fuga del criminale nazista Herbert
Kappler dal Celio di Roma, il rapimento di Aldo Moro e quello di Ciro Cirillo,
entrambi operati dalla Br, anche se all’epoca del secondo ormai non esisteva
più un’organizzazione unitaria e chi prese Cirillo e poi lo liberò per denaro
(le future Br Partito Guerriglia di Senzani e dei capi storici ancora in
carcere) fu aspramente criticato dalle vecchie Br morettiane. Ebbene, in tutti
e tre i casi l’Anello, secondo quanto si afferma nel libro, non solo non agì in
modo occulto, ma eseguì in modo assolutamente leale gli ordini che avrebbe
ricevuto dalla presidenza del Consiglio. Nel primo caso l’ordine era proprio
organizzare la fuga del criminale delle Fosse Ardeatine, nel secondo caso, dopo
aver svolto egregiamente il proprio lavoro, ossia trovato la prigione di Moro,
il capo dell’Anello sarebbe stato fermato da Andreotti, che avrebbe detto “Moro
vivo non serve più a nessuno” (p. 196), mentre nel terzo avrebbe avviato e
concluso le trattative con le Br attraverso il capo della camorra, Raffaele
Cutolo, riuscendo a far rilasciare l’assessore democristiano Cirillo. Alla fine
della lettura, lungi dal trovarci di fronte alla soluzione dei nostri problemi,
si ha come l’impressione che il “noto servizio” non sia mai esistito e che
quanti ne hanno rivendicato l’affiliazione siano stati, forse, dei
millantatori. Un’altra ipotesi, è che gli scarsi documenti a disposizione degli
studiosi siano stati creati da qualcuno ignoto per un’operazione di depistaggio e per questo poi
dimenticati nella “discarica dei servizi” di via Appia, a Roma, dove Aldo
Giannuli li trovò più di dieci anni fa. Sarà stato davvero così? È un’ipotesi
credibile? Mistero.