Il mio amico Adam Michnik ha intervistato Giorgio Napolitano, in visita in Polonia. Adam ha fatto il suo lavoro, ponendo domande, brevi e di sostanza (e non come in Italia, dove la domanda è di solito un intervento a un convegno). Napolitano, come leggerete, si è "stancato", perché si è parlato del passato e non dell'attualità (!) E ne ha dette di ogni, sul suo passato da comunista, su Berlinguer, sull'invasione della Cecoslovacchia e la rivoluzione ungherese, sulle Br e sul berlusconismo. Bravo Adam.
Adam Michnik durante una conferenza a San Pietroburgo nell'aprile 2012 |
Signor Presidente, fra alcuni giorni Lei verrà in Polonia.
Che idea se ne è fatto? E gli Italiani che idea ne hanno?
"Nel nostro paese è sempre vivo il sentimento della
tradizionale amicizia che ci lega ai polacchi. L'anno scorso si è celebrato il
150° anniversario dell'Unità d'Italia. Abbiamo cercato di ricostruire e
trasmettere il senso di quello che fu per l'Europa di quel tempo l'unificazione
nazionale dell'Italia rispetto al movimento per l'indipendenza nazionale in
altri paesi, e tra questi la Polonia. Ho visitato Bergamo, la città natale di
Francesco Nullo - un esempio eccezionale di combattente per la
libertà sia in Italia che in Polonia. Oggi la Polonia è considerata da noi un
paese amico di vecchia data e un partner importante per l'Europa, un anello di
congiunzione fra il nucleo storico dell'Europa Occidentale e quei paesi che,
dopo il 1989, sono entrati a farne parte. Forse nessuno meglio di Bronislaw
Geremek ha espresso una visione dell'Europa che ha nella sua diversità una
grande ricchezza e un patrimonio per il futuro. A parte i tre grandi Stati
fondatori della Comunità Europea - la Francia, la Germania e l'Italia
- e oltre il quarto grande paese, la Gran Bretagna poi entrata a farne
parte, oggi la Spagna da un lato e la Polonia dall'altro sono diventati e
possono diventare ancora, più di altri, protagonisti fondamentali nell'Unione
Europea.
Ci siamo conosciuti 35 anni fa. Sono venuto a trovarLa a Roma
quando ero, all'epoca, ufficiosamente ambasciatore del Comitato di Difesa degli
Operai in Occidente.
"Me ne ricordo perfettamente".
Ho pensato allora che Lei aveva iniziato da comunista ad
opporsi al fascismo. Poi si è fatto strada: è stato eletto presidente
dell'Italia democratica. Che cosa pensa quando ripercorre tale periodo?
"Il sentiero della mia vita è un processo passato
attraverso prove ed errori. Sono partito dagli ideali che in gioventù ho
sposato - più che per scelta ideologica - per impulso
morale e sensibilità sociale, guardando alla realtà del mio paese. Nell'arco
dei decenni, ho cercato di andare al di là degli schemi entro i quali
all'inizio era rimasta chiusa la mia formazione. Ho attraversato delle
revisioni profonde, molto meditate e intensamente vissute. Ho riassunto questo
mio percorso nel titolo della mia autobiografia Dal Partito Comunista
Italiano al socialismo europeo. Le ultime parole del mio libro (uscito nel
2005), nelle quali ancora mi riconosco, sono state che per l'età che avevo ero
destinato 'alla testimonianza e alla riflessione'. Non immaginavo che poco dopo
sarei stato richiamato in servizio! Finivo dicendo "è il tempo del ricordo
affettuoso dei tanti con i quali ho combattuto buone battaglie e sostenuto
cause sbagliate, e cercato via via di correggere errori, di esplorare strade
nuove".
Adam e Andrej a San Pietroburgo, durante un banchetto al Memorial |
Capisco che, parlando di errori, Lei intende il periodo
staliniano?
"Intendo il periodo in cui ero membro attivo di un Partito
Comunista che non era un partito stalinista come molti altri in quanto aveva
una fondamentale matrice antifascista e democratica e comprendeva forti
componenti liberali, ma era pur sempre nato nel solco dell'Internazionale
Comunista, e quindi portava nel suo Dna il mito dell'Unione Sovietica e il
legame col movimento comunista mondiale. Questi elementi originari, a un
dato momento, sono diventati una prigione dalla quale il Pci doveva
liberarsi".
Ho avuto sempre la sensazione che il Partito Comunista
Italiano fosse diverso dagli altri. Ho seguito le pubblicazioni dei comunisti
italiani. Vorrei chiederLe di alcuni personaggi. Parliamo prima di Antonio
Gramsci.
"Gramsci, gravemente malato, era stato trasferito dal
carcere in una clinica dove morì nel 1937. Per un giovane come me, nato nel
1925 nell'Italia fascista, il suo nome era totalmente sconosciuto. Per tutti
coloro che in Italia si occupavano di politica, e anche per il mondo della
cultura, Gramsci, a partire dal 1946-47, rappresentò una grande scoperta. Prima
furono pubblicate le sue Lettere dal Carcere e poi tutte le sue
note ne I quaderni, che lo hanno rivelato come uno dei più forti e originali
pensatori del XX secolo, lontano dal dogmatismo, e molto attento ad ogni
aspetto della storia d'Italia e della storia internazionale".
E Palmiro Togliatti?
"Compagno di studi all'università di Torino di Antonio
Gramsci, fu con lui tra i fondatori del Partito Comunista Italiano. Con
l'avvento del fascismo visse fuori d'Italia - in Francia, e
soprattutto nell'Urss. Fu un campione di 'Realpolitik'. Costruì un partito di
notevole rilievo e conservò la sua autonomia nel mondo comunista, però non
ruppe mai il legame con l'Urss. All'avvento di Kruscev, e rispetto alla famosa
pubblicazione del suo rapporto segreto, Togliatti mostrò sconcerto e anche
diffidenza verso il nuovo leader sovietico. Tuttavia egli fu spinto da alcuni
dirigenti del partito - faccio due nomi, Giancarlo Pajetta e
Giorgio Amendola, non ancora cinquantenni, che erano considerati 'giovani
promesse' del partito - ad abbracciare la linea della
destalinizzazione".
Vorrei chiederLe dell'anno 1956. Da un lato apparivano
sentimenti antistaliniani nel partito, dall'altro si verificava l'appoggio
all'intervento sovietico a Budapest.
"Innanzitutto fu una tragedia, anche per il Pci, un errore
grave e clamoroso del gruppo dirigente, a partire da Togliatti. Poi, anche
prima che si ammettesse l'errore, si comprese la lezione: per cui, quando nel
1968 (Togliatti era già deceduto da 4 anni) ebbe luogo l'intervento armato
dell'Urss e degli altri paesi del blocco sovietico in Cecoslovacchia, il Pci
ufficialmente si schierò contro quell'intervento".
Nel 1968 ero in prigione, dove l'unica fonte di informazione
era il giornale ufficiale del Partito Trybuna Ludu. Quando lessi
che tale intervento era stato appoggiato dal Partito Comunista del Lussemburgo,
mi resi conto subito che il Pci si era opposto.
"Altrimenti un comunicato di appoggio del Pci sarebbe
certamente apparso sul giornale".
Naturalmente, in prima pagina, e loro si vantarono del
Lussemburgo. Ancora un nominativo: Ignazio Silone.
"Silone ci riporta al periodo oscuro del fascismo. Ignazio
Silone era un comunista, che lasciò il partito e diventò fondamentalmente un
socialdemocratico. Dopo l'apertura degli archivi fascisti, apparvero documenti
che lo indicavano come un collaboratore della polizia fascista. Una sentenza
definitiva sul piano storico non è stata possibile".
Quali erano, nel periodo dell'eurocomunismo, dalla metà degli
anni settanta, i rapporti fra la direzione del Pci e i dirigenti sovietici?
Come reagì il partito al rifiuto del modello sovietico da parte di alcuni
partiti comunisti?
"In quel periodo iniziarono forti tensioni. C'era una
grande preoccupazione tra i dirigenti sovietici che, se non accusarono il Pci
di tradimento, poco ci mancò. In quel periodo venne pubblicata in Italia la
storia dell'Unione Sovietica di Giuseppe Boffa, uno storico comunista italiano.
Nell'Urss venne tradotta solo per i membri del comitato centrale, perché si
pensava che solo le persone "vaccinate" potessero leggerla (fu poi
Gorbacev che la fece pubblicare normalmente). La direzione del Pcus elaborò un
documento nel quale alcuni dirigenti del partito italiano furono accusati,
insieme a Boffa, di antisovietismo. Tra quei nomi c'era anche il mio. Per
fortuna vivevo in Italia".
Ha mai parlato con Breznev?
"Mai".
Con chi della direzione sovietica ha parlato?
"Con Michail Suslov, il grande ideologo. Indubbiamente era
un uomo molto intelligente, ma schematico e duro. Non si spostava minimamente
dalle sue posizioni. Ho incontrato anche Boris Ponomariov, personaggio meno
importante, che nel Pcus si occupava dei rapporti con gli altri partiti
comunisti. Se Suslov era considerato l'ideologo, Ponomariov ne era il fedele
esecutore. Naturalmente ho avuto a che fare, anche in seguito, con personaggi
interessanti dal punto di vista intellettuale".
Con Gorbacev?
"Gorbacev venne in Italia ai tempi di Breznev, ma allora
non mi incontrai con lui. Ritornò anche nel 1984 per il funerale di Enrico
Berlinguer, quando ancora non era segretario generale del Pcus. In seguito, lo
incontrai parecchie volte in Italia: in una di quelle occasioni,
sottolineò che era stato molto influenzato dall'eurocomunismo del Pci. Quando,
nel 1987, andai a Mosca accompagnando il segretario generale del Pci di allora,
Alessandro Natta, successore di Berlinguer, parlammo con Gorbacev per sei ore.
Egli ci espose il suo progetto e disse che era convinto che nell'Urss si
dovesse creare uno Stato di diritto. Lo interruppi e gli chiesi se la
traduttrice avesse capito bene le sue parole - ed egli le confermò.
Probabilmente non si rese conto dei cambiamenti radicali che avrebbe implicato
la creazione di uno Stato di diritto nel suo paese".
Che tipo di uomo era Berlinguer?
"Di carattere era molto discreto, riservato e severo,
tratti comuni e tipici del temperamento sardo. Era una persona molto seria che
faceva politica in maniera molto rigorosa. Era arrivato fin sull'orlo della
rottura con il Pcus, ma lì si fermò. Penso che temesse che il Pci, un grande
partito di massa e popolare, se avesse in qualche modo rinnegato la propria
origine, si sarebbe diviso e disgregato. A mio avviso, il grande equivoco fu
quello del carattere rivoluzionario del partito. Secondo questa visione mitica,
il partito non poteva rinunciare all'idea di un'altra società, di un altro
sistema. Berlinguer, che pure era profondamente legato a tutte le conquiste
democratiche e che dimostrò di difenderle tenacemente quando esse, in Italia,
erano in pericolo, riteneva che il Pci dovesse essere portatore di una idea (o
di una utopia) di un diverso sistema economico e sociale, di un socialismo
radicalmente alternativo al capitalismo".
Quando si è consolidata la convinzione che il modello
sovietico era semplicemente una dittatura?
"Berlinguer ne appariva consapevole già negli anni '70. Ma
questa convinzione coesisteva in qualche modo con la fiducia nell'utopia di cui
ho detto, e in palese contrasto con essa. Berlinguer manifestò un grandissimo
coraggio, quando nel 1977 andò al congresso del Pcus a Mosca per dire (è una
sua frase famosa) che 'la democrazia è un valore universale'. L'affermazione fu
un colpo fortissimo all'edificio ideologico, propagandistico, creato intorno
all'Urss. Ma Berlinguer esitò a trarne tutte le conseguenze".
E Lei, quando ha pensato che il modello sovietico non era
quello che ci voleva?
"A partire da Dubcek: la Primavera di Praga fu per me
assolutamente rivelatrice".
Come sono state, nella politica italiana, le relazioni tra il
mondo cattolico e quello laico.
"Hanno assunto una nuova prospettiva ai tempi della lotta
contro il fascismo. Esisteva allora nel cattolicesimo una importante corrente
antifascista, con personaggi come Alcide de Gasperi che ancora prima della
Grande Guerra ('14-'18) si era affermato come deputato nel Parlamento di
Vienna, dove rappresentava gli interessi della popolazione italiana del
Trentino. Ai tempi del fascismo fu completamente emarginato e riparò in
Vaticano. Vi fu poi un secondo momento di avvicinamento tra democratici
cattolici e laici, con la generazione successiva, più giovane, di cattolici
avvicinatisi alla politica democratica nell'Assemblea Costituente del
1946, partecipando ai lavori sulla legge fondamentale. La nostra
Costituzione è stata scritta da molte mani, e un ruolo importante vi hanno
svolto menti e mani cattoliche, come Amintore Fanfani e, meno noto ma molto
importante, Giuseppe Dossetti, più di sinistra".
Una formula a suo tempo popolare, anche in Polonia, era stata
il "compromesso storico" (nel testo polacco il termine viene usato in
italiano e in polacco). In che cosa consisteva - fu un'idea del partito
comunista con la democrazia cristiana?
"Se dovessi definirlo in termini europei, lo chiamerei
semplicemente un progetto di grande coalizione. Ma nel concetto di 'compromesso
storico' c'erano molte sovrastrutture ideologiche. E il Partito Comunista
Italiano, e soprattutto Berlinguer, per giustificare la prospettiva di alleanza
politica e di governo con i democristiani, elaborarono una idea di possibile
confluenza tra i valori cattolici e i principi socialisti. A mio avviso, questa
visione ideologica rappresentò un elemento di debolezza. Infatti, quando dal
1976 al gennaio 1979 i comunisti e i democristiani collaborarono in Parlamento,
da parte della Democrazia Cristiana la giustificazione di tale stato delle cose
fu puramente politica. Ricordo che nel 1976 il Pci ottenne un ottimo risultato
elettorale, il 34% ; i democristiani invece persero un po' di terreno prendendo
il 38%. Aldo Moro, leader della Democrazia Cristiana, affermò : "Ci sono
due vincitori" e lavorò perché raggiungessero un accordo. I leader del
partito comunista dal canto loro sostennero che bisognava trovare una intesa
per vincere il terrorismo interno e l'inflazione galoppante che minacciavano il
Paese. In effetti, da ambedue le parti le motivazioni furono politiche, così
come furono politici i motivi di chiusura di questa fase della vita politica e
di rottura di quell'accordo ; e risultò artificiosa l'impalcatura ideologica
del 'compromesso storico'. Per il Pci divenne insostenibile l'appoggio al
governo (interamente democristiano) restandone fuori, anche se con possibilità
di influire sulle sue decisioni. Questa era una posizione molto scomoda, 'in
mezzo al guado' come allora si diceva. E d'altra parte la Democrazia Cristiana
non arrivava ad accettare la partecipazione del PCI al governo".
Quello fu in Italia tempo di assassinii politici, di
attentati - gli anni di piombo (termine usato in italiano e in
polacco). Da dove derivava questo piombo?
"Ogni anno si svolge in Italia una giornata di
commemorazione delle vittime del terrorismo, sulla base di una legge adottata
dal Parlamento, e ho voluto sempre celebrarla in Quirinale. Negli anni di
piombo confluirono due componenti molto diverse. Da un lato gruppi di estrema
destra, neofascista, con appoggi nell'apparato dello Stato, diventati attivi
dopo il 1968, dopo la grande ondata dei movimenti sindacali che avevano
ottenuto rilevanti conquiste sociali, e nello stesso tempo, di fronte al
pericolo che il Pci diventasse sempre più forte e giungesse al governo. Con
la cosiddetta "strategia della tensione", queste forze eversive
compirono terribili attentati per destabilizzare il Paese, bloccare i
sindacati e il partito comunista. Per anni si protrassero indagini e processi
il cui obbiettivo era scoprire e punire i colpevoli, ma spesso senza risultati
concreti (condanna dei responsabili). Però è risultato chiaro -
dagli stessi processi - che erano i gruppi neofascisti, che
godevano di sostegno nei servizi segreti e nell'apparato dello Stato, gli
attori di quella strategia eversiva. La seconda componente fu l'estremismo di
sinistra".
Le Brigate Rosse?
"Ancor prima delle Br, hanno operato gruppi politici come
Potere Operaio, che respingevano ogni compromesso, e giudicavano che nessuna
conquista operaia fosse soddisfacente. Finirono per porsi obbiettivi di
violenza rivoluzionaria. Ad un certo momento i gruppi neofascisti erano stati
bloccati e non poterono più esercitare la pressione di cui ho parlato (anche se
nel 1980 ci fu l'attacco terroristico di Bologna, di matrice ancora
neofascista). Divennero molto più pericolose, durante tutti gli anni '70,
le formazioni terroristiche dell'estrema sinistra, e tra queste crebbero
grandemente le Brigate Rosse".
Rossana Rossanda, giornalista, già una delle leader del Pci,
ha scritto: "Quando leggo le dichiarazioni delle Brigate Rosse è come se
leggessi i miei appunti del diario da ragazzina".
"E' una intellettuale di tutto rispetto, ma da 30 anni non
siamo d'accordo su nulla".
Ma le dichiarazioni delle Brigate Rosse non erano per caso
una caricatura delle dichiarazioni comuniste dei primi anni '50?
"Erano molto più rozze. Comunque, una caricatura
sanguinosa".
Sono d'accordo. E il suo percorso?
"Sono stato uomo di partito impegnato in politica attiva.
Ma allo stesso tempo per 38 anni sono stato impegnato nelle istituzioni, come
deputato italiano e successivamente, soprattutto dal 1999 al 2004, membro del
Parlamento Europeo. Divenni via via sempre di più un uomo delle istituzioni. Ho
svolto diverse funzioni nel Parlamento italiano, e anche un ruolo nelle
relazioni internazionali (sono stato per dieci anni nell'Assemblea parlamentare
della Nato). Nel 1992 sono stato eletto Presidente della Camera dei Deputati.
Poi nel Parlamento Europeo sono stato Presidente della Commissione Affari
Costituzionali. Da questo percorso di uomo delle istituzioni è poi scaturita la
mia elezione a Presidente della Repubblica. E l'esperienza da me maturata in
Parlamento mi ha preparato a poter svolgere la mia funzione attuale, come
faccio ormai da sei anni, in quanto garante di imparzialità e promotore dei
principi e dei valori della Costituzione".
In tutti i Paesi europei abbiamo a che fare con la
corruzione. E' un elemento ineliminabile dall'ordine democratico, dall'economia
di mercato? Come cavarsela?
"Nessuno di noi pensa alla vita pubblica come a un idillio.
Alcuni rischi, alcune sorgenti di corruzione non sono eliminabili. Ma
certamente possono esserne seriamente limitate le dimensioni e l'ampiezza,
rafforzando i controlli e le sanzioni. Tuttavia, una questione io sento molto
in Italia: la corruzione si estende anche perché l'attuale modo di fare
politica ha perso la forza degli ideali, i principi morali e la dimensione
culturale".
Ma ciò non riguarda solo l'Italia.
"Sì, la politica oggi è in affanno in tutta Europa. In
Italia constato un particolare impoverimento culturale e morale della politica.
Vi sono naturalmente molte differenze, non tutti i partiti sono da mettere
sullo stesso piano, ma l'atmosfera generale è che la politica è diventata
troppo contesa per il potere, disbrigo di affari correnti, personalismi, e
questo è un clima nel quale può prosperare la corruzione".
La classica divisione tra destra e sinistra è ancora viva
oggi? O forse è più importante la divisione tra una società aperta e quella
chiusa?
"Bisogna ripensare le vecchie categorie. Vediamo l'Austria
o l'Olanda, dove i partiti della sinistra, della destra e del centrodestra
prendevano complessivamente il 70% dei voti, mentre oggi raccolgono si e no il
50%. Avvengono notevoli cambiamenti in paesi fino ad ora stabili, come la
Germania, dove adesso vi sono cinque partiti e si è aggiunto perfino un Partito
dei Pirati. Sono fenomeni di rottura dei vecchi equilibri. E poi c'è il
preoccupante fenomeno di partiti populisti come il Partito dei Veri Finlandesi.
C'è da ripensare molto della esperienza dello scorso secolo".
Quale sarà il futuro dell'Unione Europea?
"Non c'è alternativa all'unità. Mi è rimasta in mente
l'opinione espressa un mese fa da Angela Merkel durante l'incontro con il
nostro premier Mario Monti e con me: dobbiamo capire che gli europei
costituiscono appena il 7% della popolazione mondiale; o riusciamo ad operare
uniti o diventiamo irrilevanti. E' molto importante che l'abbia detto la leader
della Germania, paese in cui potrebbe facilmente trovare terreno l'illusione
dell'autosufficienza. Invece nemmeno il paese europeo più popoloso, dinamico e
competitivo può contare davvero nel mondo se non si integra con gli altri paesi
dell'Unione. Penso che il futuro dipenderà dalla piena consapevolezza che ne
avranno tutti i governi nazionali, e dipenderà dalla loro volontà e capacità di
condividerla con i cittadini, con gli elettori".
L'ultima domanda: che cos'è il berlusconismo?
"Con le definizioni e le categorie bisogna andarci sempre
molto cauti. Si è parlato di berlusconismo come di un certo modo di fare
politica e conquistare l'elettorato. Sia nella storia che nella politica vi
sono cicli che si sviluppano e poi si esauriscono. Berlusconi ha compreso che
non poteva continuare a reggere il governo: si è reso conto della crisi,
dell'impossibilità di continuare come prima, e si è collocato in una posizione
molto più distaccata".
E al di là del cambiamento di governo?
"Altra questione importante è che nella società italiana
debbono rafforzarsi certi valori, offuscatisi negli ultimi anni, e che hanno
molto a che fare con la visione della politica, le sue basi culturali e morali.
Innanzitutto, in Europa, così come in Italia, è molto importante che si
riaffermi il concetto di solidarietà. Adam Michnik conosce bene questa
parola".
La ringrazio molto, Signor Presidente. L'ho affaticata.
"Un po'. Anche perché abbiamo parlato non tanto di
attualità, quanto di complesse vicende del passato".