sabato 6 luglio 2013

IL POGROM DEI POLACCHI

Il 4 luglio 1946 nella cittadina polacca di Kielce vennero massacrati 42 ebrei scampati allo sterminio nazista dalla furia della popolazione locale. Si era sparsa la voce - in precedenza - che fossero stati rapiti alcuni giovinetti per dei sacrifici rituali (un po' la tesi del libro Pasque di Sangue pubblicato in Italia qualche anno fa dal Mulino) e, nonostante l'infondatezza della notizia, il ghetto venne circondato. Il vescovo di Kielce, Czeslaw Kaczmarek scrisse, a giustificazione dell'accaduto:
"In Polonia gli ebrei sono i principali propagandisti del regime comunista, che il popolo polacco non vuole, che gli viene imposto con la forza contro la sua volontà. Inoltre, ogni ebreo ha una buona posizione o infinite possibilità e facilitazioni nel commercio e nell'industria. I ministeri, i posti all'estero, le fabbriche, gli uffici, l'esercito traboccano di ebrei, e sempre nei posti principali, importanti e di responsabilità. Dirigono la stampa governativa, hanno in mano la censura, così severa oggi in Polonia, dirigono gli uffici di sicurezza, arrestano [...]. Per le suddette ragioni SI PUO' DIRE CHE LA MAGGIOR PARTE DELLA RESPONSABILITA' PER L'ODIO CHE CIRCONDA GLI EBREI E' DA ATTRIBUIRSI A LORO STESSI".





venerdì 5 luglio 2013

ONE BILLION RISING FLASH MOB

IL FEMMINICIDIO E' FINITO?

Perché lo chiedi?

PERCHE' NON NE SCRIVONO PIU'.

Era solo una moda. Come tutto qui.



giovedì 4 luglio 2013

DA MANIFESTO A MARCONISTA


che ringrazia

SAGGI - «CAMICIE NERE SULL'ACROPOLI» DELLO STORICO MARCO CLEMENTI, PUBBLICATO DA DERIVE APPRODI
Atene, diario della fame e delle azioni efferate
APERTURA - ALDO GARZIA

L'aviazione italiana è assente, l'artiglieria impantanata, atroci le condizioni di vita di occupanti e occupati
Un libro molto documentato e di agevole lettura si aggiunge finalmente alla scarna bibliografia a disposizione sull'occupazione italiana della Grecia negli anni del tramonto fascista 1941-1943. Si tratta di Camicie nere sull'Acropoli (Derive Approdi, pp.368, euro 23) di Marco Clementi, ricercatore di Storia moderna presso il Dipartimento di scienze politiche e sociali dell'università della Calabria, da quest'anno conservatore presso l'Archivio di stato di Rodi su nomina del ministero della cultura di Atene.
Chi si è occupato di quel periodo sa che sono molti i volumi di memorialistica individuale su quegli anni a differenza degli studi storici più complessi. Come è accaduto su altri passaggi della storia del fascismo, si è preferito non usare il bisturi della ricerca per evitare di riaprire ferite nella memoria nazionale finendo così per rimuovere molte atrocità connesse al Ventennio. Il che ha prodotto - lo scrive Clementi nella sua introduzione - singolari episodi, come quello clamoroso che ha avuto nel 1953 protagonisti il regista Renzo Renzi e il docente di storia del cinema Guido Aristarco. Il primo scrisse un soggetto ispirato a un racconto di Renzo Biason dedicato all'occupazione italiana della Grecia: si narrava di decine di ragazze greche indotte alla prostituzione dai militari occupanti. Aristarco pubblicò il soggetto sulla rivista Cinema Nuovo. Renzi e Aristarco furono arrestati e detenuti per 45 giorni nel carcere militare di Peschiera. Annota Clementi: «Processati dal tribunale militare di Milano per vilipendio delle forze armate e condannati rispettivamente a 8 e 4 mesi e mezzo di carcere». Guai, già negli anni cinquanta a toccare argomenti scottanti della storia fascista.
Nel primo capitolo del libro si ricostruisce «la guerra». Benito Mussolini aveva da tempo maturato la decisione di aggredire la Grecia per migliorare le posizioni italiane nel Mediterraneo attraverso il controllo delle isole Ioniche, Cicladi e del porto di Salonicco (preziosa la documentazione sulle tensioni che avevano caratterizzato i rapporti tra Italia e Grecia fin dal 1923). Dalle citazioni dei Diari di Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e genero di Mussolini, si deduce che quest'ultimo era indignato per l'occupazione germanica senza preavviso della Romania, da qui la probabile accelerazione dei preparativi di occupazione della Grecia per ristabilire nuovi rapporti di forza nei Balcani con l'alleato tedesco.
L'occupazione militare italiana entra in crisi ventiquattr'ore dopo il suo avvio: l'aviazione è assente, l'artiglieria è impantanata. Clementi ricostruisce in parallelo cosa accade sul fronte del governo di Atene. Il 28 ottobre 1940, ad esempio, tuttora festa nazionale, l'esecutivo greco decide di rispondere «no» alle richieste italiane. Il compito di trattare con italiani e tedeschi è affidato all'alto ufficiale Georgios Tsolakoglou. Scrive l'autore: «La resa dell'esercito greco fu onorevole. Gli ufficiali conservarono le armi e l'esercito fu riorganizzato sotto il comando delle forze d'occupazione, ma secondo le leggi greche». Da segnalare che la Croce rossa internazionale inoltra a Roma una immediata protesta: le truppe italiane avevano bombardato villaggi e paesi della Grecia uccidendo 757 civili nei tre mesi che andavano dall'ottobre 1940 al gennaio 1941.
Il secondo capitolo ricostruisce «l'occupazione». In poco tempo svanisce l'ipotesi di usare a proprio favore le risorse economiche della Grecia. La situazione economica del paese occupato è disastrosa. Il terzo capitolo - «Diario della fame» - descrive la situazione economica a cui si aggiunge la carestia dell'inverno 1941-1942. La documentazione offerta al lettore dà un quadro atroce delle condizioni di sopravvivenza di occupati e occupanti.
Il quarto capitolo del volume affronta l'analisi della resistenza agli occupanti, il quinto e il sesto - in conclusione - raccontano «la fine dell'occupazione italiana» e il «dopoguerra». Basti una cifra citata da Clementi per dare la dimensione del problema seguito alla fine delle ostilità: «alla vigilia dell'8 settembre erano presenti in Grecia 235mila militari italiani». Non tutti scelsero di seguire gli ordini del nuovo governo del maresciallo Pietro Badoglio. Il noto eccidio di Cefalonia fu opera di reparti dell'esercito tedesco contro i soldati italiani dopo l'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre 1943 che siglava la fine delle ostilità tra Italia e anglo-americani.
Per quanto riguarda la Grecia, la fine del conflitto sarà particolarmente tormentata fino alla conclusione della guerra civile (1946-1949). Il 27 aprile 1944 Georgios Papandreou forma un governo di unità nazionale. Dall'1 novembre 1945 al giugno 1949 - sottolinea Clementi - si formano 11 governi centrali e 3 a direzione comunista nelle zone sotto il controllo degli insorti. Tormentate furono pure le trattative per un accordo di pace con l'Italia. La Grecia, esclusa da alcune conferenze internazionali post conflitto, chiese il pagamento dei danni di guerra che nel 1946 venivano fissati in 10.528.000.000 dollari. Il governo di Atene disponeva inoltre della lista dei danni subiti dal patrimonio archeologico e artistico, in qualche caso addirittura dei nomi degli italiani autori dei furti di opere particolarmente pregiate.
Clementi fornisce materiale abbondante su queste trattative e sul tema del destino dei criminali di guerra di nazionalità italiana (nel 1946 il governo di Atene aveva reso pubblico un libro bianco sulla questione): i casi identificati riguardavano 151 italiani. Le pagine finali del volume si soffermano su indagini e processi, mentre il 6 maggio 1946 il Ministero della guerra italiano istituiva una propria Commissione «incaricata di esaminare il comportamento dei comandanti e dei gregari italiani nei territori d'occupazione». Quella Commissione individuò alcuni responsabili di azioni particolarmente efferate ma manifestò quasi subito l'intenzione di non consegnarli ai paesi che le avevano subite (i documenti trascritti nel libro rendono chiare le intenzioni italiane). Da quel momento in poi è un succedersi di trattative e negoziati, fino al «Trattato di amicizia, commercio e navigazione» del 1947. L'11 agosto dello stesso anno venne inoltrata da Roma ad Atene la richiesta di poter traslatare in Italia i resti dei soldati sepolti in Grecia. «L'operazione - scrive Clementi - si concluse solo negli anni sessanta e i resti dei soldati furono composti a Bari, nel Sacrario dei caduti d'oltremare inaugurato nel 1967». Alcune salme furono poi spostate nei luoghi d'origine dei caduti, tra loro c'era quella di Marco Clementi, nonno dell'autore, morto a 27 anni sul fronte greco-albanese il 17 febbraio 1941.
Questo cenno biografico sul nonno contribuisce a spiegare la passione che trasuda dalle oltre 300 pagine del volume, dove la meticolosa precisione dello studioso si unisce alla voglia di fare i conti con eventi troppo rimossi dalla storiografia e dalla memoria made in Italy.

domenica 30 giugno 2013

NEW BRAND RENAULT 4


La nuova Renault 4 in uscita nel 2014


La Croazia è un bellissimo paese, pieno di Renault 4 (tipo vecchio), specialmente nelle isole.

Benarrivati.


ps

il gol di Turone era in fuorigioco.

ARTIFICIERI




il manifesto
Via Caetani 35 anni dopo «Cossiga vide il cadavere prima della telefonata Br»
di Andrea Colombo 

A prenderla per buona la notizia è effettivamente clamorosa: il corpo di Aldo Moro sarebbe stato ritrovato, il 9 maggio 1978 in via Caetani, con circa un'ora di anticipo sulla telefonata con cui Valerio Morucci, alle 12,13, avvisò il professor Franco Tritto dell'avvenuta esecuzione. L'allora artificiere Vito Antonio Raso sostiene ora di essere arrivato in via Caetani molto prima, in seguito a una segnalazione anonima che denunciava la presenza di una macchina forse esplosiva, e di aver scoperto prima delle 12 il cadavere del presidente della Dc. Non solo: l'allora ministro degli interni Francesco Cossiga sarebbe arrivato molto prima dell'orario ufficiale, intorno alle 14, addirittura prima della scoperta del corpo, insieme al capo della Digos romana Spinella e al colonnello dei carabinieri Cornacchia, braccio destra del generale Dalla Chiesa.


La testimonianza è allo stesso tempo confermata e smentita dal superiore diretto di Raso, maresciallo capo Giovanni Circhetta. Anche lui sostiene che il corpo del leader democristiano fu ritrovato in realtà tra le 11 e le 12. Le due versioni però differiscono in alcuni elementi centrali. Circhetta esclude che la segnalazione dell'auto sospetta sia partita da una telefonata anonima. Cita anche lui un colonnello dei carabinieri che poteva essere Cornacchia ma non nomina Cossiga. Afferma inoltre di essersi recato in via Caetani, poco dopo le 11, perché messo al corrente del rinvenimento del corpo di Moro. Raso invece sostiene di aver iniziato a perlustrare l'abitacolo della Renault quanto Cossiga e Cornacchia si erano già allontanati, e di aver trovato la salma nel bagagliaio molto più tardi. 

Non sono particolari secondari. Se la doppia testimonianza fosse in qualche modo confermata, significherebbe che Cossiga se ne tornò tranquillamente in ufficio pur sapendo che il corpo di Moro giaceva in via Caetani, senza avvertire nessuno, aspettando la rivendicazione ufficiale. In questo caso sarebbe inevitabile chiedersi perché il ministro decise di prendere tempo. Circhetta parla anche di una busta, forse contenente una lettera, che si trovava sul sedile anteriore della Renault e della quale non si è mai più saputo niente. Ma anche se così fosse, nulla impediva a Cossiga e di far sparire la lettera e comunicare lo stesso ai familiari di Moro e al paese intero la notizia. Se poi si desse credito alla versione di Raso, le domande si moltiplicherebbero: non ci capisce infatti cosa stavano a fare Cossiga e il braccio destro di Dalla Chiesa in via Caetani addirittura prima che il cadavere fosse rinvenuto. Raso sostiene che Cossiga non sembrava stupito. Ma, anche a prescindere dal valore delle sensazioni personali dell'artificiere, resterebbe inspiegabile la presenza di Cossiga prima e non dopo il ritrovamento del cadavere.

 «A caldo - sostiene lo storico Marco Clementi, uno dei pochi che si sia occupato seriamente e non dietrologicamente della vicenda - la mia impressione è che Circhetta racconti davvero come è andato il ritrovamento, ma giocando o equivocando sugli orari. Insomma che stia parlando di quel che successe dopo e non prima la telefonata di Morucci. Anche perché, nella stessa intervista, dice di non aver segnato nel verbale l'orario del ritrovamento della salma perché era "un dato di dominio pubblico"». C'è una ragione in più per prendere con le pinze la versione dei due artificieri: il fatto cioè che abbiano scelto di raccontare una verità così clamorosa solo dopo la morte di tutti i protagonisti della vicenda, Cornacchia, Cossiga e infine Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio. Raso aveva già fatto qualche accenno in un suo libro peraltro anch'esso recente, L'uomo bomba , ma in termini molto più vaghi ed ellittici. Se da un interrogatorio molto più approfondito di quanto non si possa richiedere ai giornalisti dell' Ansa e del sito web www.vuotoaperdere.org che ieri hanno raccolto le due interviste, la versione fosse confermata significherebbe che, almeno sul fronte dello stato se non su quello brigatista, buona parte di quella storia è ancora nascosta. In caso contrario, si tratterebbe dell'ennesima bufala spacciata per rivelazione deflagrante. Non che ce ne siano