Il 4 maggio è stato programmato, sebbene ancora in modo ufficioso, l’inizio della Fase 2, che significa apertura del sistema produttivo e progressivo allentamento delle misure sociali di lockdown. La situazione da cui si parte non sarà di piena sicurezza. Bene che va, avremo ancora più di mille persone in terapia intensiva, decine di migliaia di persone malate in evoluzione e almeno 250 decessi al giorno. Il virus, scappatoci di mano a febbraio, non è stato ancora ripreso. In effetti le premesse per riaprire non ci sono, se non in alcune, poche regioni, come Umbria, Basilicata, Molise e forse Calabria, dove l’epidemia o non c’è stata o è sotto controllo. Il governo per garantire la sicurezza sta decidendo se rendere o meno obbligatoria l’installazione della App “Immuni” con la quale tracciare i contatti dei cittadini ed essere in grado di avvertire i soggetti in caso di positività di uno dei contatti nei tre giorni precedenti. L’App si affiancherebbe alle misure di distanziamento sociale, al contingentamento delle presenze nei trasporti e dentro i negozi e al rispetto delle norme di sicurezza anti Covid-19 nei luoghi di lavoro, oltre al mantenimento dello smartworking dove possibile.
Non sembra che, messa così, il governo stia per garantire sicurezza. Con una epidemia ancora in corso nelle regioni più industrializzate, la certezza di perdere nuovamente il controllo del virus è più che concreta. Secondo modelli matematici che fino ad oggi hanno avuto margini di errore minimi, come quello messo a punto da alcuni ricercatori e consultabile al sito https://www.predictcovid19.com, se si allentassero le misure di lockdown da maggio a luglio in Italia si avrebbero 20.000 decessi in più rispetto al mantenere. Ieri il “Corriere della sera”, nel dare notizia di questo studio equivocava completamente le argomentazioni degli studiosi, affermando che «sarebbero solo i primi 17 giorni successivi all’applicazione delle misure di contenimento a determinare l’entità della diffusione del contagio nella pandemia di Covid-19, che sembrerebbe dipendere dunque esclusivamente dai focolai divampati per caso nei primi giorni (come quello successo all’ospedale di Codogno o la partita Atalanta–Valencia) e non dalle differenze nel rigore del lockdown. Di conseguenza, qualsiasi misura restrittiva applicata dopo i primi 17 giorni (come la chiusura delle industrie o i divieti alla libertà di movimento dei cittadini) inciderebbe poco o nulla sull’andamento dei contagi e sul numero finale delle vittime». Niente di più sbagliato; lo studio afferma che i suoi modelli matematici si basano sulle progressioni numeriche dei primi 17 giorni dopo il lockdown, ma insiste sulla grande differenza che comporterebbe una apertura prima del tempo, dati quei numeri. Delle stesse ore è un articolo uscito sul “Sole24ore” a firma di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi intitolato “L’economia ferma e il dubbio sui decessi in Italia”. Il pezzo, dal quale la redazione del Sole ha preso le distanze con un comunicato sindacale, raddoppia le previsioni del calo di PIL rispetto a quelle dell’FMI, parlando del 20%, afferma che in Italia si sia avuta una chiusura del tipo di Wuhan, mentre è vero che il 52% delle aziende ha proseguito a funzionare, e sostiene che secondo l’Istat in Italia i decessi siano diminuiti rispetto agli anni precedenti. Non voglio neanche entrare nella polemica su questi ultimi dati, limitandomi a ricordare i conteggi svolti nelle anagrafi della provincia di Bergamo che hanno evidenziato un aumento di decessi rispetto al passato superiori al 100%.
A questo punto appare necessario ricordare che l’Italia ha fino ad ora registrato 23660 decessi per Covid-19 in meno di due mesi e che assieme a Stati Uniti, Gran Bretagna, Spagna, Francia, Turchia, Iran, Russia e Belgio al momento non controlla l’epidemia. Per ripartire, dunque, servirebbe controllarla o, quantomeno, la certezza di una convivenza il più possibile sicura con il virus. A parte il distanziamento sociale, il divieto di assembramento e riunione e il contingentamento degli ingressi nei negozi e nei mezzi pubblici, come detto all’inizio è stata adottata una App, Immuni, che si sta pensando di rendere obbligatoria. L’App registrerebbe i dati in modo anonimo, ma la sua obbligatorietà avrebbe ripercussioni importantissime sulla libertà personale. Un cittadino che volesse prendere un mezzo pubblico, infatti, oltre a vedersi controllata la temperatura corporea, dovrebbe poter mostrare il contenuto del proprio telefono agli addetti ai controlli, o a un poliziotto in strada mentre cammina. Si protrarrebbe, in altre parole, lo stato di limitazione della libertà personale che già dura da più di un mese per il lockdown. Ma con il lockdown tutti abbiamo rinunciato a parte della nostra libertà al fine di salvare vite umane, alleggerire la pressione sul sistema sanitario e non ammalarci. Limitazione in cambio di sicurezza. Nel caso della App, invece, non solo aumenteremo in modo esponenziale i decessi, non solo rischiamo di farci nuovamente sfuggire di mano il virus proprio ora che stiamo per riprenderlo, ma non riceviamo in cambio alcuna sicurezza. Nessuno, infatti, mi garantirebbe di non incontrare il virus in un vagone di un treno; l’unica cosa è che se qualcuno si ammalasse tra i passeggeri nei tre giorni successivi, sarei avvisato. A quel punto, poi, che succederebbe? Qualcuno potrebbe violare il mio domicilio e costringermi a seguirlo in quarantena? Garantire circa 20.000 decessi e allargare ancora di più la rinuncia alla propria libertà personale perché riprenda la produzione, non mi sembra una grande idea. Non vorrei sentirmi complice di una strage in nome del capitale e preferirei, allora, continuare a sacrificarmi per salvare altre vite e portare a zero i contagi, cosa che avverrebbe, se mantenessimo il lockdown, solo alla fine di giugno anche in Lombardia e nelle Marche. Il 19 aprile il nuovo presidente di Confindustria, Bonomi, ha dichiarato che “il lavoro è salute”; in questa fase così drammatica risuona sinistro e ricorda altri slogan, mentre il governo ci offre una App che non salva, mettendo tutti nuovamente in pericolo.
Non sembra che, messa così, il governo stia per garantire sicurezza. Con una epidemia ancora in corso nelle regioni più industrializzate, la certezza di perdere nuovamente il controllo del virus è più che concreta. Secondo modelli matematici che fino ad oggi hanno avuto margini di errore minimi, come quello messo a punto da alcuni ricercatori e consultabile al sito https://www.predictcovid19.com, se si allentassero le misure di lockdown da maggio a luglio in Italia si avrebbero 20.000 decessi in più rispetto al mantenere. Ieri il “Corriere della sera”, nel dare notizia di questo studio equivocava completamente le argomentazioni degli studiosi, affermando che «sarebbero solo i primi 17 giorni successivi all’applicazione delle misure di contenimento a determinare l’entità della diffusione del contagio nella pandemia di Covid-19, che sembrerebbe dipendere dunque esclusivamente dai focolai divampati per caso nei primi giorni (come quello successo all’ospedale di Codogno o la partita Atalanta–Valencia) e non dalle differenze nel rigore del lockdown. Di conseguenza, qualsiasi misura restrittiva applicata dopo i primi 17 giorni (come la chiusura delle industrie o i divieti alla libertà di movimento dei cittadini) inciderebbe poco o nulla sull’andamento dei contagi e sul numero finale delle vittime». Niente di più sbagliato; lo studio afferma che i suoi modelli matematici si basano sulle progressioni numeriche dei primi 17 giorni dopo il lockdown, ma insiste sulla grande differenza che comporterebbe una apertura prima del tempo, dati quei numeri. Delle stesse ore è un articolo uscito sul “Sole24ore” a firma di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi intitolato “L’economia ferma e il dubbio sui decessi in Italia”. Il pezzo, dal quale la redazione del Sole ha preso le distanze con un comunicato sindacale, raddoppia le previsioni del calo di PIL rispetto a quelle dell’FMI, parlando del 20%, afferma che in Italia si sia avuta una chiusura del tipo di Wuhan, mentre è vero che il 52% delle aziende ha proseguito a funzionare, e sostiene che secondo l’Istat in Italia i decessi siano diminuiti rispetto agli anni precedenti. Non voglio neanche entrare nella polemica su questi ultimi dati, limitandomi a ricordare i conteggi svolti nelle anagrafi della provincia di Bergamo che hanno evidenziato un aumento di decessi rispetto al passato superiori al 100%.
A questo punto appare necessario ricordare che l’Italia ha fino ad ora registrato 23660 decessi per Covid-19 in meno di due mesi e che assieme a Stati Uniti, Gran Bretagna, Spagna, Francia, Turchia, Iran, Russia e Belgio al momento non controlla l’epidemia. Per ripartire, dunque, servirebbe controllarla o, quantomeno, la certezza di una convivenza il più possibile sicura con il virus. A parte il distanziamento sociale, il divieto di assembramento e riunione e il contingentamento degli ingressi nei negozi e nei mezzi pubblici, come detto all’inizio è stata adottata una App, Immuni, che si sta pensando di rendere obbligatoria. L’App registrerebbe i dati in modo anonimo, ma la sua obbligatorietà avrebbe ripercussioni importantissime sulla libertà personale. Un cittadino che volesse prendere un mezzo pubblico, infatti, oltre a vedersi controllata la temperatura corporea, dovrebbe poter mostrare il contenuto del proprio telefono agli addetti ai controlli, o a un poliziotto in strada mentre cammina. Si protrarrebbe, in altre parole, lo stato di limitazione della libertà personale che già dura da più di un mese per il lockdown. Ma con il lockdown tutti abbiamo rinunciato a parte della nostra libertà al fine di salvare vite umane, alleggerire la pressione sul sistema sanitario e non ammalarci. Limitazione in cambio di sicurezza. Nel caso della App, invece, non solo aumenteremo in modo esponenziale i decessi, non solo rischiamo di farci nuovamente sfuggire di mano il virus proprio ora che stiamo per riprenderlo, ma non riceviamo in cambio alcuna sicurezza. Nessuno, infatti, mi garantirebbe di non incontrare il virus in un vagone di un treno; l’unica cosa è che se qualcuno si ammalasse tra i passeggeri nei tre giorni successivi, sarei avvisato. A quel punto, poi, che succederebbe? Qualcuno potrebbe violare il mio domicilio e costringermi a seguirlo in quarantena? Garantire circa 20.000 decessi e allargare ancora di più la rinuncia alla propria libertà personale perché riprenda la produzione, non mi sembra una grande idea. Non vorrei sentirmi complice di una strage in nome del capitale e preferirei, allora, continuare a sacrificarmi per salvare altre vite e portare a zero i contagi, cosa che avverrebbe, se mantenessimo il lockdown, solo alla fine di giugno anche in Lombardia e nelle Marche. Il 19 aprile il nuovo presidente di Confindustria, Bonomi, ha dichiarato che “il lavoro è salute”; in questa fase così drammatica risuona sinistro e ricorda altri slogan, mentre il governo ci offre una App che non salva, mettendo tutti nuovamente in pericolo.