venerdì 13 aprile 2012

Ancora su GRAMSCI


Julia Schucht con i figli Delio e Giuliano


Mi è stato scritto da un amico, in forma privata, che sembrerebbe storicamente assodata la presa di distanza di Gramsci dallo stalinismo e che a provarlo ci sarebbe la lettera del 1926 con cui il dirigente italiano critica la maniera con cui i sovietici stavano affrontando l'opposizione trockista. Inoltre, l'atteggiamento di Julia e Tat'jana, che cercarono l'appoggio del Partito sovietico contro il Pcd'I deriverebbe dai risentimenti per una lettera inopportuna, che Grieco inviò a Gramsci, Terracini e Scoccimarro in carcere alla vigilia del processo del 1928. Quella lettera, si dice, fece interrompere le trattative per la sua liberazione. Trattative poi riprese negli anni Trenta, ma senza successo.
Tutto plausibile, ma anche contestabile.
La lettera del 1926, infatti, si riferisce a un periodo in cui lo stalinismo non si era ancora manifestato. Stalin era in procinto di assumere il potere totale, ma le opposizioni erano ancora relativamente organizzate. La sua politica si manifesterà solo negli anni seguenti. Il 1926, tanto per essere chiari, è diverso dal 1931, così come il 1931 è diverso dal 1937 o dal 1946. Sono tutte fasi dello stesso fenomeno che chiamiamo stalinismo, ma non descrivono la medesima concezione dello Stato e del rapporto tra partito e Stato. Inoltre, è ancora oggi in discussione se ci sia stata o meno continuità tra Lenin e Stalin. Non dimentichiamo che negli anni Trenta, ma più in particolare, dopo la vittoria del 1945, Stalin fu salutato dalla maggioranza dei comunisti mondiali come il più grande interprete del pensiero di Lenin. In Italia le sue "Questioni di Leninismo" furono tradotte (almeno così si legge nel libro) da Togliatti. 
La lettera di Grieco del 1928 fu certamente un errore. Ma nel 1938 l'iInternazionale Comunista aprì un'indagine su questo e Grieco ne uscì "assolto". Il 1938, appunto, non è un anno come gli altri. Siamo nel pieno del Grande Terrore. Essere accusati di trockismo o altro era facilissimo. Se non furono trovati proprio allora elementi di prova contro Grieco che ne dimostrassero una cattiva volontà nei confronti di Gramsci, dobbiamo credere che le giustificazioni per quell'atto furono convincenti. 
La lettera della moglie di Julia a Stalin (lettera che peraltro Stalin non lesse mai. L'ho vista in archivio. Fu girata alla segreteria di Stalin che la inoltrò al Comintern) è del 1940. Due anni dopo l'indagine su Grieco. 
Silvio Pons, direttore dell'Istituto Gramsci, afferma invece il contrario. 


"La pubblicazione della lettera di Evgenia e Julia Schucht a Stalin ha suscitato molte reazioni diverse, ma poche nel merito delle questioni che il documento propone. Va subito detto che appaiono incomprensibili le opinioni di chi sostiene che il documento non ci dice niente. Prima del ritrovamento della lettera, non eravamo in possesso di documentazione diretta sull'azione svolta dalle sorelle Schucht a Mosca, dopo la morte di Gramsci, a proposito dei sospetti che egli aveva maturato circa le responsabilità di Togliatti per la sua mancata liberazione. Ora non solo ce l'abbiamo, ma si tratta di una lettera che mostra come la «questione Gramsci» post-mortem giunse fino a Stalin, la massima autorità dello Stato sovietico e del comunismo internazionale
"


Sciocchezza. Ripeto: della questione non si occupò Stalin, ma Dimitrov, ossia il Comintern. 



Perché la moglie insiste in quella lettera a sottolineare l'adesione di Gramsci allo stalinismo?
Ne riporto alcuni passaggi:

Gramsci, un uomo straordinario, rinchiuso nel cassetto di una scrivania! Gramsci che assorbe avidamente ogni pensiero, ogni movimento di massa per rendere ogni proprio pensiero e ogni proprio movimento alle masse, al fine di ampliare e rafforzare la loro unione rivoluzionaria; tutto questo racchiuso nella personalità, nella mente di un individuo, fosse pure uno dei più importanti uomini sulla terra, è un non senso, è come un vento rinchiuso in una stanza. E naturalmente soltanto un gruppo di compagni non solo del partito comunista italiano, ma possibilmente anche di altri partiti fratelli e in particolare della VKP(b) (Partito comunista dell’Unione Sovietica, n.d.r. ) saprà, senza tradire il lavoro di Gramsci, renderne tutta la vivacità, soffocata dal fatto di aver scritto in prigione.
E ora la cosa più pesante. Quello che è necessario dire solo a Voi.

I fascisti e i loro lacchè, i trockisti di tutte le specie, odiavano ferocemente Antonio Gramsci. Ed ecco che quasi subito dopo l’arresto egli iniziò a percepire l’esistenza di una mano che lo seguiva costantemente, la mano di un traditore. Quei fatti che lo hanno costretto a pensare così io posso raccontarveli o scrivervene quando mi permetterete di farlo. In parte di questo era a conoscenza l’NKVD (ministero degli Affari interni, n.d.r.). In seguito ho scritto su questo alla segreteria della VKP(b) a Ezov e da lì è stata inviata una lettera al Komintern, dove a lungo hanno discusso con me e, come mi è stato detto, hanno ricevuto una pesante impressione. Da quale fonte questi sospetti siano arrivati fino a uno degli italiani sospettati non lo so, ma che siano arrivati è anche un fatto



Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Gramsci, commentò allora il tutto come segue:


Professor Vacca, qual è dal punto di vista della ricerca storica il valore della lettera a Stalin di Evgenia e Julia Schucht? 


«Mi pare duplice. In primo luogo sinora dell’azione svolta a Mosca dopo la morte di Gramsci dalla moglie Julia e dalle cognate Evgenia e Tatiana, depositaria quest’ultima dei sospetti di Gramsci, eravamo edotti solo indirettamente dalle informative della segretaria di Dimitrov, Stella Blagoeva. La prima informativa del ’38 riguardava l'inchiesta che portò all’estromissione di Grieco dal ruolo di coordinatore della segreteria del partito; la seconda, del settembre 1940, costituiva un vero e proprio rifacimento della scheda biografica di Togliatti successiva alla fine del ruolo di commissario politico nella guerra di Spagna. Dopo un’inchiesta durata due anni, Togliatti nel ’41 fu estromesso dalle decisioni più delicate del Comintern. La principale accusa era di aver perso durante la fase finale della guerra civile gli archivi del Partito comunista spagnolo. Ma ora sappiamo che nel ridimensionamento del ruolo politico di Togliatti ebbero un ruolo anche i sospetti nei confronti del "Migliore" di Gramsci, avvalorati dalle sorelle Schucht nella lettera a Stalin». 


E l’altro aspetto importante del documento? 


«La lettera contiene elementi utili a seguire nuove piste per trovare ulteriori documenti, per esempio lettere e resoconti di colloqui delle sorelle Schucht con i dirigenti del Comintern». 
...
 E’ vero che «il Migliore» aveva interesse a mantenere Gramsci in carcere? 


«E’ vero il contrario. Questa tesi non è documentabile, non ci sono prove che Togliatti avesse qualche interesse a far restare Gramsci in carcere. Innanzitutto fu lo stesso Togliatti a farsi promotore, attraverso Bucharin, delle prime trattative per lo scambio di prigionieri tra Italia e Urss, anche se bisogna dire che il successo di queste iniziative dipendevano esclusivamente dal mutevole rapporto fra i due Stati. E poi c’è da aggiungere che fu Togliatti, con la pubblicazione delle "Lettere" e dei "Quaderni" a garantire la sopravvivenza storica di Gramsci». 


Allora perché Gramsci, come testimoniato anche dalla lettera a Stalin di Evgenia e Julia, diffidava dei compagni italiani? 


«Gramsci era consapevole che il regime fascista l’avrebbe liberato solo se la scarcerazione fosse apparsa come un atto di generosità di Mussolini e a condizione della sua definitiva scomparsa politica. Se i comunisti italiani fossero stati coinvolti, sicuramente avrebbero pubblicamente rivendicato la scarcerazione come un successo. Perciò Gramsci teneva a sfruttare esclusivamente i canali con il ministero dell’Interno sovietico, con il quale la moglie Julia aveva collaborato dal 1923 al 1930, prima di ammalarsi. I rapporti di Julia con i servizi segreti sovietici erano dunque considerati da un Gramsci stremato dalla galera uno degli atout che potevano salvarlo. Ma le sue condizioni di salute peggiorarono, nel 1935 fu ricoverato nella clinica Quisisana di Roma, il 25 aprile 1937, quando doveva essere liberato per decorrenza della pena, ridotta negli anni precedenti, fu colpito da un collasso cardiaco. Due giorni dopo morì».





Capito qualcosa? Io, no. Ci vedo una lunga arrampicata sugli specchi. O Togliatti era "fedele alla linea" (e lo era) o fu "ridimensionato" e dunque non lo era. O Togliatti stava con Gramsci (e ci stava), oppure no. 
Il fatto è che l'Istituto Gramsci ha da sempre uno scopo principale: definire i limiti entro i quali possono essere studiate la figura di Gramsci e la sua biografia. Chi esce dal tracciato è considerato immediatamente un eretico e si fa di tutto per screditarlo, quando ciò avviene in Italia. E questo sarebbe un modo di fare storia? Questa sarebbe la storia?
Ricordo che durante un concorso per professore associato, a Catania, la commissione (formata dai seguenti storici: Simone Neri Serneri - su di lui sempre a Catania si veda http://ctzen.it/2012/04/06/unict-concorso-sospetto-a-lingue-il-tar-accoglie-il-ricorso-di-un-ricercatore/, - Girolamo Imbruglia, Francesco Piva e Giuseppe Barone) mi chiese come mai fossi tanto convinto che le BR non erano state manovrate. Era ovvio che dovevo perdere e che si trattava di una domanda provocatoria. Risposi che il giorno in cui fosse uscito un solo documento che lo avesse provato, mi sarei dimesso da ricercatore. Ad oggi, quel documento non è uscito fuori. Ma non è questo il punto. Il punto è che Barone mi disse che nonuno storico non parla così. E perché? mi chiedo. Uno storico può dimettersi se riconosce di aver creduto per anni a una cosa su cui ha basato parte della propria attività. Casomai, non sarebbe stato da storici rispondere: "è così e basta". Oppure: "non sarà mai provato il contrario di quello che penso e scrivo". 
Ebbene, oltre a ringraziare i quattro commissari per avermi bocciato e così permesso di continuare a fare il ricercatore, vorrei sottolineare che l'Istituto Gramsci si comporta proprio così: la storia di Gramsci la possono scrivere solo loro. Gli archivi di Mosca? Solo loro. L'interpretazione del suo pensiero? Solo loro. I parenti di Gramsci? Solo loro. Quanti sanno che sono uscite le lettere di Giuliano Gramsci, figlio di Antonio, curate da Annamaria Sgarbi e scritte da Mosca poco prima di morire a un padre che non aveva mai visto? 

Non ci siamo. 


Annamaria Sgarbi con Giuliano Gramsci a Mosca






















 


 



















martedì 10 aprile 2012

Antonio Gramsci era stalinista? Saviano e altri alla prova con la storia

Tat'jana Schucht. Cognata di Antonio Gramsci


Antonio Gramsci era stalinista? 
La domanda è di quelle che sono di difficile risposta. Certamente lo è stato, così come è stato leninista. Morì nel 1937, anno d'inizio del Grande Terrore, che egli non conobbe e non poté aggiungere alla sua pratica di pensiero politico. Non conobbe lo stalinismo fino in fondo e non sappiamo cosa avrebbe scritto dei grandi processi di Mosca e della repressione di centinaia di migliaia di sovietici. Né sappiamo cosa avrebbe detto del patto Nazi-Sovietico del 1939, della spartizione della Polonia, della Grande Guerra Patriottica. 
Recentemente in Italia si sono riaccese le polemiche su questa figura di martire del fascismo. Il "merito" è di un libro di Alessandro Orsini dedicato a quelle che lui considera i due volti della sinistra italiana, rappresentati sinteticamente da Gramsci e Turati: la sinistra rivoluzionaria e quella riformista. Ci ha messo del suo anche Saviano, che il 28 febbraio ha recensito il libro su "Repubblica". Scrivendo, tra l'altro, "


L'idea da cui parte Alessandro Orsini è semplice: i comunisti hanno educato generazioni di militanti a definire gli avversari politici dei pericolosi nemici, ad insultarli ed irriderli. Fa un certo effetto rileggere le parole con cui un intellettuale raffinato come Gramsci definiva un avversario, non importa quale: "La sua personalità ha per noi, in confronto della storia, la stessa importanza di uno straccio mestruato". Invitava i suoi lettori a ricorrere alle parolacce e all'insulto personale contro gli avversari che si lamentavano delle offese ricevute: "Per noi chiamare uno porco se è un porco, non è volgarità, è proprietà di linguaggio". Arrivò persino a tessere l'elogio del "cazzotto in faccia" contro i deputati liberali. I pugni, diceva, dovevano essere un "programma politico" e non un episodio isolato. Certo, il pensiero di Gramsci non può essere confinato in questo tratto violento, e d'altronde le sue parole risentivano l'influenza della retorica politica dell'epoca, che era (non solo a sinistra) accesa, virulenta, pirotecnica. Il politicamente corretto non era stato ancora inventato. Eppure, in quegli stessi anni Filippo Turati, dimenticato pensatore e leader del partito socialista, conduceva una tenacissima battaglia per educare al rispetto degli avversari politici nel tentativo di coniugare socialismo e liberalismo: "Tutte le opinioni meritano di essere rispettate. La violenza, l'insulto e l'intolleranza rappresentano la negazione del socialismo. Bisogna coltivare il diritto a essere eretici. Il diritto all'eresia è il diritto al dissenso. Non può esistere il socialismo dove non esiste la libertà". 




Di e su Saviano già ho scritto su questo blog e altrove e non vorrei ripetermi: se prima inventava cose mai accadute, ora parla di fatti che non conosce. Ma non è questo il punto. Il punto è che i difensori della figura di Gramsci si sono scatenati contro Orsini e Saviano, ma da destra. Nel senso che hanno difeso Gramsci come grande intellettuale del socialismo liberale. 


Angelo D'Orsi si è proprio imbufalito (http://www.blog.rubbettinoeditore.it/cartabianca/2012/02/21/gramsci-e-turati-scambio-tra-angelo-dorsi-e-alessandro-orsini). Pur facendo parte dell'accademia italiana, non capisco più questi "signor dottor", "esimio professor" ecc. Siamo nel 2012. Ma fosse questo il problema...


Giuseppe Tamburrano ha scritto sta' roba qui: "Io sono convinto che Gramsci si allontanò dal comunismo sovietico, esprimendo nellesue note un pensiero liberal-democratico: per l’esattezza socialista, ma la prova regina non vi è ancora la disputa continuerà."


Ma se non vi è ancora prova regina, da dove volete che spunti fuori, se tutto quello che ha scritto Gramsci lo conosciamo?


L'Associazione politico-culturale "Marx Ventuno", cui afferiscono studiosi di razza del marxismo, è davvero arrabbiata (http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/marxismo/1191-dibattito-su-gramsci.html) tanto che ha organizzato un convegno, il 5 aprile, per difendere la "verginità" di Gramsci.


Tutto ciò mi fa un certo effetto. Ammetto di non conoscere ogni passo scritto da Gramsci quando era socialista e quando era in carcere. Ho letto molto, ma non tutto. Conosco, però, molto bene la storia di Gramsci in carcere e quanto accaduto negli anni immediatamente seguiti alla sua morte. In particolare a Mosca. 


Non appena giunse a Mosca la notizia della morte di Gramsci, il Comintern preparò un necrologio con il quale aprì il numero di maggio dell’organo dell'Esecutivo dell'Internazionale Comunista, la rivista «Kommunističeskij Internatsional». La nota del Comintern è firmata dai suoi massimi dirigenti: Dimitrov, Togliatti, Manujl’skij, Pik, Kuusinen, Marty, Gotwald, Moskvin, Florin, Kolarov. Il brano è molto informato. Si dice che Gramsci era morto dopo essere stato formalmente liberato dallo stato di detenzione il 21 aprile 1937 e quando la sua famiglia e i suoi compagni avevano la speranza di poterlo riabbracciare e vederlo guarire dopo i dieci anni trascorsi in carcere. Gramsci, si dice ancora, era stato ucciso dal fascismo, così come  prima di lui Matteotti e altri centinaia di figli della classe operaia. «La classe operaia italiana e il proletariato mondiale perdono con Gramsci uno dei suoi figli migliori, uno dei più fedeli combattenti per la liberazione dell’umanità dal giogo e dallo sfruttamento del capitale, per la libertà e la pace, per il socialismo». Gramsci per primo aveva compreso il significato storico della Rivoluzione d’Ottobre in Italia e per primo aveva cominciato a diffondere le idee e le tesi di Lenin. Dopo il tentativo rivoluzionario e la sconfitta del movimento in Italia nel 1920, Gramsci aveva impiegato le sue forze per la fondazione di un partito di massa della classe operaia, e sotto la direzione del Comintern aveva operato al fine di escludere dal partito gli opportunisti e i settari, e per la bolscevizzazione del Partito comunista d’Italia. 


Ripeto, si tratta dell'organo ufficiale dell'Esecutivo dell'Internazionale Comunista (IKKI). Non è tutto. 


Il 21 maggio 1937, Togliatti, che era uno dei segretari generali del Comintern, scrisse al Primo segretario dell’Internazionale, Georgi Dimitrov, per motivare la sua contrarietà al fatto che le ceneri di Gramsci, provvisoriamente tumulate in un cimitero romano, potessero essere spostate in Unione Sovietica. Il trasporto, ricordava Togliatti, sarebbe stato auspicabile solo se esso fosse avvenuto con tutti gli onori spettanti al capo dei comunisti italiani e le ceneri tumulate non in un cimitero moscovita qualsiasi. Per la moglie e i figli, che evidentemente premevano presso il Comintern in tal senso, egli si impegnava a chiedere una pensione al Commissariato del Popolo sovietico competente.


Mentre Gramsci era in carcere, è noto, il collegamento tra lui e l'esterno era rappresentato dalla sorella della moglie, Tat'jana Schucht. Dopo la sua morte, Tat'jana tornò in Unione Sovietica portando con sé gli scritti di Gramsci. Su questa eredità letteraria si svolse una lotta molto lunga tra Togliatti e la famiglia Schucht, dove il Comintern svolse il ruolo di arbitro. Si formò una commissione ad hoc, che decise per la preponderanza del Partito comunista d'Italia, come allora si chiamava, mentre le sorelle Schucht rivolsero in due riprese serie accuse contro quello stesso partito. Nel 1938 chiesero un chiarimento sulla figura di Ruggiero Grieco. Nel 1940, addirittura su Togliatti. In entrambe le occasioni, i dirigenti italiani ne uscirono bene, ma le domande sono: perché Tat'jana, che fu costantemente vicino a Gramsci durante la sua prigionia,  unì alla sorella Julia - la moglie di Gramsci - nel descriverlo come un fedele stalinista, accusando invece i dirigenti del Pcd'I di essere fuori dalla linea sovietica? E perché allora Grieco e Togliatti dimostrarono la propria estraneità alle accusa delle Schucht e piena adesione alla politica dell'Internazionale Comunista? E, infine, perché oggi si difende Gramsci da destra, dimenticando queste cose? 










































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lunedì 9 aprile 2012

ZUCCHERO A SAN PIETROBURGO


Diciamoci la verità: il gruppo non è quello che ti aspetti a un concerto di Zucchero. Musicisti bravi assieme a qualcuno improvvisato e la tensione dei brani si perde. In compenso, nonostante i segni del tempo, Zucchero è davvero bravo. E' riuscito nel non facile compito di coinvolgere l'esigente pubblico russo. Non c'erano giovanissimi. Una media dai 30 ai 40. Alla fine, come accade quando il prodotto piace, ballavano tutti. 

Пока Сахар! Спасибо. 










































domenica 8 aprile 2012

MARIONETTE

Oggi siamo stati al Teatro delle Marionette, sulla Prospettiva Nevskij. Le bimbe si sono divertite. Perfino Schopenhauer ha seguito in parte lo spettacolo. Si intitolava Russkaja sol', ossia, Il sale russo.
Si tratta di un Teatro storico, organizzato negli anni Venti da Evgenij Demmeni. Di grande tradizione, come in moltissimi teatri russi statali, gli attori sono bravissimi. La selezione è evidentemente molto severa. Proprio come in un paese che conosco.