giovedì 7 giugno 2012

CARCERE. UNA PICCOLISSIMA RIFORMA
















Giustizia: nella Circolare Dap nessuna “autogestione”, ma solo una piccolissima riforma



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di Sandro Padula

Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2012

Con la Circolare Dap sui detenuti a “media sicurezza” non si introduce l’impossibile logica della “autogestione delle carceri” ma solo una piccolissima riforma.
Di fronte alla sostanziale paralisi politica del governo Monti e del parlamento in relazione ai diritti delle persone detenute, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) Giovanni Tamburino cerca di affrontare con pochi e ordinari mezzi la presente e catastrofica realtà carceraria.
La circolare del Dap n. 3594-6044 del 25 novembre 2011 recante “Modalità di esecuzione della pena. Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione” proponeva, per svariate persone detenute a “ridotta pericolosità”, modalità custodiali meno rigide “procedendo a modificazioni di talune prassi sin qui seguite” e superando, inoltre, la “dicotomia tra i concetti di sicurezza e trattamento “per pervenire alla “auspicata apertura verso modelli di detenzione più consoni alle finalità costituzionali della pena”.
La Circolare G-DAP 0206745-2012 riguardante le linee programmatiche per la “Realizzazione circuito regionale ex art. 115 d.p.r. 30 giugno 2000 n. 230” si muove nella stessa logica di quella del 25 novembre, cerca di “ampliarne la portata positiva” e punta a favorire la “realizzazione di circuiti regionali ex art. 115 d.p.r. 30 giugno 2000 n. 230” nei quali la “media sicurezza” tenda ad evolversi verso la crescita e l’ampliamento degli “spazi utilizzabili dai detenuti” e l’incentivazione delle “iniziative trattamentali e i rapporti con la comunità esterna”. 
Il modello di organizzazione per “accompagnare e sostenere l’attuazione di un sistema del genere” ha come snodo il “livello regionale, ossia il Provveditorato”. 
Ogni Provveditore, a sua volta e “sulla base del lavoro preliminare che i Direttori d’istituto hanno approntato insieme ai Comandanti di reparto e le Equipe di trattamento per l’applicazione della circolare di novembre, sentiti in conferenza di servizio i Direttori d’Istituto e d’Uepe (ufficio di esecuzione penale esterna) della regione”, dovrà elaborare un progetto regionale ispirato a un “sistema integrato di istituti differenziato per le varie tipologie detentive ...” e individuare - per tutti gli istituti a “media sicurezza” e in particolare nelle case di reclusione - le modalità più congrue per ampliare gli “spazi utilizzabili dai detenuti” di tipo scolastico, formativo, lavorativo, culturale, ricreativo e sportivo. Inoltre, ove possibile, dovrà destinare un istituto o una sezione di questo totalmente a “regime aperto” (art. 115, 3° comma).
Da quanto si legge, non viene proposto il “regime aperto” in modo generalizzato ma, in ogni Regione, sempre ove possibile, dovrebbe esserci almeno un Istituto o una sezione al suo interno con tale regime per detenuti identificati nella categoria della “media sicurezza” che da un lato hanno un fine pena inferiore ai 18 mesi e dall’altro sottoscrivono un “patto” con l’amministrazione con cui “accettano le prescrizioni ivi contenute”.
Il “regime aperto”, una specie di oasi nel deserto relazionale per la massa prigioniera del circuito carcerario, è una forma di autodisciplina pattuita da alcuni gruppi di detenuti a cui corrisponde il massimo sviluppo, al posto del mero e impossibile controllo continuo, di una sorveglianza dinamica da parte della polizia penitenziaria coadiuvata dalle altre figure istituzionali (educatori, psicologi, assistenti sociali) che per altro risponde a una direttiva dettata dalla Raccomandazione R (2006) 2 sulle Regole penitenziarie Europee del 2006 e alla legge del15 dicembre 1990 n. 395 per la riforma della Polizia Penitenziaria in un Corpo specializzato sotto il profilo custodiale e trattamentale.
In questo ambito si collocano anche le proposte di creare “Istituti a custodia attenuata per detenute madri” come prevede la legge 21 aprile 2011 n. 62 e “Istituti a custodia attenuata per tossicodipendenti” per incrementare i percorsi alternativi alla detenzione indicati dal d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309. Tutto ciò potrà riguardare “anche detenuti non direttamente gestiti dai Provveditori (a esclusione, in ogni caso, di coloro sottoposti al regime restrittivo ex art 41-bis l. 354/75)”.
In linea di principio e fatta eccezione per i regimi carcerari ad Alta Sorveglianza, la Circolare pone i problemi di una sicurezza intesa “quale condizione per la realizzazione delle finalità del trattamento” e di una individuazione dei posti di servizio “sulla base del personale effettivamente a disposizione, previa decurtazione della percentuale di assenze dovute per la fruizione di congedi e riposi equamente ripartiti, sulla base della tipologia dell’istituto e degli obiettivi prefissati”.
Per diversi aspetti il “regime aperto” già esiste. A Roma ad esempio c’è da molti anni il reparto G8 del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso che, oltre a non riguardare solo persone detenute che hanno un fine pena inferiore ai 18 mesi, viene considerato all’avanguardia nell’Unione Europea. 
In questo senso la Circolare, lungi dal costituire una qualche rivoluzione, appare come una piccolissima riforma che tende a razionalizzare il sistema carcerario italiano facendo leva sull’esistente.
Il suo vero limite, oltre alla questione degli scarsi fondi per le attività trattamentali, è l’indiretto avallo di una logica di differenziazione accentuata e permanente fra l’Alta Sorveglianza e gli altri regimi detentivi. È l’assenza di una strategia volta a rendere l’intero sistema carcerario subordinato allo scopo rieducativo previsto dall’articolo 27 della Costituzione. 
È come se da un lato ci fosse la coscienza garantista e libertaria di dover colmare il gap fra la Costituzione formale e la Costituzione materiale e dall’altro non si abbia la forza e la coerenza per proporre una linea strategica di riduzione della differenziazione dei gradi di sorveglianza, di eliminazione progressiva del carcere duro e di tendenziale abolizione della pena detentiva, sostituita da un multiforme sistema di risarcimento sociale delle trasgressioni, perché far penare legalmente qualcuno fabbricandone il dolore è sempre una forma di vendetta istituzionale.
La Circolare d’altra parte, al di là della sua concreta efficacia, sembra abbastanza chiara e attenta rispetto alle condizioni di vita e di lavoro della Polizia Penitenziaria ma proprio da quest’ultima sono arrivate le critiche più severe.
Secondo l’opinione di Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe (il primo e più rappresentativo della Categoria), “la circolare del Dap è illegittima nella parte in cui stravolge l’organizzazione del lavoro della Polizia Penitenziaria, perché questa è materia di confronto sindacale che non c’è stato, e per tale ragione adiremo le competenti sedi della Giustizia. Ma c’è di più: la nota di Tamburino è incredibilmente anacronistica, perché si rivolge ai detenuti con pene brevi da scontare che in tutta Europa scontano la pena fuori dal carcere”.
Il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria Giuseppe Moretti rincara la dose affermando che la Circolare del Dap, prevedendo una “sorveglianza dinamica” senza un “preventivo confronto con i rappresentanti dei lavoratori”, introdurrebbe la “logica dell’autogestione” e aumenterebbe “il rischio di implosione delle carceri”.
In realtà il parere dei Comandanti della Polizia Penitenziaria è previsto dalla Circolare rispetto alla formazione del Progetto da parte di ogni Provveditore e senza dubbio risulta sempre possibile il confronto sindacale sull’organizzazione del lavoro. 
Sulla circostanza per cui la Circolare auspica il “regime aperto” solo per detenuti a “media sicurezza” aventi un fine pena inferiore ai 18 mesi, quelli che in altri paesi europei scontano la pena residua fuori dalle carceri, Capece ha ragione.
Il punto su cui il segretario del Sappe e il segretario dell’Ugl Polizia Penitenziaria vanno al di fuori di una cultura garantista e libertaria è quando invece ritengono che la Circolare rischi di consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti.
Questa critica, al di là delle intenzioni e delle mode comunicative di sapore populistico penale, è infondata. Ritenere che la Circolare introdurrebbe la logica dell’autogestione delle carceri da parte dei sepolti vivi è come credere che nei cimiteri si possa manifestare l’autogestione dei sepolti defunti da parte dei sepolti defunti. 
In questa specifica critica sindacale alla circolare del Dap traspare una cultura che, nel concreto, potrebbe ostacolare ogni forma di transizione da un sistema di controllo continuo ad uno di sorveglianza dinamica. E questo non va bene per nulla!
In Italia la categoria della polizia penitenziaria svolge un’attività difficile, dura e stressante ma ha la buona fortuna di avere un posto di lavoro garantito ed uno stipendio superiore alla media dei redditi complessivi da lavoro dipendente perché da una parte lo Stato la finanzia col denaro pubblico, cioè con le tasse pagate dai cittadini (compresi i parenti dei detenuti e i detenuti lavoranti), e dall’altra un’irriducibile popolazione prigioniera - passata il 31 maggio 2012 alle 66487 unità - ne costituisce l’indispensabile “datore di lavoro”, come fece intendere il romanziere Andrea Camilleri in una prefazione del 2007 all’ironico Elogio del crimine di Karl Marx.
Se quindi la polizia penitenziaria - attraverso i suoi svariati sindacati - desidera proporre qualcosa di democratico e pacifico per eliminare il problema del sovraffollamento del sistema penitenziario e ridurre il numero dei suicidi in carcere dovrebbe recepire, con grande senso di responsabilità e spirito altruistico, i bisogni comuni delle moltitudini imprigionate.
Persone detenute e persone della Polizia Penitenziaria stanno sulla stessa barca. Se quest’ultima dovesse affondare le conseguenze si riverserebbero su tutti. O si capisce che la difesa della dignità delle persone detenute e dell’articolo 27 della Costituzione deve essere interna ad ogni piattaforma dei sindacati della Polizia Penitenziaria oppure si andrà verso la comune rovina di tutte le soggettività che vivono nel carcere o grazie al carcere.

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