Julia Schucht con i figli Delio e Giuliano |
Mi è stato scritto da un amico, in forma privata, che sembrerebbe storicamente assodata la presa di distanza di Gramsci dallo stalinismo e che a provarlo ci sarebbe la lettera del 1926 con cui il dirigente italiano critica la maniera con cui i sovietici stavano affrontando l'opposizione trockista. Inoltre, l'atteggiamento di Julia e Tat'jana, che cercarono l'appoggio del Partito sovietico contro il Pcd'I deriverebbe dai risentimenti per una lettera inopportuna, che Grieco inviò a Gramsci, Terracini e Scoccimarro in carcere alla vigilia del processo del 1928. Quella lettera, si dice, fece interrompere le trattative per la sua liberazione. Trattative poi riprese negli anni Trenta, ma senza successo.
Tutto plausibile, ma anche contestabile.
La lettera del 1926, infatti, si riferisce a un periodo in cui lo stalinismo non si era ancora manifestato. Stalin era in procinto di assumere il potere totale, ma le opposizioni erano ancora relativamente organizzate. La sua politica si manifesterà solo negli anni seguenti. Il 1926, tanto per essere chiari, è diverso dal 1931, così come il 1931 è diverso dal 1937 o dal 1946. Sono tutte fasi dello stesso fenomeno che chiamiamo stalinismo, ma non descrivono la medesima concezione dello Stato e del rapporto tra partito e Stato. Inoltre, è ancora oggi in discussione se ci sia stata o meno continuità tra Lenin e Stalin. Non dimentichiamo che negli anni Trenta, ma più in particolare, dopo la vittoria del 1945, Stalin fu salutato dalla maggioranza dei comunisti mondiali come il più grande interprete del pensiero di Lenin. In Italia le sue "Questioni di Leninismo" furono tradotte (almeno così si legge nel libro) da Togliatti.
La lettera di Grieco del 1928 fu certamente un errore. Ma nel 1938 l'iInternazionale Comunista aprì un'indagine su questo e Grieco ne uscì "assolto". Il 1938, appunto, non è un anno come gli altri. Siamo nel pieno del Grande Terrore. Essere accusati di trockismo o altro era facilissimo. Se non furono trovati proprio allora elementi di prova contro Grieco che ne dimostrassero una cattiva volontà nei confronti di Gramsci, dobbiamo credere che le giustificazioni per quell'atto furono convincenti.
La lettera della moglie di Julia a Stalin (lettera che peraltro Stalin non lesse mai. L'ho vista in archivio. Fu girata alla segreteria di Stalin che la inoltrò al Comintern) è del 1940. Due anni dopo l'indagine su Grieco.
Silvio Pons, direttore dell'Istituto Gramsci, afferma invece il contrario.
"La pubblicazione della lettera di Evgenia e Julia Schucht a Stalin ha suscitato molte reazioni diverse, ma poche nel merito delle questioni che il documento propone. Va subito detto che appaiono incomprensibili le opinioni di chi sostiene che il documento non ci dice niente. Prima del ritrovamento della lettera, non eravamo in possesso di documentazione diretta sull'azione svolta dalle sorelle Schucht a Mosca, dopo la morte di Gramsci, a proposito dei sospetti che egli aveva maturato circa le responsabilità di Togliatti per la sua mancata liberazione. Ora non solo ce l'abbiamo, ma si tratta di una lettera che mostra come la «questione Gramsci» post-mortem giunse fino a Stalin, la massima autorità dello Stato sovietico e del comunismo internazionale"
Sciocchezza. Ripeto: della questione non si occupò Stalin, ma Dimitrov, ossia il Comintern.
Perché la moglie insiste in quella lettera a sottolineare l'adesione di Gramsci allo stalinismo?
Ne riporto alcuni passaggi:
Gramsci, un uomo straordinario, rinchiuso nel cassetto di una scrivania! Gramsci che assorbe avidamente ogni pensiero, ogni movimento di massa per rendere ogni proprio pensiero e ogni proprio movimento alle masse, al fine di ampliare e rafforzare la loro unione rivoluzionaria; tutto questo racchiuso nella personalità, nella mente di un individuo, fosse pure uno dei più importanti uomini sulla terra, è un non senso, è come un vento rinchiuso in una stanza. E naturalmente soltanto un gruppo di compagni non solo del partito comunista italiano, ma possibilmente anche di altri partiti fratelli e in particolare della VKP(b) (Partito comunista dell’Unione Sovietica, n.d.r. ) saprà, senza tradire il lavoro di Gramsci, renderne tutta la vivacità, soffocata dal fatto di aver scritto in prigione.
E ora la cosa più pesante. Quello che è necessario dire solo a Voi.
I fascisti e i loro lacchè, i trockisti di tutte le specie, odiavano ferocemente Antonio Gramsci. Ed ecco che quasi subito dopo l’arresto egli iniziò a percepire l’esistenza di una mano che lo seguiva costantemente, la mano di un traditore. Quei fatti che lo hanno costretto a pensare così io posso raccontarveli o scrivervene quando mi permetterete di farlo. In parte di questo era a conoscenza l’NKVD (ministero degli Affari interni, n.d.r.). In seguito ho scritto su questo alla segreteria della VKP(b) a Ezov e da lì è stata inviata una lettera al Komintern, dove a lungo hanno discusso con me e, come mi è stato detto, hanno ricevuto una pesante impressione. Da quale fonte questi sospetti siano arrivati fino a uno degli italiani sospettati non lo so, ma che siano arrivati è anche un fatto
I fascisti e i loro lacchè, i trockisti di tutte le specie, odiavano ferocemente Antonio Gramsci. Ed ecco che quasi subito dopo l’arresto egli iniziò a percepire l’esistenza di una mano che lo seguiva costantemente, la mano di un traditore. Quei fatti che lo hanno costretto a pensare così io posso raccontarveli o scrivervene quando mi permetterete di farlo. In parte di questo era a conoscenza l’NKVD (ministero degli Affari interni, n.d.r.). In seguito ho scritto su questo alla segreteria della VKP(b) a Ezov e da lì è stata inviata una lettera al Komintern, dove a lungo hanno discusso con me e, come mi è stato detto, hanno ricevuto una pesante impressione. Da quale fonte questi sospetti siano arrivati fino a uno degli italiani sospettati non lo so, ma che siano arrivati è anche un fatto
Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Gramsci, commentò allora il tutto come segue:
Professor Vacca, qual è dal punto di vista della ricerca storica il valore della lettera a Stalin di Evgenia e Julia Schucht?
«Mi pare duplice. In primo luogo sinora dell’azione svolta a Mosca dopo la morte di Gramsci dalla moglie Julia e dalle cognate Evgenia e Tatiana, depositaria quest’ultima dei sospetti di Gramsci, eravamo edotti solo indirettamente dalle informative della segretaria di Dimitrov, Stella Blagoeva. La prima informativa del ’38 riguardava l'inchiesta che portò all’estromissione di Grieco dal ruolo di coordinatore della segreteria del partito; la seconda, del settembre 1940, costituiva un vero e proprio rifacimento della scheda biografica di Togliatti successiva alla fine del ruolo di commissario politico nella guerra di Spagna. Dopo un’inchiesta durata due anni, Togliatti nel ’41 fu estromesso dalle decisioni più delicate del Comintern. La principale accusa era di aver perso durante la fase finale della guerra civile gli archivi del Partito comunista spagnolo. Ma ora sappiamo che nel ridimensionamento del ruolo politico di Togliatti ebbero un ruolo anche i sospetti nei confronti del "Migliore" di Gramsci, avvalorati dalle sorelle Schucht nella lettera a Stalin».
E l’altro aspetto importante del documento?
«La lettera contiene elementi utili a seguire nuove piste per trovare ulteriori documenti, per esempio lettere e resoconti di colloqui delle sorelle Schucht con i dirigenti del Comintern».
...
E’ vero che «il Migliore» aveva interesse a mantenere Gramsci in carcere?
«E’ vero il contrario. Questa tesi non è documentabile, non ci sono prove che Togliatti avesse qualche interesse a far restare Gramsci in carcere. Innanzitutto fu lo stesso Togliatti a farsi promotore, attraverso Bucharin, delle prime trattative per lo scambio di prigionieri tra Italia e Urss, anche se bisogna dire che il successo di queste iniziative dipendevano esclusivamente dal mutevole rapporto fra i due Stati. E poi c’è da aggiungere che fu Togliatti, con la pubblicazione delle "Lettere" e dei "Quaderni" a garantire la sopravvivenza storica di Gramsci».
Allora perché Gramsci, come testimoniato anche dalla lettera a Stalin di Evgenia e Julia, diffidava dei compagni italiani?
«Gramsci era consapevole che il regime fascista l’avrebbe liberato solo se la scarcerazione fosse apparsa come un atto di generosità di Mussolini e a condizione della sua definitiva scomparsa politica. Se i comunisti italiani fossero stati coinvolti, sicuramente avrebbero pubblicamente rivendicato la scarcerazione come un successo. Perciò Gramsci teneva a sfruttare esclusivamente i canali con il ministero dell’Interno sovietico, con il quale la moglie Julia aveva collaborato dal 1923 al 1930, prima di ammalarsi. I rapporti di Julia con i servizi segreti sovietici erano dunque considerati da un Gramsci stremato dalla galera uno degli atout che potevano salvarlo. Ma le sue condizioni di salute peggiorarono, nel 1935 fu ricoverato nella clinica Quisisana di Roma, il 25 aprile 1937, quando doveva essere liberato per decorrenza della pena, ridotta negli anni precedenti, fu colpito da un collasso cardiaco. Due giorni dopo morì».
Capito qualcosa? Io, no. Ci vedo una lunga arrampicata sugli specchi. O Togliatti era "fedele alla linea" (e lo era) o fu "ridimensionato" e dunque non lo era. O Togliatti stava con Gramsci (e ci stava), oppure no.
Il fatto è che l'Istituto Gramsci ha da sempre uno scopo principale: definire i limiti entro i quali possono essere studiate la figura di Gramsci e la sua biografia. Chi esce dal tracciato è considerato immediatamente un eretico e si fa di tutto per screditarlo, quando ciò avviene in Italia. E questo sarebbe un modo di fare storia? Questa sarebbe la storia?
Ricordo che durante un concorso per professore associato, a Catania, la commissione (formata dai seguenti storici: Simone Neri Serneri - su di lui sempre a Catania si veda http://ctzen.it/2012/04/06/unict-concorso-sospetto-a-lingue-il-tar-accoglie-il-ricorso-di-un-ricercatore/, - Girolamo Imbruglia, Francesco Piva e Giuseppe Barone) mi chiese come mai fossi tanto convinto che le BR non erano state manovrate. Era ovvio che dovevo perdere e che si trattava di una domanda provocatoria. Risposi che il giorno in cui fosse uscito un solo documento che lo avesse provato, mi sarei dimesso da ricercatore. Ad oggi, quel documento non è uscito fuori. Ma non è questo il punto. Il punto è che Barone mi disse che nonuno storico non parla così. E perché? mi chiedo. Uno storico può dimettersi se riconosce di aver creduto per anni a una cosa su cui ha basato parte della propria attività. Casomai, non sarebbe stato da storici rispondere: "è così e basta". Oppure: "non sarà mai provato il contrario di quello che penso e scrivo".
Ebbene, oltre a ringraziare i quattro commissari per avermi bocciato e così permesso di continuare a fare il ricercatore, vorrei sottolineare che l'Istituto Gramsci si comporta proprio così: la storia di Gramsci la possono scrivere solo loro. Gli archivi di Mosca? Solo loro. L'interpretazione del suo pensiero? Solo loro. I parenti di Gramsci? Solo loro. Quanti sanno che sono uscite le lettere di Giuliano Gramsci, figlio di Antonio, curate da Annamaria Sgarbi e scritte da Mosca poco prima di morire a un padre che non aveva mai visto?
Non ci siamo.
Annamaria Sgarbi con Giuliano Gramsci a Mosca |