sabato 21 gennaio 2012
venerdì 20 gennaio 2012
Il caso "Fosse Ardeatine" è chiuso. Der Spiegel
Riportiamo la traduzione dell'articolo pubblicato su "Der Spiegel" sulla chiusura del caso "Fosse Ardeatine". Domenica 22 gennaio sull'inserto culturale del "Corriere", la discussione prosegue.
Nella primavera del 1944 le truppe naziste massacrarono centinaia di civili italiani alle Fosse Ardeatine vicino a Roma. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, il governo tedesco fece ben poco per rintracciare i colpevoli. A quel tempo, Roma e Bonn erano più interessati alla politica che alla giustizia.Prima della seconda guerra mondiale, le Fosse Ardeatine erano usate per lo scavo di materiale vulcanico, il tufo, impiegato nella produzione di cemento. Ma il 24 Marzo 1944, la produzione era cessata da tempo. In quel giorno, i corridoi all'interno delle grotte e delle cavità vennero illuminate con delle torce. Fuori, nel sole del pomeriggio, autocarri militari trasportavano i prigionieri per un totale di 335 uomini, il più giovane dei quali aveva solo 15 anni. Erano tutti italiani.Gli occupanti tedeschi volevano vendicare un attacco che i partigiani comunisti avevano effettuato il giorno prima contro una unità della polizia tedesca a Roma, in Via Rasella. Le vittime di questo atto di rappresaglia furono scelte a caso. La maggior parte di loro si trovava in una prigione della Gestapo nella capitale italiana o erano detenuti dalla Wehrmacht. Nessuno di loro era stato coinvolto nell'attacco.Alle 3:30 del pomeriggio, un primo gruppo di cinque uomini venne ammassato nelle grotte. Un ufficiale delle SS era lì per chiedere i loro nomi, per confrontarli con quelli che aveva sulla sua lista. Gli uomini furono costretti a inginocchiarsi nella caverna scura, dove membri delle SS li uccisero. Fu la volta del secondo gruppo di cinque; quindi i cadaveri cominciarono ad ammassarsi, tanto che i seguenti gruppi dovettero passare sopra i morti accatastati. L'operazione durò fino al tramontoMolti dei carnefici si ubriacarono pesantemente durante l'operazione, fatto che rese la loro mira sempre meno precisa. Diverse vittime sopravvissero ai colpi iniziali. Alcuni soffocarono sotto il peso dei morti. Poi, le SS fecero detonare l'ingresso delle grotte.I documenti schiaccianti scoperti a BerlinoQuesto atto di violenza è noto nella storia di crimini di guerra come il massacro delle Fosse Ardeatine. Dopo la guerra, divenne un simbolo delle atrocità tedesche in Italia durante l'occupazione del paese. Oggi, un grande monumento commemora l'eccidio, e i leader politici italiani ogni anno presenziano una cerimonia di ricordo, con deposizione di corone di fiori.Anche se questo giorno continua ad essere pubblicamente commemorato, i funzionari tedeschi e italiani aveva alcun interesse a portare i responsabili di fronte la giustizia. Infatti, l'unica persona ad essere punita fu Herbert Kappler, l'ufficiale delle SS incaricato della polizia tedesca e dei servizi di sicurezza a Roma durante la guerra, condannato al carcere a vita nel 1948.Mentre ricercava negli archivi politici della Germania del ministero degli Esteri, con sede a Berlino, il perché i funzionari erano stati così riluttanti a punire questi crimini, lo storico Felix Bohr è incappato in una serie importantissima di documenti, che ha pubblicato all'inizio di questa settimana su un portale Internet per storici.
I documenti sono uno scambio di lettere iniziata nel 1959 tra funzionari dell'Ambasciata tedesca a Roma e i loro omologhi del Ministero degli Esteri di Bonn, capitale della Germania Ovest. Con una chiarezza senza precedenti, i documenti testimoniano come i diplomatici tedeschi e i funzionari italiani collaborarono alla schedatura dei soldati incaricati da Kappler di eseguire l'eccidio. Il consigliere di ambasciata Kurt von Tannstein scrisse che l'obiettivo era "mettere (la vicenda) a riposo, come desiderato sia dal lato tedesco che italiano."Tannstein aderì al partito nazista nel 1933, l'anno in cui Hitler divenne Cancelliere della Germania, ed entrò nel servizio diplomatico con Joachim von Ribbentrop, ministro degli esteri di Hitler dal 1938 a quasi la fine della guerra. Poiché solo Tannstein e i dipendenti del Ministero degli Esteri con un passato nazista affrontarono la vicende Kappler, la scoperta di Bohr potrebbe anche riaccendere il dibattito che circonda la storia del ministero.Nel 2010, una commissione storica ha pubblicato il best-seller "Das Amt und die Vergangenheit" ("L'ufficio e il passato"), che documenta il coinvolgimento del Ministero degli Esteri durante l'Olocausto. Da allora, storici e giornalisti hanno hanno cercato di capire se diplomatici che avevano lealmente servito Hitler erano passati alla difesa dei valori del dopoguerra della Repubblica Federale Tedesca (BRD) - o se usarono il Ministero degli Esteri come veicolo per ostacolare la giustizia.
Nel caso delle Fosse Ardeatine, l'iniziativa è partita dal governo italiano. I loro tentativi iniziali di vedere puniti i crimini tedeschi furono abbandonati presto. Molti degli autori vivevano in Germania, e il governo democristiano a Roma speravano di evitare di dover fare alcuna richiesta di estradizione. Un diplomatico romano avvertì: "Il giorno in cui il primo criminale tedesco sarà estradato, ci sarà un'ondata di proteste dai paesi che chiedono l'estradizione di criminali italiani". Dopo tutto, l'Italia era stata alleata della Germania nazista fino al 1943 e occupato i Balcani, dove centinaia di migliaia di persone furono vittima della violenza degli italiani .I democratici cristiani erano preoccupati che potessero anche danneggiare le buone relazioni con la Germania, il suo nuovo alleato della Nato, così come con il cancelliere tedesco Konrad Adenauer, membro fondatore e leader della stessa Unione Cristiano Democratica tedesca (CDU) . Infine, i democristiani italiani non voleva dare la possibilità ai comunisti di riaccendere il dibattito sulla resistenza antinazista. L'opposizione comunista in parlamento ne avrebbe potuto beneficiare in termini elettorali.Come risultato, una grande operazione di pulizia fu portata a termine nell'ufficio del procuratore militare nel 1958. Migliaia di faldoni furono stati chiusi a chiave negli archivi. L'anno successivo, i pubblici ministeri civili iniziarono ad occuparsi del massacro delle Fosse Ardeatine. Il procedimento contro Kappler non sono fu mai formalmente chiuso perché 12 dirigenti delle SS sospetti dai giudici non poterono essere definitivamente identificati.Ciò ha indotto il capo procuratore Massimo Tringali a visitare l'Ambasciata tedesca a Roma nell'ottobre 1959. Manfred Klaiber, ambasciatore tedesco in Italia trasmise a Bonn le sue parole, straordinariamente sincero:"Durante la conversazione, il Col. Tringali ha espresso chiaramente che non c'era alcun interesse per la parte italiana, ancora una volta a portare l'intero problema della esecuzione di ostaggi in Italia, e specialmente quelli della Fosse Ardeatine, all'attenzione del pubblico. Questo non lo vogliamo, ha detto, per ragioni che hanno a che fare con la politica interna. Sarebbe lieto se gli organi ufficiali tedeschi siano in grado, a seguito di attento esame, di confermare all'ufficio del procuratore militare di Roma che nessuno degli accusati è ancora vivo o possa essere individuato o che gli individui non possono essere identificati a causa di informazioni imprecise riguardo i loro nomi."D'altra parte, qualora dalle indagini degli organi tedeschi si riuscisse a stabilire che tutti o alcuni degli accusati sono ancora vivi e residenti nella Repubblica federale di Germania, il governo tedesco sarebbe libero di invocare l'accordo di estradizione italòo-tedesco e dichiarare che le informazioni non poteva essere fornita perché la Repubblica federale di Germania non estrada i propri cittadini in linea generale di principio. "L'ambasciatore Klaiber - che era stato anche membro del partito nazista dal 1934 e aveva lavorato sotto Hitler nel ministero degli Esteri - disse di aver sostenuto questa "richiesta con comprensione".
Sorprendente allo stesso modo della figura di Klaiber appare quella di Hans Gawlik, che ebbe la responsabilità di rispondere alle richieste di Roma dagli uffici del Ministero degli Esteri a Bonn. Il diplomatico aveva aderito al partito nazista nel 1933 e lavorato come procuratore a Breslau (oggi Wroclaw in Polonia di oggi) durante la guerra e in seguito continuato a difendere una serie di alti rappresentanti delle SS al Processo di Norimberga. Solo più tardi, come riportato da Der Spiegel nel 1968, sarebbe emerso che Gawlik aveva approfittato della sua posizione al ministero degli Esteri per mettere in guardia ex nazisti su eventuali viaggi all'estero dove erano stati condannati in contumacia ed erano quindi a rischio di arresto.
Non sorprende, dunque, che Gawlik scrisse all'ambasciata tedesca di Roma nel gennaio 1960 che "l'ubicazione attuale delle persone ricercate non poteva essere determinata". Aggiungendo che esistevano molti dubbi sul fatto che quegli uomini fossero ancora vivi. Un risultato, commentarono dall'ambasciata, " che corrispondeva a quanto era stato previsto".Tra le persone ricercate c'era Carl-Theodor Schütz, che comandava il plotone di esecuzione alle Fosse Ardeatine. L'ex capitano delle SS lavorava nel dopoguerra nel Bundesnachrichtendienst (BND), l'agenzia di intelligence straniera del paese.Un'altra persona sulla lista era Kurt Winden. Secondo Kappler, Winden aveva avuto un ruolo nella scelta delle vittime della strage. Egli avrebbe in seguito ha negato l'accusa. Comunque, sarebbe stato abbastanza facile individuarlo nel 1959: Stava lavorando come capo di un ufficio legale presso la sede della Deutsche Bank a Francoforte.I documenti rivelano anche che, almeno dal 1961 , Gawlik era a conoscenza di dove si trovasse il tenente delle SS Heinz Thunat . Egli scrisse ai suoi ex colleghi nazisti Klaiber e Tannstein che l'indirizzo di Thunat era "sconosciuto
Il procedimento giudiziario a Roma si concluse nel febbraio del 1962.Anni dopo, solo due degli uomini presenti nella lista dei ricercati dovettero rispondere delle loro azioni alle Ardeatine. Entrambi ammisero di aver preso parte al massacro, ma entrambi erano vissuti per decenni con i loro veri nomi: Erich Priebke era stato in Argentina, mentre Karl Hass aveva anche trascorso del tempo .Nel 1998, i due sono stati condannati all'ergastolo. Hass è ormai scomparso, mentre il 98-anni, Priebke vive a Roma, agli arresti domiciliari.
Nella primavera del 1944 le truppe naziste massacrarono centinaia di civili italiani alle Fosse Ardeatine vicino a Roma. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, il governo tedesco fece ben poco per rintracciare i colpevoli. A quel tempo, Roma e Bonn erano più interessati alla politica che alla giustizia.Prima della seconda guerra mondiale, le Fosse Ardeatine erano usate per lo scavo di materiale vulcanico, il tufo, impiegato nella produzione di cemento. Ma il 24 Marzo 1944, la produzione era cessata da tempo. In quel giorno, i corridoi all'interno delle grotte e delle cavità vennero illuminate con delle torce. Fuori, nel sole del pomeriggio, autocarri militari trasportavano i prigionieri per un totale di 335 uomini, il più giovane dei quali aveva solo 15 anni. Erano tutti italiani.Gli occupanti tedeschi volevano vendicare un attacco che i partigiani comunisti avevano effettuato il giorno prima contro una unità della polizia tedesca a Roma, in Via Rasella. Le vittime di questo atto di rappresaglia furono scelte a caso. La maggior parte di loro si trovava in una prigione della Gestapo nella capitale italiana o erano detenuti dalla Wehrmacht. Nessuno di loro era stato coinvolto nell'attacco.Alle 3:30 del pomeriggio, un primo gruppo di cinque uomini venne ammassato nelle grotte. Un ufficiale delle SS era lì per chiedere i loro nomi, per confrontarli con quelli che aveva sulla sua lista. Gli uomini furono costretti a inginocchiarsi nella caverna scura, dove membri delle SS li uccisero. Fu la volta del secondo gruppo di cinque; quindi i cadaveri cominciarono ad ammassarsi, tanto che i seguenti gruppi dovettero passare sopra i morti accatastati. L'operazione durò fino al tramontoMolti dei carnefici si ubriacarono pesantemente durante l'operazione, fatto che rese la loro mira sempre meno precisa. Diverse vittime sopravvissero ai colpi iniziali. Alcuni soffocarono sotto il peso dei morti. Poi, le SS fecero detonare l'ingresso delle grotte.I documenti schiaccianti scoperti a BerlinoQuesto atto di violenza è noto nella storia di crimini di guerra come il massacro delle Fosse Ardeatine. Dopo la guerra, divenne un simbolo delle atrocità tedesche in Italia durante l'occupazione del paese. Oggi, un grande monumento commemora l'eccidio, e i leader politici italiani ogni anno presenziano una cerimonia di ricordo, con deposizione di corone di fiori.Anche se questo giorno continua ad essere pubblicamente commemorato, i funzionari tedeschi e italiani aveva alcun interesse a portare i responsabili di fronte la giustizia. Infatti, l'unica persona ad essere punita fu Herbert Kappler, l'ufficiale delle SS incaricato della polizia tedesca e dei servizi di sicurezza a Roma durante la guerra, condannato al carcere a vita nel 1948.Mentre ricercava negli archivi politici della Germania del ministero degli Esteri, con sede a Berlino, il perché i funzionari erano stati così riluttanti a punire questi crimini, lo storico Felix Bohr è incappato in una serie importantissima di documenti, che ha pubblicato all'inizio di questa settimana su un portale Internet per storici.
I documenti sono uno scambio di lettere iniziata nel 1959 tra funzionari dell'Ambasciata tedesca a Roma e i loro omologhi del Ministero degli Esteri di Bonn, capitale della Germania Ovest. Con una chiarezza senza precedenti, i documenti testimoniano come i diplomatici tedeschi e i funzionari italiani collaborarono alla schedatura dei soldati incaricati da Kappler di eseguire l'eccidio. Il consigliere di ambasciata Kurt von Tannstein scrisse che l'obiettivo era "mettere (la vicenda) a riposo, come desiderato sia dal lato tedesco che italiano."Tannstein aderì al partito nazista nel 1933, l'anno in cui Hitler divenne Cancelliere della Germania, ed entrò nel servizio diplomatico con Joachim von Ribbentrop, ministro degli esteri di Hitler dal 1938 a quasi la fine della guerra. Poiché solo Tannstein e i dipendenti del Ministero degli Esteri con un passato nazista affrontarono la vicende Kappler, la scoperta di Bohr potrebbe anche riaccendere il dibattito che circonda la storia del ministero.Nel 2010, una commissione storica ha pubblicato il best-seller "Das Amt und die Vergangenheit" ("L'ufficio e il passato"), che documenta il coinvolgimento del Ministero degli Esteri durante l'Olocausto. Da allora, storici e giornalisti hanno hanno cercato di capire se diplomatici che avevano lealmente servito Hitler erano passati alla difesa dei valori del dopoguerra della Repubblica Federale Tedesca (BRD) - o se usarono il Ministero degli Esteri come veicolo per ostacolare la giustizia.
Nel caso delle Fosse Ardeatine, l'iniziativa è partita dal governo italiano. I loro tentativi iniziali di vedere puniti i crimini tedeschi furono abbandonati presto. Molti degli autori vivevano in Germania, e il governo democristiano a Roma speravano di evitare di dover fare alcuna richiesta di estradizione. Un diplomatico romano avvertì: "Il giorno in cui il primo criminale tedesco sarà estradato, ci sarà un'ondata di proteste dai paesi che chiedono l'estradizione di criminali italiani". Dopo tutto, l'Italia era stata alleata della Germania nazista fino al 1943 e occupato i Balcani, dove centinaia di migliaia di persone furono vittima della violenza degli italiani .I democratici cristiani erano preoccupati che potessero anche danneggiare le buone relazioni con la Germania, il suo nuovo alleato della Nato, così come con il cancelliere tedesco Konrad Adenauer, membro fondatore e leader della stessa Unione Cristiano Democratica tedesca (CDU) . Infine, i democristiani italiani non voleva dare la possibilità ai comunisti di riaccendere il dibattito sulla resistenza antinazista. L'opposizione comunista in parlamento ne avrebbe potuto beneficiare in termini elettorali.Come risultato, una grande operazione di pulizia fu portata a termine nell'ufficio del procuratore militare nel 1958. Migliaia di faldoni furono stati chiusi a chiave negli archivi. L'anno successivo, i pubblici ministeri civili iniziarono ad occuparsi del massacro delle Fosse Ardeatine. Il procedimento contro Kappler non sono fu mai formalmente chiuso perché 12 dirigenti delle SS sospetti dai giudici non poterono essere definitivamente identificati.Ciò ha indotto il capo procuratore Massimo Tringali a visitare l'Ambasciata tedesca a Roma nell'ottobre 1959. Manfred Klaiber, ambasciatore tedesco in Italia trasmise a Bonn le sue parole, straordinariamente sincero:"Durante la conversazione, il Col. Tringali ha espresso chiaramente che non c'era alcun interesse per la parte italiana, ancora una volta a portare l'intero problema della esecuzione di ostaggi in Italia, e specialmente quelli della Fosse Ardeatine, all'attenzione del pubblico. Questo non lo vogliamo, ha detto, per ragioni che hanno a che fare con la politica interna. Sarebbe lieto se gli organi ufficiali tedeschi siano in grado, a seguito di attento esame, di confermare all'ufficio del procuratore militare di Roma che nessuno degli accusati è ancora vivo o possa essere individuato o che gli individui non possono essere identificati a causa di informazioni imprecise riguardo i loro nomi."D'altra parte, qualora dalle indagini degli organi tedeschi si riuscisse a stabilire che tutti o alcuni degli accusati sono ancora vivi e residenti nella Repubblica federale di Germania, il governo tedesco sarebbe libero di invocare l'accordo di estradizione italòo-tedesco e dichiarare che le informazioni non poteva essere fornita perché la Repubblica federale di Germania non estrada i propri cittadini in linea generale di principio. "L'ambasciatore Klaiber - che era stato anche membro del partito nazista dal 1934 e aveva lavorato sotto Hitler nel ministero degli Esteri - disse di aver sostenuto questa "richiesta con comprensione".
Sorprendente allo stesso modo della figura di Klaiber appare quella di Hans Gawlik, che ebbe la responsabilità di rispondere alle richieste di Roma dagli uffici del Ministero degli Esteri a Bonn. Il diplomatico aveva aderito al partito nazista nel 1933 e lavorato come procuratore a Breslau (oggi Wroclaw in Polonia di oggi) durante la guerra e in seguito continuato a difendere una serie di alti rappresentanti delle SS al Processo di Norimberga. Solo più tardi, come riportato da Der Spiegel nel 1968, sarebbe emerso che Gawlik aveva approfittato della sua posizione al ministero degli Esteri per mettere in guardia ex nazisti su eventuali viaggi all'estero dove erano stati condannati in contumacia ed erano quindi a rischio di arresto.
Non sorprende, dunque, che Gawlik scrisse all'ambasciata tedesca di Roma nel gennaio 1960 che "l'ubicazione attuale delle persone ricercate non poteva essere determinata". Aggiungendo che esistevano molti dubbi sul fatto che quegli uomini fossero ancora vivi. Un risultato, commentarono dall'ambasciata, " che corrispondeva a quanto era stato previsto".Tra le persone ricercate c'era Carl-Theodor Schütz, che comandava il plotone di esecuzione alle Fosse Ardeatine. L'ex capitano delle SS lavorava nel dopoguerra nel Bundesnachrichtendienst (BND), l'agenzia di intelligence straniera del paese.Un'altra persona sulla lista era Kurt Winden. Secondo Kappler, Winden aveva avuto un ruolo nella scelta delle vittime della strage. Egli avrebbe in seguito ha negato l'accusa. Comunque, sarebbe stato abbastanza facile individuarlo nel 1959: Stava lavorando come capo di un ufficio legale presso la sede della Deutsche Bank a Francoforte.I documenti rivelano anche che, almeno dal 1961 , Gawlik era a conoscenza di dove si trovasse il tenente delle SS Heinz Thunat . Egli scrisse ai suoi ex colleghi nazisti Klaiber e Tannstein che l'indirizzo di Thunat era "sconosciuto
Il procedimento giudiziario a Roma si concluse nel febbraio del 1962.Anni dopo, solo due degli uomini presenti nella lista dei ricercati dovettero rispondere delle loro azioni alle Ardeatine. Entrambi ammisero di aver preso parte al massacro, ma entrambi erano vissuti per decenni con i loro veri nomi: Erich Priebke era stato in Argentina, mentre Karl Hass aveva anche trascorso del tempo .Nel 1998, i due sono stati condannati all'ergastolo. Hass è ormai scomparso, mentre il 98-anni, Priebke vive a Roma, agli arresti domiciliari.
Aggiornamento sul giorno dell'Antifascismo in Russia
La manifestazione antifascista dedicata alla memoria di Stanislav Markolov e Anastasija Baburovaja, uccisi il 19 gennaio 2009 a Mosca, si è svolta ieri, 19 gennaio, a San Pietroburgo. Vi anno preso parte circa 200 persone che, nonostante i divieti imposti dal sindaco della città, si sono riuniti presso la stazione della metropolitana "Gorkij" e poi si sono diretti in piazza Sacharov.
un'immagine del meeting di ieri, 19 gennaio. tratta dal sito memorial.spb.ru |
I partecipanti hanno osservato un minuto di silenzio per tutte le vittime della violenza fascista, quindi è stato improvvisato un comizio, dove hanno potuto prendere la parola tutti. Alcuni hanno parlato contro la violenza, altri hanno recitato versi propri o di poeti famosi, contemporanei e del passato. Su uno schermo montato vicino al palco sono state proiettate le fotografie degli attivisti uccisi dai fascisti, un lavoro che fa parte di una mostra itinerante intitolata: "l'Arte contro il Fascismo".
Мы помним и продолжаем бороться: Non dimentichiamo e continuiamo la nostra lotta.
Con queste parole si è concluso il meeting.
La tipografia delle BR e De Tormentis
De Tormentis è un pugliese nato in provincia di Bari, il 21 gennaio 1943. Nelle righe che seguono il racconto di Trica, il gestore della famosa "tipografia" romana, dove le Br fino al 1978 avevano stampato parte dei loro documenti
Sono stato arrestao il 17 maggio 1978. Prelevato da casa fui portato in tipografia, in via Pio Foà a Monteverde, per la perquisizione dei locali. Qui appena gli agenti hanno rinvenuto il materiale dell’organizzazione si è precipitata un’orda di poliziotti. A quel punto sono stato portato in questura, a San Vitale, dove venni perquisito come risulta da un verbale firmato da Domenico Spinella (capo della DIGOS). Nel pomeriggio sono stato spostato nella caserma di via Castro Pretorio, dove è cominciato l’interrogatorio. Verso sera è arrivato il “professor De Tormentis” che mi ha indirizzato qualche battuta dicendomi, tra l’altro, che eravamo paesani, dopodiché si appartò con Spinella. I due confabularono qualcosa. Appena finito dissero agli agenti che bastava così e ordinarono di riportarmi in questura. Uscimmo nel cortile dove c’era un furgone. Si aprì lo sportello laterale e si affacciarono due poliziotti con casco antiproiettile e giubbotto suscitando lo stupore degli agenti che mi tenevano, ma “De Tormentis” ordinò di consegnarmi a loro e Spinella confermò l’ordine.
L'articolo dell'Unità citato da Triaca nel corso della sua Memoria. |
Il trattamento
Fui caricato, mi misero le manette dietro la schiena, mi bendarono steso a terra e il furgone partì. Nessuno parlava, si sentiva solo un leggero bisbiglio e un rumore di armi, caricatori che venivano inseriti, carrelli che mettevano il colpo in canna. Cercavo di capire cosa stava succedendo: “Vogliono farti sparire, eliminarti? Ma sei stato prelevato a casa, portato in tipografia, quindi la cosa è pubblica”. Allora razionalizzavo che la cosa non era possibile. Allora mi chiedevo: “Vogliono pestarti? Ma questo potevano farlo a Castro Pretorio, di certo non sto andando in Questura”. Dopo una mezzora circa, ma calcolare il tempo in certi frangenti è difficile, penso comunque di non essere uscito da Roma, il furgone si fermò. Mi fecero scendere, salimmo delle scale e mi introdussero in una stanza. Lì venni spogliato, mi caricarono su un tavolo e mi legarono alle quattro estremità con le spalle e la testa fuori dal tavolo, accesero la radio con il volume al massimo e cominciò “il trattamento”. Un maiale si sedette sulla pancia, un altro mi sollevò la testa tenendomi il naso otturato, e un altro mi inserì il tubo dell’acqua in bocca.
L’istinto è quello di agitarti nel tentativo di prendere aria ma riesco solo ad ingoiare acqua. Nessuno parla tranne“De Tormentis” che da ordini, decide quando smettere e quando ricominciare, fa le domande. Poi ti viene somministrato qualcosa che si dice dovrebbe essere del sale, ma tu non senti più il sapore, dopo un po’ che tieni la testa penzoloni i muscoli cominciano a farti male e ad ogni movimento ti sembra che il primo tratto della spina dorsale ti venga strappato dalla carne, dai muscoli, dai nervi. Quando l’ossigeno comincia a mancare il corpo si ribella e si manifesta con violenti spasmi, violente contrazioni nel tentativo di prendere ossigeno: uno, due , tre spasmi e “de Tormentis” ordina di smettere. Un paio di respirazioni e si ricomincia: uno, due, tre contrazioni, «Stop»; uno, due, tre, «Stop». Dopo un lasso di tempo indefinito cominci a non reagire più; cerchi di estraniarti ma la testa che viene continuamente mossa e le fitte che ciò ti procura ti costringono a restare lì. All’ennesimo stop entra in campo un’altra voce che dice di smettere, che può bastare. Ne nasce una mezza discussione con “De Tormentis” che invece insiste per continuare, ma l’altra voce ha paura e s’impone e così vengo slegato, messo a sedere sul tavolo. Con l’alcol mi massaggiano braccia e spalle, mi rivestono tra le battute divertite di due maiali. Per accertarsi che la bendatura regga mi fanno uscire sul pianerottolo dove al centro è sistemata una sedia che mi fanno urtare per verificare che non vedo, quindi riscendo una rampa di scale e poi ne imbocchiamo un’altra sulla sinistra, più piccola e meno illuminata che da direttamente nel garage. Qui vengo caricato nel furgone, si sente il rumore di una porta automatica e si parte. Tornati in questura, nel cortile vengo sbendato e consegnato a due guardie che mi portano in cella di sicurezza.
Fui caricato, mi misero le manette dietro la schiena, mi bendarono steso a terra e il furgone partì. Nessuno parlava, si sentiva solo un leggero bisbiglio e un rumore di armi, caricatori che venivano inseriti, carrelli che mettevano il colpo in canna. Cercavo di capire cosa stava succedendo: “Vogliono farti sparire, eliminarti? Ma sei stato prelevato a casa, portato in tipografia, quindi la cosa è pubblica”. Allora razionalizzavo che la cosa non era possibile. Allora mi chiedevo: “Vogliono pestarti? Ma questo potevano farlo a Castro Pretorio, di certo non sto andando in Questura”. Dopo una mezzora circa, ma calcolare il tempo in certi frangenti è difficile, penso comunque di non essere uscito da Roma, il furgone si fermò. Mi fecero scendere, salimmo delle scale e mi introdussero in una stanza. Lì venni spogliato, mi caricarono su un tavolo e mi legarono alle quattro estremità con le spalle e la testa fuori dal tavolo, accesero la radio con il volume al massimo e cominciò “il trattamento”. Un maiale si sedette sulla pancia, un altro mi sollevò la testa tenendomi il naso otturato, e un altro mi inserì il tubo dell’acqua in bocca.
L’istinto è quello di agitarti nel tentativo di prendere aria ma riesco solo ad ingoiare acqua. Nessuno parla tranne“De Tormentis” che da ordini, decide quando smettere e quando ricominciare, fa le domande. Poi ti viene somministrato qualcosa che si dice dovrebbe essere del sale, ma tu non senti più il sapore, dopo un po’ che tieni la testa penzoloni i muscoli cominciano a farti male e ad ogni movimento ti sembra che il primo tratto della spina dorsale ti venga strappato dalla carne, dai muscoli, dai nervi. Quando l’ossigeno comincia a mancare il corpo si ribella e si manifesta con violenti spasmi, violente contrazioni nel tentativo di prendere ossigeno: uno, due , tre spasmi e “de Tormentis” ordina di smettere. Un paio di respirazioni e si ricomincia: uno, due, tre contrazioni, «Stop»; uno, due, tre, «Stop». Dopo un lasso di tempo indefinito cominci a non reagire più; cerchi di estraniarti ma la testa che viene continuamente mossa e le fitte che ciò ti procura ti costringono a restare lì. All’ennesimo stop entra in campo un’altra voce che dice di smettere, che può bastare. Ne nasce una mezza discussione con “De Tormentis” che invece insiste per continuare, ma l’altra voce ha paura e s’impone e così vengo slegato, messo a sedere sul tavolo. Con l’alcol mi massaggiano braccia e spalle, mi rivestono tra le battute divertite di due maiali. Per accertarsi che la bendatura regga mi fanno uscire sul pianerottolo dove al centro è sistemata una sedia che mi fanno urtare per verificare che non vedo, quindi riscendo una rampa di scale e poi ne imbocchiamo un’altra sulla sinistra, più piccola e meno illuminata che da direttamente nel garage. Qui vengo caricato nel furgone, si sente il rumore di una porta automatica e si parte. Tornati in questura, nel cortile vengo sbendato e consegnato a due guardie che mi portano in cella di sicurezza.
“Hanno visto in tanti”
“De Tormentis” ha sparso una quantità di indizi su di sè da essere ormai facilmente identificabile; la voce “fuori campo” presente nella stanza della tortura non è difficile da capire a chi appartenga. Non poteva essere certo un semplice poliziotto ad ordinare a “De Tormentis” di smettere. Nel cortile di Castro Pretorio oltre a Spinella e “De Tormentis” con la sua squadretta c’era una coorte di almeno 10 poliziotti. Erano e sono in molti a sapere.
Come scriveva Pasolini, io so. Io so i nomi dei torturatori, io so i nomi di chi tali abusi ha coperto, ma non ho le prove.
“De Tormentis” ha sparso una quantità di indizi su di sè da essere ormai facilmente identificabile; la voce “fuori campo” presente nella stanza della tortura non è difficile da capire a chi appartenga. Non poteva essere certo un semplice poliziotto ad ordinare a “De Tormentis” di smettere. Nel cortile di Castro Pretorio oltre a Spinella e “De Tormentis” con la sua squadretta c’era una coorte di almeno 10 poliziotti. Erano e sono in molti a sapere.
Come scriveva Pasolini, io so. Io so i nomi dei torturatori, io so i nomi di chi tali abusi ha coperto, ma non ho le prove.
Il carcere
Dopo tre giorni di permanenza nelle celle di sicurezza (altro abuso perché le leggi di allora non permettevano di trattenere un detenuto per un tempo così lungo in questura) venni tradotto nel carcere di Civitavecchia, dove sono stato per circa una settimana. 24 ore su 24 chiuso in cella senza possibilità di andare “all’aria”, con un secondino fisso davanti alla cella. Poi trasferito a Sulmona, anche lì 24 su 24 in una cella sotterranea, con una finestrella a sei metri di altezza, una turca, senza lavandino, con un tubo che fuoriusciva sopra la turca da cui sgorgava in continuazione acqua dal quale potevo lavarmi o bere, il letto incementato al centro della cella, e una puzza di muffa che toglieva il respiro……… mi venne in mente Silvio Pellico.
Dopo una settimana circa, sono stato nuovamente trasferito, questa volta a Volterra. Qui ci fu il salto di qualità: la cella era una “normale” cella di isolamento, con letto, bagno, lavandino e due porte una di fronte all’altra. Una di queste portava al cortile dell’aria: una cella un po’ più piccola senza tetto, ma almeno si vedeva la luce del sole, il cielo. Qui riuscii ad avere dopo tanto una sigaretta dal lavorante della sezione, una Stop lunga senza filtro. Me la fumai con un gusto indescrivibile, poi mi sdraiai sul letto perché mi girava tutto. Dopo un’altra settimana circa sono stato nuovamente trasferito, a Rebibbia questa volta, sempre in isolamento. Ricevetti la prima visita degli avvocati, che mi spiegarono come fino a quel momento nessuno era riuscito a sapere dove stavo, che fine avessi fatto (Desaparecidos).
A Rebibbia il passeggio era ampio con tutto intorno vetrate che davano su corridoi interni. Dopo qualche giorno trovai i vetri tappezzati di carta plastificata ed ogni tanto apparivano fessure dalle quali, seppi in seguito, mi spiavano i parenti delle vittime per i confronti.
Dopo tre giorni di permanenza nelle celle di sicurezza (altro abuso perché le leggi di allora non permettevano di trattenere un detenuto per un tempo così lungo in questura) venni tradotto nel carcere di Civitavecchia, dove sono stato per circa una settimana. 24 ore su 24 chiuso in cella senza possibilità di andare “all’aria”, con un secondino fisso davanti alla cella. Poi trasferito a Sulmona, anche lì 24 su 24 in una cella sotterranea, con una finestrella a sei metri di altezza, una turca, senza lavandino, con un tubo che fuoriusciva sopra la turca da cui sgorgava in continuazione acqua dal quale potevo lavarmi o bere, il letto incementato al centro della cella, e una puzza di muffa che toglieva il respiro……… mi venne in mente Silvio Pellico.
Dopo una settimana circa, sono stato nuovamente trasferito, questa volta a Volterra. Qui ci fu il salto di qualità: la cella era una “normale” cella di isolamento, con letto, bagno, lavandino e due porte una di fronte all’altra. Una di queste portava al cortile dell’aria: una cella un po’ più piccola senza tetto, ma almeno si vedeva la luce del sole, il cielo. Qui riuscii ad avere dopo tanto una sigaretta dal lavorante della sezione, una Stop lunga senza filtro. Me la fumai con un gusto indescrivibile, poi mi sdraiai sul letto perché mi girava tutto. Dopo un’altra settimana circa sono stato nuovamente trasferito, a Rebibbia questa volta, sempre in isolamento. Ricevetti la prima visita degli avvocati, che mi spiegarono come fino a quel momento nessuno era riuscito a sapere dove stavo, che fine avessi fatto (Desaparecidos).
A Rebibbia il passeggio era ampio con tutto intorno vetrate che davano su corridoi interni. Dopo qualche giorno trovai i vetri tappezzati di carta plastificata ed ogni tanto apparivano fessure dalle quali, seppi in seguito, mi spiavano i parenti delle vittime per i confronti.
La condanna per calunnia
Ci fu poi l’interrogatorio con il magistrato Achille Gallucci al quale denunciai le torture raccontando come si svolsero i fatti. Lui mi rispose che mi sarei beccato una denuncia per calunnia e così fu. Il giorno dopo, o forse quello ancora, ricevetti il mandato di cattura per calunnia, dopo lunghe e approfondite indagini Sic!.
Venne istruito il processo per direttissima, ed in quella occasione ci inserirono il porto abusivo di armi. Gli avvocati fecero presente che non potevo essere processato per porto d’armi in quel frangente perché i tempi per la direttissima erano scaduti, ma il giudice se ne fregò e andò avanti.
Venne chiamato Domenico Spinella, capo della DIGOS. Il giudice gli chiese il motivo del trasferimento dalla questura a Castro Pretorio, ma lui negò che fossi stato portato in questura ma direttamente a Castro Pretorio. Gli avvocati presentano alla corte un verbale firmato da Domenico Spinella nel quale affermava che alle 12,30 venivo perquisito negli uffici della questura, ma il giudice se ne fregò, non chiese chiarimenti e continuò. Chiese a Spinella i nomi degli agenti di turno alle celle di sicurezza, lui rispose che non poteva ricordarli ma che il giorno dopo avrebbe portato il registro delle presenze. Il giorno dopo venne un agente e disse che il registro delle presenze era sparito, ma il giudice se ne fregò e si convinse, “al di la di ogni ragionevole dubbio”, della mia colpevolezza, così fui condannato.
Tutti i giornali evitarono qualsiasi commento limitandosi a riferire della mia condanna, si distinse "l’Unità" che ebbe l’ardire di scrivere sul numero dell’8 novembre 1978: «L’avvocato Alfonso Cascone ha invece avanzato apertamente il sospetto che le accuse di Triaca alla polizia fossero false e che il suo assistito avesse mentito poiché – pensando di essere considerato dalle BR un delatore – temeva rappresaglie. Il reato di calunnia, ha detto quindi il legale, sarebbe stato compiuto in “stato di necessità”. Nonostante i dubbi suscitati dal comportamento della polizia durante il processo, dunque, uno scorcio di verità è arrivata inaspettatamente proprio da uno dei difensori del tipografo delle BR».
L’avvocato Alfonso Cascone presentò una denuncia contro il giornale che venne immediatamente archiviata.
Ci fu poi l’interrogatorio con il magistrato Achille Gallucci al quale denunciai le torture raccontando come si svolsero i fatti. Lui mi rispose che mi sarei beccato una denuncia per calunnia e così fu. Il giorno dopo, o forse quello ancora, ricevetti il mandato di cattura per calunnia, dopo lunghe e approfondite indagini Sic!.
Venne istruito il processo per direttissima, ed in quella occasione ci inserirono il porto abusivo di armi. Gli avvocati fecero presente che non potevo essere processato per porto d’armi in quel frangente perché i tempi per la direttissima erano scaduti, ma il giudice se ne fregò e andò avanti.
Venne chiamato Domenico Spinella, capo della DIGOS. Il giudice gli chiese il motivo del trasferimento dalla questura a Castro Pretorio, ma lui negò che fossi stato portato in questura ma direttamente a Castro Pretorio. Gli avvocati presentano alla corte un verbale firmato da Domenico Spinella nel quale affermava che alle 12,30 venivo perquisito negli uffici della questura, ma il giudice se ne fregò, non chiese chiarimenti e continuò. Chiese a Spinella i nomi degli agenti di turno alle celle di sicurezza, lui rispose che non poteva ricordarli ma che il giorno dopo avrebbe portato il registro delle presenze. Il giorno dopo venne un agente e disse che il registro delle presenze era sparito, ma il giudice se ne fregò e si convinse, “al di la di ogni ragionevole dubbio”, della mia colpevolezza, così fui condannato.
Tutti i giornali evitarono qualsiasi commento limitandosi a riferire della mia condanna, si distinse "l’Unità" che ebbe l’ardire di scrivere sul numero dell’8 novembre 1978: «L’avvocato Alfonso Cascone ha invece avanzato apertamente il sospetto che le accuse di Triaca alla polizia fossero false e che il suo assistito avesse mentito poiché – pensando di essere considerato dalle BR un delatore – temeva rappresaglie. Il reato di calunnia, ha detto quindi il legale, sarebbe stato compiuto in “stato di necessità”. Nonostante i dubbi suscitati dal comportamento della polizia durante il processo, dunque, uno scorcio di verità è arrivata inaspettatamente proprio da uno dei difensori del tipografo delle BR».
L’avvocato Alfonso Cascone presentò una denuncia contro il giornale che venne immediatamente archiviata.
http://insorgenze.wordpress.com/2012/01/19/enrico-triaca/
Kodak in bancarotta
Ne avevamo parlato per la Technicolor. E' crisi mondiale per le pellicole.
Eastman Kodak, la più famosa azienda produttrice di pellicole, chiede la bancarotta assistita. Durante l'amministrazione controllata la società continuerò ad operare grazie a un finanziamento da 950 milioni di dollari di Citigroup.
Si prospetta una ristrutturazione dell'azienda, affidata a Dominic Di Napoli.
Durante la gestione del precedente amministratore delegato, Antonio Perez, la Kodak ha perso 7 miliardi di dollari di valore di mercato.
La Kodak conta 19.000 dipendenti che rischiano di rimanere a casa nei prossimi mesi.
Vendiamo pellicole Kodak |
Si prospetta una ristrutturazione dell'azienda, affidata a Dominic Di Napoli.
Durante la gestione del precedente amministratore delegato, Antonio Perez, la Kodak ha perso 7 miliardi di dollari di valore di mercato.
La Kodak conta 19.000 dipendenti che rischiano di rimanere a casa nei prossimi mesi.
giovedì 19 gennaio 2012
Giorno dell'Antifascismo in Russia
Stanislav Markelov e Anastasia Baburova |
Oltre a Markelov e alla giornalista Anastasia Baburova gruppi neonazisti hanno ucciso Nikolaj Girenko, Timur Kacharava, Ivan Khutorskoi, Alexander Ryukhin.
Secondo quanto dichiarato da Memorial di San Pietroburgo, "noi abbiamo un'arma più potente di pistole e coltelli o repressione nazista, la solidarietà. Con l'azione congiunta e il sostegno reciproco possiamo combattere l'ideologia della disuguaglianza e la pratica del terrore"
Il logo della giornata antifascista |
La società civile russa combatte il fascismo in ogni situazione e in ogni sua forma e manifestazione.
Imputato Padula
Assente l’imputato Padula, rinviato il processo Moro
Nella foto Sandro Padula. L'articolo è apparso su "l'Unità" il 23 novembre 1982. Sono passati 30 anni. |
L’Unità venerdì 19 novembre 1982
ROMA — È durata tre minuti l’udienza di Ieri del processo Moro. La Corte è entrata e il presidente Santiapichi ha annunciato che nessuno poteva prendere la parola mancando un imputato che invece aveva diritto ad assistere al processo: il br in questione è Alessandro Padula, arrestato nei giorni scorsi vicino Roma e accusato di almeno 7 tra I più efferati delitti delle Brigate rosse. La procedura prevede infatti che se un Imputato appena arrestato non fa pervenire l’esplicita rinuncia ad essere presente, il processo non può andare avanti. E infatti il dibattimento è stato aggiornato a lunedì prossimo. La comunicazione del presidente ha dato il via a una serie di proteste e di pesanti minacce dei brigatisti in gabbia. «Lo stanno torturando – hanno gridato i br – avete chiesto perché Padula non è venuto?». Poi una minaccia diretta al presidente della Corte da parte di Pancelli: «Lei si sta rendendo complice delle torture», ma il giudice Santiapichi ha replicato seccamente. «Non sono complice di nessuno, la legge prevede che non si può fare udienza mancando un imputato». Poi sono arrivate anche le minacce ai giornalisti. Lunedì si dovrebbe quindi riprendere con le audizioni dei collaboratori di Moro Rana e Freato, rinviati da alcune udienze per la discussione sulle richieste (tutte respinte) dì alcune parti civili per l’approfondimento in aula di alcuni scottanti retroscena del caso Moro. L’interrogatorio di Nicola Rana era già iniziato e il teste era stato sentito su alcune registrazioni telefoniche. Con queste deposizioni, a seguito della decisione della Corte di rimandare ogni altro approfondimento a una nuova inchiesta della Procura, il processo entra nella fase finale.Il Br Padula si rifiuta di rispondere al giudice. Lunedì sarà presente al processo per via Fani
La Stampa Anno 116 Numero 251 - Pagina 6 – Sabato 20 Novembre 1982
DALLA REDAZIONE ROMANA ROMA – Sandro Padula, il brigatista rosso arrestato nel corso dell’ultima operazione della Digos, si è rifiutato di rispondere alle domande del sostituto procuratore della Repubblica Domenico Sica, dichiarandosi «militante comunista». Al magistrato, che lo ha interrogato in questura, Padula ha denunciato di essere stato maltrattato dagli agenti che l’avevano arrestato. Il suo difensore, avvocato Giuseppe Mattina, ha fatto mettere a verbale le accuse formulate dall’imputato, preannunciando una denuncia, che verrà presentata probabilmente oggi alla procura della Repubblica. Il magistrato, prima di chiedergli se volesse rispondere alle domande, ha contestato a Padula le accuse di partecipazione a banda armata e di violazione della legge sulle armi. Al momento dell’arresto gli è stata infatti, sequestrata una pistola. A conclusione dell’interrogatorio, Padula avrebbe mostrato al magistrato, a sostegno della sua denuncia, diversi ematomi sul corpo e sugli arti. Ha inoltre sostenuto di essere stato portato in un luogo di cui non sa indicare l’ubicazione e, una volta bendato, di essere stato steso supino su di un tavolo, legato, e costretto a bere acqua e sale. Padula sostiene anche di aver ricevuto pugni sulla testa e sulle orecchie, e di essere stato trattenuto nella casa in cui venne arrestato per un’intera giornata, ammanettato e bendato. Padula ha poi dichiarato al magistrato che, dopo le percosse, ha ricevuto qualche cura dagli agenti che l’avevano in consegna prima di essere trasferito, nelle celle di sicurezza della questura. L’imputato ha quindi sostenuto che, in cambio di un’ampia confessione e dei nomi di suoi compagni di clandestinità, gli è stato anche offerto un passaporto per espatriare e somme di danaro.
Lunedì, Padula sarà nell’aula del Foro Italico dove si celebra il processo per l’uccisione di Aldo Moro.
Lunedì, Padula sarà nell’aula del Foro Italico dove si celebra il processo per l’uccisione di Aldo Moro.
Processo Moro: Padula dice di essere stato «torturato». I brigatisti lanciano accuse alla DIGOS e lasciano l’aula
L’Unità, lunedì 23 novembre 1982
ROMA — Quasi tutta a porte chiuse la sessantacinquesi-ma udienza del processo Moro. Fuori il pubblico, i giornalisti, i fotografi, i cineoperatori, tutti, insomma, tranne gli «addetti ai lavori» muniti di toga: la corte, il pubblico ministero e gli avvocati. Non perché si dovesse parlare di chissà quali segreti (un processo serve proprio per verificare ogni cosa alla luce del sole) ma semplicemente per poter ascoltare in aula le registrazioni delle telefonate intercettate durante Il rapimento, senza violare la «privacy» di nessuno. L’ascolto di queste intercettazioni ha fatto da base per le domande rivolte a Nicola Rana e a Sereno Freato, che furono – assieme a Corrado Guerzoni – I più stretti collaboratori del presidente democristiano. Freato, ascoltato In serata« ha tra l’altro ricostruito la storia di un incontro tra il sottosegretario agli interni Lettieri e l’avvocato svizzero Payot, il quale aveva promesso, facendosi pagare cinque milioni, un Interessamento risolutore, mediante i suoi supposti agganci con I terroristi tedeschi della RAF. Ma la cosa si sarebbe rivelata un volgare «bidone».
Alle deposizioni dei due testimoni non erano presenti neppure gli imputati, che pure ne avrebbero avuto facoltà: nella tarda mattinata hanno abbandonato le gabbie in segno di protesta, dopo che era scoppiato In aula un nuovo «caso», legato al nome di Alessandro Padula, il brigatista accusato di otto omicidi arrestato dalla polizia nove giorni fa a Roma e comparso ieri per la prima volta al processo. Padula ha dichiarato di essere stato «torturato» dagli agenti della DIGOS ed ha inoltre accusato la polizia di avergli impedito di partecipare alle tre udienze della scorsa settimana (com’era suo diritto) attraverso un «falso». La corte ha passato la denuncia di Padula al pubblico ministero, affinché la procura romana possa vagliare le accuse alla DIGOS con una regolare inchiesta.
Il «caso Padula» non è stato aperto dall’interessato ma dal brigatista Prospero Gallinari, imputato di essere stato il boia di Aldo Moro. Appena la corte si é seduta, in apertura d’udienza. Gallinari si è fatto passare il microfono ed ha affermato che Padula é stato tenuto lontano dall’aula del processo per otto giorni ed è stato lasciato nelle mani dei «torturatori di Stato». Il portavoce dell’ala «militarista» delle Br è stato interrotto dal presidente Santiapichi, ma a questo punto ha incalzato lo stesso Padula, ribadendo le stesse accuse alla polizia e aggiungendo una sequela di slogan brigatisti. L’imputato ha mostrato al giornalisti un livido al polso destro ed ha sostenuto di essere stato appeso per le braccia e di aver ricevuto «il trattamento acqua e sale».
Il legale di Padula, l’avvocato Attillo Baccioli, del foro di Grosseto, ha eccepito la nullità delle ultime tre udienze del processo celebrate in assenza dell’imputato e dopo il suo arresto. Tutti gli altri legali si sono opposti, il Pm pure, e la corte – dopo mezz’ora di camera di consiglio – ha respinto l’eccezione di nullità passando, come si è detto, il verbale dell’udienza al rappresentante dell’accusa, per l’apertura di un’inchiesta da parte della procura. il presidente Santiapichi ha inoltre spiegato l’assenza dell’imputato la settimana scorsa, dichiarando che la DIGOS aveva comunicato di aver Identificato il brigatista per Alessandro Padula soltanto il 17 novembre (aveva in tasca documenti falsi). L’interessato ha smentito, accusando di «falso» la polizia, e anche su questo indagherà la procura.
Alle deposizioni dei due testimoni non erano presenti neppure gli imputati, che pure ne avrebbero avuto facoltà: nella tarda mattinata hanno abbandonato le gabbie in segno di protesta, dopo che era scoppiato In aula un nuovo «caso», legato al nome di Alessandro Padula, il brigatista accusato di otto omicidi arrestato dalla polizia nove giorni fa a Roma e comparso ieri per la prima volta al processo. Padula ha dichiarato di essere stato «torturato» dagli agenti della DIGOS ed ha inoltre accusato la polizia di avergli impedito di partecipare alle tre udienze della scorsa settimana (com’era suo diritto) attraverso un «falso». La corte ha passato la denuncia di Padula al pubblico ministero, affinché la procura romana possa vagliare le accuse alla DIGOS con una regolare inchiesta.
Il «caso Padula» non è stato aperto dall’interessato ma dal brigatista Prospero Gallinari, imputato di essere stato il boia di Aldo Moro. Appena la corte si é seduta, in apertura d’udienza. Gallinari si è fatto passare il microfono ed ha affermato che Padula é stato tenuto lontano dall’aula del processo per otto giorni ed è stato lasciato nelle mani dei «torturatori di Stato». Il portavoce dell’ala «militarista» delle Br è stato interrotto dal presidente Santiapichi, ma a questo punto ha incalzato lo stesso Padula, ribadendo le stesse accuse alla polizia e aggiungendo una sequela di slogan brigatisti. L’imputato ha mostrato al giornalisti un livido al polso destro ed ha sostenuto di essere stato appeso per le braccia e di aver ricevuto «il trattamento acqua e sale».
Il legale di Padula, l’avvocato Attillo Baccioli, del foro di Grosseto, ha eccepito la nullità delle ultime tre udienze del processo celebrate in assenza dell’imputato e dopo il suo arresto. Tutti gli altri legali si sono opposti, il Pm pure, e la corte – dopo mezz’ora di camera di consiglio – ha respinto l’eccezione di nullità passando, come si è detto, il verbale dell’udienza al rappresentante dell’accusa, per l’apertura di un’inchiesta da parte della procura. il presidente Santiapichi ha inoltre spiegato l’assenza dell’imputato la settimana scorsa, dichiarando che la DIGOS aveva comunicato di aver Identificato il brigatista per Alessandro Padula soltanto il 17 novembre (aveva in tasca documenti falsi). L’interessato ha smentito, accusando di «falso» la polizia, e anche su questo indagherà la procura.
http://insorgenze.wordpress.com/2012/01/17/novembre-1982-sandro-padula-viene-torturato-con-lo-stesso-modus-operandi-della-squadretta-diretta-da-de-tormentis/
De Tormentis e la Tortura (2)
Novembre 1982, Sandro Padula viene torturato con lo stesso modus operandi della squadretta diretta da “De Tormentis”
GENNAIO 17, 2012
tags: acqua e sale, Brigate rosse, Digos, Domenico Sica, Giuseppe Mattina,Nicola Ciocia, processo Moro, professor De Tormentis, Sandro Padula,Santiapichi
Sandro Padula viene arrestato il 14 novembre 1982 a Castel Madama, in provincia di Roma. L’appartamento che faceva da base-rifugio per alcuni militanti latitanti delle Brigate rosse – partito comunista combattente era stato individuato da alcuni giorni dalla Digos che vi aveva fatto irruzione arrestando i presenti. Alcuni dei quali, Romeo Gatti in particolare, furono sottoposti a tortura. La polizia si istalla nella base e attende l’arrivo di Padula che appena entrato viene bloccato e bendato in attesa dell’arrivo di «un gruppo di poliziotti particolari», così gli dicono gli uomini che l’hanno immobilizzato. La squadra speciale arriva e Padula è avvolto in un tappeto per essere trasportato via all’insaputa dei vicini che in questo modo non si accorgono dell’arresto. Caricato all’interno di un furgone civile da finti facchini viene condotto con gli occhi bendati in un luogo imprecisato, forse una caserma della zona. Lì inizia il “trattamento”: denudato viene legato per le braccia a delle corde appese ad una parete e sottoposto ad una infinità di colpi su tutto il corpo e sulla testa fino al punto da non sentire più nulla. «Ad un certo punto – racconta quelle poche volte che riesco a strappargli qualche ricordo dalla bocca – il dolore si anestetizza». I colpi distribuiti con i pugni o altri oggetti si alternano a bruciatore di sigarette nelle parti meno visibili ed a scariche elettriche. I seviziatori non hanno alcun ritegno. Il pestaggio condito dal solito florilegio di minacce non sortisce alcun effetto.
A quel punto gli aguzzini passano alla fase due: quella raccontata decine e decine di volte dagli altri torturati sottoposti all’acqua e sale, testimoniata da Salvatore Genova nelle interviste del 1997 a Matteo Indice e nel libro recente scritto da Nicola Rao, tutti materiali che potete trovare in questo blog. Torture ammesse dallo stesso “professor De Tormentis”, il grande maestro dell’acqua e sale, sempre in una intervista a Matteo Indice e nel libro di Rao.
Sandro viene disteso su un tavolo posto accanto ad un lavandino con una parte del corpo, dalla vita in sù, sospesa all’esterno. In bocca gli viene introdotto un tubo ma prima le labbra vengono cosparse di sale. Uno degli aguzzini gli tiene il naso chiuso. Sandro che non è un eroe e tantomeno un campione di apnea (non sa nemmeno nuotare) tuttavia resiste. «Conta che ti passa», gli aveva detto un compagno pochi mesi prima, Umberto Catabiani, membro dell’esecutivo dell’organizzazione ucciso il 24 maggio precedente dopo un lungo inseguimento, mentre ferito aveva guadato un fiume per tentare di fuggire all’arresto. L’acqua e sale nonostante la sua bestialità non sortisce risultati. Un medico, presente, monitorava il cuore. Alla fine i seviziatori di Stato desistono. Uno di loro dirà con disappunto: «Ma questo conta. Ci sta fregando. E’ esperto di apnea».
Arrivati a quel punto il problema era quello di rendere presentabile Padula, che imputato nel processo Moro in corso avrebbe dovuto comparire immediatamente in aula. Sandro viene “preso in cura” da uno strano personaggio che si qualifica come «massaggiatore di una squadra di calcio» che allevia gli ematomi e le contusioni di cui è pieno il suo corpo con massaggi a base di vegetallumina.
Per tre volte le udienze del processo vengono rinviate tra le proteste degli imputati che denunciano le torture in corso e ricordano al presidente di essere complice di quel che stava accadendo. In aperta violazione della legge Sandro Padula resta nelle mani della polizia anche durante l’interrogatorio realizzato qualche giorno prima del 19 novembre, quando Domenico Sica lo va ad ascoltare in questura. Arriverà in aula solo il 22 novembre. Le cronche deformate delle udienze, raccotate con grande disonestà carica di livore in particolare dall’Unità, le potete trovare qui sotto.
Sandro Padula è ancora in carcere, sottoposto a regime di semilibertà. Dal suo arresto e dalle torture sono passati 29 anni e due mesi. Per concedergli la liberazione condizionale il tribunale di sorveglianza pretende una richiesta di perdono: a chi? Ai suoi torturatori?
http://insorgenze.wordpress.com/2012/01/17/novembre-1982-sandro-padula-viene-torturato-con-lo-stesso-modus-operandi-della-squadretta-diretta-da-de-tormentis/
mercoledì 18 gennaio 2012
Quanto guadagna un parlamentare greco
Come annunciato, pubblico quanto guadagna un parlamentare greco, con le differenze rispetto al 2009, quando la crisi non aveva ancora colpito Atene.
Indennità parlamentare: 5617 euro nel 2009, ridotti a 4900 oggi.
Sovvenzioni per l'ufficio: 1400 euro nel 200', ridotti a 1000 oggi.
Gettone di presenza nelle commissioni: 290 euro, ridotti oggi a 150; ogni mese si registrano 4/5 presenze per deputato.
Sovvenzioni per gli spostamenti dei deputati fuori sede: 450-1000 euro, ridotti a 360-600
Sovvenzioni per il cellulare al mese; da 280 a 200 euro al mese
Telefono dell'ufficio: 7-8 linee al costo annuale di 10000 euro. Erano 13.500.
Biglietti gratuiti su tutti i mezzi di trasporto pubblico, compresi traghetti e treni.
14.000 euro per spedizioni postali all'anno. Erano 15.000 euro. Si tratta di spedizioni non obbligatorie. La sovvenzione è pagato ugualmente.
Stanza gratuita in un albergo cinque stelle o mille euro per affittare una casa per i fuori sede
Studio gratuito in Atene per i fuori sede
104 biglietti aerei gratuiti da Atene alla sede del collegio elettorale
3000 euro una tantum per comprare un computer
Leasing gratuito di un'auto per tutti i deputati; fino a 1400 cc per chi vive ad Atene, che salgono a 1800 per i fuori sede.
1 o 2 poliziotti e fino a 4 impiegati per lo studio, pagati extra dallo Stato.
Dopo quattro anni di seggio parlamentare si prende una pensioni pari a 4.500 euro.
Abbiamo la busta paga di un deputato (l'indennità). Risale al novembre 2011 ed è pari a 5.982 euro. Siamo in possesso anche del totale guadagnato nel 2010, che è pari a 72.242,41 euro lordi. Le sovvenzioni per lo studio e le altre indennità sono pari a 37.777,44 euro. Il totale è pari a 110.019,85 euro meno 17.159,83 euro che vengono dati per il partito e come contributi alla pensione per un totale di 92.860,02 euro. Di questa somma ne è tassata una parte minima: 66.493,04 euro sono esentasse. Della restante somma, si paga un totale di 3.693,49 euro.
Questo parlamentare viene della Grecia Centrale. Due volte a settimana siede in parlamento. Cinque volte si riunisce in Commissione (dove c'è il gettone di presenza). Le presenze sono aumentate con la crisi. Due volte al mese si reca nel suo collegio elettorale per una settimana circa.
Vive in una casa privata che non paga, ma riceve lo stesso 1000 euro per l'affitto. Ne deduciamo che non servono ricevute.
Indennità parlamentare: 5617 euro nel 2009, ridotti a 4900 oggi.
Sovvenzioni per l'ufficio: 1400 euro nel 200', ridotti a 1000 oggi.
Gettone di presenza nelle commissioni: 290 euro, ridotti oggi a 150; ogni mese si registrano 4/5 presenze per deputato.
Sovvenzioni per gli spostamenti dei deputati fuori sede: 450-1000 euro, ridotti a 360-600
Sovvenzioni per il cellulare al mese; da 280 a 200 euro al mese
Telefono dell'ufficio: 7-8 linee al costo annuale di 10000 euro. Erano 13.500.
Biglietti gratuiti su tutti i mezzi di trasporto pubblico, compresi traghetti e treni.
14.000 euro per spedizioni postali all'anno. Erano 15.000 euro. Si tratta di spedizioni non obbligatorie. La sovvenzione è pagato ugualmente.
Stanza gratuita in un albergo cinque stelle o mille euro per affittare una casa per i fuori sede
Studio gratuito in Atene per i fuori sede
104 biglietti aerei gratuiti da Atene alla sede del collegio elettorale
3000 euro una tantum per comprare un computer
Leasing gratuito di un'auto per tutti i deputati; fino a 1400 cc per chi vive ad Atene, che salgono a 1800 per i fuori sede.
1 o 2 poliziotti e fino a 4 impiegati per lo studio, pagati extra dallo Stato.
Dopo quattro anni di seggio parlamentare si prende una pensioni pari a 4.500 euro.
Abbiamo la busta paga di un deputato (l'indennità). Risale al novembre 2011 ed è pari a 5.982 euro. Siamo in possesso anche del totale guadagnato nel 2010, che è pari a 72.242,41 euro lordi. Le sovvenzioni per lo studio e le altre indennità sono pari a 37.777,44 euro. Il totale è pari a 110.019,85 euro meno 17.159,83 euro che vengono dati per il partito e come contributi alla pensione per un totale di 92.860,02 euro. Di questa somma ne è tassata una parte minima: 66.493,04 euro sono esentasse. Della restante somma, si paga un totale di 3.693,49 euro.
Questo parlamentare viene della Grecia Centrale. Due volte a settimana siede in parlamento. Cinque volte si riunisce in Commissione (dove c'è il gettone di presenza). Le presenze sono aumentate con la crisi. Due volte al mese si reca nel suo collegio elettorale per una settimana circa.
Vive in una casa privata che non paga, ma riceve lo stesso 1000 euro per l'affitto. Ne deduciamo che non servono ricevute.
martedì 17 gennaio 2012
lunedì 16 gennaio 2012
Le Fosse Ardeatine e la Guerra Fredda
Le tombe delle vittime dell'eccidio del 24 marzo 1944 nel sacrario delle Fosse Ardeatine, Roma. |
Un brillante ricercatore di Berlino, Felix Bohr, ha scoperto nell'Archivio del Ministero degli Esteri della capitale tedesca un carteggio tra diplomatici italiani e tedeschi dell'Ovest risalente al 1959. Ci si accorda affinché il caso "Fosse Ardeatine" venga chiuso per sempre, con la scusa che i responsabili non siano più in vita o reperibili. Nel 1962 giungerà l'archiviazione da parte del tribunale militare di Roma. Tra le motivazioni che portarono il governo italiano a giungere a questa decisione troviamo il timore, espresso chiaramente nei documenti, che se Roma avesse insistito per processare i tedeschi responsabili dell'eccidio, allora anche paesi che da tempo chiedevano l'estradizione di presunti criminali italiani, come la Jugoslavia, l'Eritrea, l'Albania e la Grecia, avrebbero potuto risollevare la questione.
Ebbene, tutto ciò è in aperta contraddizione con quanto affermato da alcuni storici secondo i quali gli italiani scamparono i processi per la Guerra Fredda e la divisione del mondo in due blocchi. Se fosse vero, perché nel 1959 il governo italiano aveva ancora timore che Atene sollevasse la questione? E ancora, se era stata la Guerra Fredda a decidere per tutti, in quale campo mettiamo Grecia, Albania e Jugoslavia o Eritrea? La tesi non regge e Felix Bohr, con la sua ricerca, lo conferma in modo chiaro e sostanziale. Altre furono le motivazioni, molto più complesse.
Sulle Fosse Ardeatine, ancora due cose. Proprio oggi in archivio ho trovato un documento inglese del 1944 dove sono riportati 149 eccidi perpetrati in Italia dai tedeschi. E' accompagnato da un Warning del generale Alexander, comandante in capo delle Forze Alleate in Italia, rivolto agli ufficiali e ai soldati tedeschi dove ripete che tutti quegli episodi sono considerati dalle Nazioni Unite "crimini di guerra".
Di questo Warning Marconista aveva scritto qualche anno fa sul "manifesto".
(Si veda il testo riportato dall'Anpi in http://www.anpipianoro.it/memoria-nazionale/il-riconoscimento-alleato-di-via-rasella.html)
Un'ultima cosa, che riguarda "l'armadio della vergogna", ritrovato dal procuratore militare Antonio Intelisano nel 1994 e rievocato nei pezzi usciti oggi a commento della scoperta di Bohr. Lo storico non deve attendere la magistratura per ricercare. Non ha bisogno di un avallo politico né di un avallo giudiziario. Non era difficile trovare notizie in archivio sugli eccidi tedeschi. Marconista, che non si occupa di questo, ne ha trovate casualmente a Mosca ed Atene. Bastava cercare, come dimostra Felix.
domenica 15 gennaio 2012
TITANIC di Francesco de Gregori
Pubblico il testo di Titanic e il video. Era il 1982.
La prima classe costa mille lire,
la seconda cento, la terza dolore e spavento.
E puzza di sudore dal boccaporto
e odore di mare morto.
Sior Capitano mi stia a sentire,
ho belle e pronte le mille lire,
in prima classe voglio viaggiare
su questo splendido mare.
Ci sta mia figlia che ha quindici anni ed a Parigi ha comprato un cappello,
se ci invitasse al suo tavolo a cena stasera come sarebbe bello.
E con l'orchestra che ci accompagna con questi nuovi ritmi americani,
saluteremo la Gran Bretagna col bicchiere tra le mani
e con il ghiaccio dentro al bicchiere faremo un brindisi tintinnante
a questo viaggio davvero mondiale, a questa luna gigante.
Ma chi l'ha detto che in terza classe,
che in terza classe si viaggia male,
questa cuccetta sembra un letto a due piazze,
ci si sta meglio che in ospedale.
A noi cafoni ci hanno sempre chiamato
ma qui ci trattano da signori,
che quando piove si può star dentro
ma col bel tempo veniamo fuori.
Su questo mare nero come il petrolio ad ammirare questa luna metallo
e quando suonano le sirene ci sembra quasi che canti il gallo.
Ci sembra quasi che il ghiaccio che abbiamo nel cuore piano piano
si vada a squagliare in mezzo al fumo di questo vapore di questa vacanza in alto mare.
E gira gira gira gira l'elica e gira gira che piove e nevica,
per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America.
E il marconista sulla sua torre,
le lunghe dita celesti nell'aria,
riceveva messaggi d'auguri
per questa crociera straordinaria.
E trasmetteva saluti e speranze
in quasi tutte le lingue del mondo,
comunicava tra Vienna e Chicago
in poco meno di un secondo.
E la ragazza di prima classe, innamorata del proprio cappello,
quando la sera lo vide ballare lo trovò subito molto bello.
Forse per via di quegli occhi di ghiaccio così difficili da evitare,
pensò "Magari con un pò di coraggio, prima dell'arrivo mi farò baciare".
E com'è bella la vita stasera, tra l'amore che tira e un padre che predica,
per noi ragazze di terza classe che per non sposarci si va in America,
per noi ragazze di terza classe che per non sposarci si va in America.
La prima classe costa mille lire,
la seconda cento, la terza dolore e spavento.
E puzza di sudore dal boccaporto
e odore di mare morto.
Sior Capitano mi stia a sentire,
ho belle e pronte le mille lire,
in prima classe voglio viaggiare
su questo splendido mare.
Ci sta mia figlia che ha quindici anni ed a Parigi ha comprato un cappello,
se ci invitasse al suo tavolo a cena stasera come sarebbe bello.
E con l'orchestra che ci accompagna con questi nuovi ritmi americani,
saluteremo la Gran Bretagna col bicchiere tra le mani
e con il ghiaccio dentro al bicchiere faremo un brindisi tintinnante
a questo viaggio davvero mondiale, a questa luna gigante.
Ma chi l'ha detto che in terza classe,
che in terza classe si viaggia male,
questa cuccetta sembra un letto a due piazze,
ci si sta meglio che in ospedale.
A noi cafoni ci hanno sempre chiamato
ma qui ci trattano da signori,
che quando piove si può star dentro
ma col bel tempo veniamo fuori.
Su questo mare nero come il petrolio ad ammirare questa luna metallo
e quando suonano le sirene ci sembra quasi che canti il gallo.
Ci sembra quasi che il ghiaccio che abbiamo nel cuore piano piano
si vada a squagliare in mezzo al fumo di questo vapore di questa vacanza in alto mare.
E gira gira gira gira l'elica e gira gira che piove e nevica,
per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America.
E il marconista sulla sua torre,
le lunghe dita celesti nell'aria,
riceveva messaggi d'auguri
per questa crociera straordinaria.
E trasmetteva saluti e speranze
in quasi tutte le lingue del mondo,
comunicava tra Vienna e Chicago
in poco meno di un secondo.
E la ragazza di prima classe, innamorata del proprio cappello,
quando la sera lo vide ballare lo trovò subito molto bello.
Forse per via di quegli occhi di ghiaccio così difficili da evitare,
pensò "Magari con un pò di coraggio, prima dell'arrivo mi farò baciare".
E com'è bella la vita stasera, tra l'amore che tira e un padre che predica,
per noi ragazze di terza classe che per non sposarci si va in America,
per noi ragazze di terza classe che per non sposarci si va in America.
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