sabato 19 gennaio 2013

ORESTE E RENATO




I PRESENTI









LA STESSA SOSTANZA DEI SOGNI

OMELIA DI SCALZONE AI FUNERALI DI PROSPERO GALLINARI
Il video, come mi avverte Youtube, presenta un tremolio.
Non ero lì come blogger.


GLI ASSENTI

Il primo nome ricordato oggi a Reggio Emilia durante i funerali di Prospero Gallinari è stato quello di Antonio Gustini, delle BR-Partito Comunista Combattente, morto durante uno scontro a fuoco nel dicembre 1984. Aveva 28 anni.
Conoscevo bene la sua famiglia. Tre fratelli, figli di un portiere di uno stabile, che con la portineria aveva avuto la casa. Vivevano a Roma, in zona Val Melaina. Ai suoi funerali c'erano solo gli amici dei fratelli e decine di poliziotti a fare foto e schedare. Uno dei fratelli, pochi anni dopo, entrò nel PCI tra mille dubbi, suoi e dei dirigenti della sezione (la stessa in cui militò l'ex tesoriere della Margherita noto alle cronache). Lo guardavano con sospetto perché il fratello era stato un brigatista e si pensava che in lui ci fosse un minimo di simpatia per quel mondo. Tanto che gli vennero sensi di colpa. Antonio aveva preso la strada sbagliata. In qualche modo lui poteva porre rimedio entrando, anzi, essendo accolto nel partito della legalità.
Però del fratello conservava ogni ritaglio di giornale che lo riguardava.
Un giorno me li fece vedere. Stese sul tavolo la ricostruzione dell'assalto al portavalori, mi indicò la posizione di Antonio: era allo scoperto. In uno scontro a fuoco sarebbe stato un facile bersaglio. Perché?
Allora non seppi rispondere. Lo capii solo venti anni dopo. All'epoca le Br-PCC non erano più le Br, anche se i giornali non è che facessero questa distinzione (non la fanno neanche oggi). Era uno sparuto gruppo ridotto all'osso per militanza e finanziamenti. Quella rapina disperata, quell'esproprio, doveva servire a sostenere la lotta armata. Gli uomini però scarseggiavano e in quella rapina si mise in campo la poca forze di cui si disponeva. Senza un piano ragionato come in passato.
Per questo Antonio era lì. Allo scoperto. Come, del resto, tutti gli altri.
Oggi, 19 gennaio 2003, a quasi 30 anni da quel giorno, il suo nome è stato nuovamente pronunciato in un cimitero. Ho scritto al fratello, che non sento da anni, per farglielo sapere.




GIORNALISTI


PROSPERO. ULTIMO SALUTO


mercoledì 16 gennaio 2013

UN GRANDE PEZZO

PAOLO Persichetti risponde a quanto uscito su "gli Altri" per la penna di Andrea Colombo (qui) http://www.glialtrionline.it/2013/01/14/e-morto-il-br-prospero-gallinari-assassino-si-ma-generoso-altruista-coraggioso/

Un grande pezzo.


Caro Andrea,
ripeto, il tuo pezzo poteva essere bello perché capace di cogliere alcuni aspetti decisivi della personalità di Prospero Gallinari e soprattutto di ricordare come non si sia mai fatto estorcere – come ha recentemente sottolineato Scalzone – “nessuna confessione d’innocenza” di fronte all’accusa rivelatasi alla fine inesatta di essere stato l’esecutore materiale di Moro, nonostante ciò l’avrebbe probabilmente aiutato ad uscire molto prima dal carcere per le sue difficilissime condizioni di salute.
Caratteristiche che tu però hai confinato unicamente alla dimensione umana del personaggio, mentre in una sorta di chiaroscuro ne hai demonizzato quella politica, dandogli dello “stalinista“.
Cito: “era un rivoluzionario generoso e di animo buono, ma era anche uno stalinista, uno di quelli che se il partito glielo avesse ordinato ti avrebbe eliminato, con le lacrime agli occhi ma senza esitare, convinto che questo fosse il suo dovere di rivoluzionario e di soldato della guerra di classe. Quella spietatezza politica era inaccettabile, certo, ma Prospero la condivideva con migliaia e migliaia di militanti dei suoi tempi. Che non erano i nostri, perché Prospero Gallinari era davvero un uomo e un rivoluzionario e un comunista “d’altri tempi”.
Affermazione che fa il paio con quella precedente, “Con noi, ragazzi di movimento, che negli anni ’70 il Pci lo odiavamo e lo combattevamo aveva pochissimo a che spartire. […]Ci guardava con sospetto, come quasi tutti i brigatisti, operai e contadini la cui continuità con la tradizione comunista era molto più ferrea della nostra”.
Mi riferivo, con tutta evidenza a questi infelici passaggi quando ho accennato a quel dizionario dei luoghi comuni nel quale alla fine sei inevitabilmente scivolato. E mi sembra che nella replica tu abbia colto perfettamente il senso della mia critica, imbarcandoti tuttavia in un tentativo di precisazione del senso che attribuivi al termine “stalinismo” che non solo non rende giustizia a Prospero, ma trasforma questa categoria in una sorta di concetto metastorico del tutto fuorviante.
Andiamo per ordine: sostieni che la risposta di Gallinari su Tienanmen sarebbe un dettaglio banale! A me non sembra proprio, al contrario la trovo dirimente. Tu invece lasci ingiustamente pensare che sia stato un escamotage intelligente per dissimulare un’identità in quel momento impopolare. E la cosa, se mi permetti, è ancora più offensiva per la memoria di Prospero perché oltre a dargli dello stalinista gli dai pure del dissimulatore.
Le Br, nel bene o nel male, hanno sempre detto quello che sono state e sono sempre state quello che hanno detto. Se avessero appoggiato il “socialismo di mercato” cinese, come accade per tutte le varie tendenze con venature rosso-brune, nazional-bolsceviche, identitarie e comunitariste, che ormai dilagano ben oltre gli ambienti veterocomunisti, in quel momento l’avrebbero sostenuto senza problemi.
Ma la loro storia ci dice che hanno tentato di rappresentare l’opposto.
Nella tua replica introduci con molta leggerezza una equivalenza tra terzointernazionalismo e stalinismo per poi affermare che “voi”, cioè noi brigatisti di più generazioni, saremmo stati gli epigoni di quella cultura politica.
Capisco che nella tua affermazione sia contenuta una carica polemica antica derivante dalla tua originaria appartenenza ad una delle componenti dell’operaismo che si è sempre narrata come l’unica legittima rappresentante di quella storia, in realtà molto complessa, e si è autoincensata come l’antitesi intelligente e moderna, rivale e alternativa alle culture considerate “vetero” presenti nel resto del movimento, anzi “esterne” al movimento come vi piaceva tanto dire delle Brigate rosse.
Per fortuna, caro Andrea, la storia è ben più complessa, articolata, carica di sfumature e sorprendenti smentite. Dovreste liberarvi, tu e i tuoi amici postoperaisti e postnegriani, da certe leggende ideologiche, uscire dalle narrazioni autocelebrative e calarvi all’interno di una visione più laica degli anni 70, che alcune ricerche sociologiche sull’origine politica-ideologica dei militanti della lotta armata, e delle Brigate rosse in particolare, già consentono.
Da tempo questi dati ci dicono che il grosso dei militanti della lotta armata viene dal filone operaista, comprese le Br che pure, a differenza di altre formazioni armate più omogenee, hanno avuto una composizione socio-ideologica molto eclettica che nei 19 anni della loro storia ha reclutato nelle aree politiche più disparate, subendo anche influenze legate al peso delle diverse generazioni che vi affluivano.
Se le Br fossero state soltanto quella sorta di cartolina di Epinal in salsa emiliana legata alla vicenda del gruppo dell’appartamento o dei trentini della facoltà di sociologia, sarebbero finite con la trappola di Girotto-frate Mitra. Quella emiliana fu una enclave mitizzata e mediatizzata a cui crede ormai solo quel cospirazionista attardato di Fasanella, anche perché per anni molti di quel gruppo hanno rappresentato la parte visibile dell’organizzazione, quella finita in carcere.
In realtà l’insediamento più grosso e strutturale stava nelle fabbriche del triangolo industriale, proveniva dall’esperienza dei Cub, era l’anima operaia, quell’operaio massa nuovo e sovversivo.
Ma ciò che ha fatto sopravvivere questo gruppo per quasi due decenni è stata la capacità di uscire anche dalla fabbrica, radicarsi nel territorio, insediarsi nelle periferie romane e milanesi, fino a Napoli.
Nelle Br non confluiscono solo ex Fgci (fatto anche generazionale. Chi era giovane nei primi anni 60 passava da lì come avvenne per alcuni fondatori di Potop), qualcuno, o pezzi del gruppo feltrinelliano, ma comunisti libertari come Faina, larghe fette di Potere operaio, meno di Lc, maoisti, quelli prima confluiti per Potop (altri ex mao confluiti in Potop fondano gruppi armati concorrenti) e altri ancora, e poi quel magma definito genericamente Autonomia, prima e dopo il 77.
Il reclutamento in una città come Roma, soprattutto nella zona periferica sud-est, si prolunga fino alla metà degli anni 80.
Che il terzointernazionalismo non sia riassumibile nello stalinismo lo si deve affermare per rispetto delle altre famiglie del comunismo internazionale. Quanto meno avresti dovuto prendere delle precauzioni periodizzando. I troskisti, i bordighisti, per citarne solo alcune, sono a pieno titolo figli di quella tradizione.
Senza dover citare Revelli, quella proiezione verso l’assoluto del fine che giustifica ogni mezzo non è propria solo dello stalinismo, che l’ha portata alla sua aberrazione massima, all’abisso senza ritorno. E’ insita in molte altre culture non solo del comunismo rivoluzionario, in quelle leniniste, nel troskismo, nella tradizione anarchica, ma e propria anche delle culture nazionaliste e fasciste, appartiene – lo sai meglio di me – alla grande avventura sionista tuttora in corso.
Aggiungo che non manca nemmeno nelle esperienze dell’operaismo armato: devo forse ricordare le gesta di Segio o le imprese di Fioroni?
Si da il caso che nella biografia di Prospero Gallinari non troverai nulla di tutto ciò!
Ecco appunto, torniamo a Prospero. La sua cultura è un must particolare, originale, che ha delle similitudini con gli altri emiliani ma non è sovrapponibile a quella di altri dirigenti brigatisti come Moretti, Curcio, Senzani, Balzerani, Guagliardo, per stare al gioco dei nomi conosciuti.
Un comunismo contadino che mette radici nell’Emilia profonda, che ha legami forti con la memoria della Resistenza in una zona segnata duramente dalla guerra civile (legami giustificati anche dalla vicinanza anagrafica), nella quale è presente la tradizione insurrezionalista, con elementi secchiani e dunque certamente di scuola “emmelle”, ma che si intrecciano pure con l’opposizione ingraiana. Un sostrato che si misura, e qui sta l’intelligenza e l’originalità del percorso di Gallinari, con le nuove culture sovversive della metropoli degli anni 70: quella operaia prima e quella delle periferie urbane dopo.
Posso capire cosa c’entra tutto ciò con lo stalinismo?
Ti sei mai chiesto come sia stato possibile che uno come Gallinari abbia di fatto installato, fatto crescere, dato basi solidissime alla colonna romana, la colonna terziaria per definizione, quella sociologicamente più negriana…. Quella dell’operaio sociale, dei disoccupati, dei borgatari, degli studenti, dei lavoratori dei servizi, dei ferrovieri.
Chi mai tra questi giovani Gallinari avrebbe guardato con sospetto, come sostieni?
Solo una persona con una grande duttilità, una enorme capacità di ascolto e di adattamento avrebbe potuto “accudire” quel fiume di giovani che volevano entrare nell’organizzazione.
Le tue, Andrea, sono incrostazioni ideologiche, pregiudizi che non reggono alla luce dei fatti e di cui faresti bene a liberarti.
Non c’è stata organizzazione meno terzointernazionalista delle Br, questo è il punto. Forse alcuni accenti del genere riapparvero nell’aspro dibattito interno che divise quanto restava delle Br-pcc alla metà degli anni 80, ma era un momento in cui la voglia di tirare bilanci e rifondare tutto spingeva a cercare spunti ovunque. Durò poco.
La Brigate rosse, in realtà, hanno innovato, praticando un’eresia organizzativa ed ideologica. Guardavano agli esempi della guerriglia urbana metropolitana, Marighella e non il Che. Antileniniste sul piano dell’organizzazione, rifiutavano il modello del doppio livello, legale e illegale, della separazione tra direzione politica e braccio armato propugnando l’unificazione tra politico e militare, con un discorso che traeva coerenza dal rifiuto della divisione del lavoro manuale e intellettuale.
Nelle Br non esistevano i capi che mandavano i gregari a sporcarsi le mani, l’intellettuale che dava la linea e gli altri che eseguivano. Il dirigente andava in prima linea, non diceva armiamoci e partite per poi giustificarsi, come fece un certo professore, dicendo: “hanno capito male i miei libri”. Era moralismo rivoluzionario? Probabile.
Comunque si trattava di una formula organizzativa differente da quelle di altre formazioni di matrice operista ortodossa che invece praticarono senza problemi questa dualità tipicamente terzointernazionalista.
Vengo infine all’ultima parte, lì dove affermi che Prospero era uno di quelli, “che se il partito glielo avesse ordinato ti avrebbe eliminato, con le lacrime agli occhi ma senza esitare, convinto che questo fosse il suo dovere di rivoluzionario e di soldato della guerra di classe. Quella spietatezza politica era inaccettabile, certo, ma Prospero la condivideva con migliaia e migliaia di militanti dei suoi tempi”.
Qui siamo alla calunnia bella e buona. Diversa solo nello stile dalle parole che ha scritto Fasanella su Panorama.
Dovresti rileggere quando ha ricordato Lanfranco Pace in una intervista apparsa sul Foglio di questi giorni sull’atteggiamento misurato con il quale Gallinari gestì la grave crisi provocata dal modo in cui Morucci e Faranda uscirono dalle Br, rubando parte dell’arsenale militare dell’organizzazione. Un comportamento gravissimo, definito allora “banditesco” e che nella storia delle organizzazioni rivoluzionarie ha sempre provocato l’eliminazione dei responsabili.
Nelle Br esisteva una prassi che consentiva a chiunque fosse in crisi o in disaccordo di andare via dall’organizzazione se avesse voluto, ritirandosi a vita privata se era ancora possibile. Quando chi usciva era già latitante, otteneva in dotazione l’arma personale, dei soldi e un minimo di aiuto logistico, a rischio – come avvenne molte volte – di cadere in trappole micidiali tese dalla polizia. Nessuno veniva messo alla porta, gettato in strada.
Morucci e Faranda non si accontentarono di ciò, ebbero un comportamento “poco leale”, nonostante ciò quella vicenda venne ricondotta da Gallinari all’interno di una gestione politica del dissenso. Giudizi molto duri ma nessuna rappresaglia. Aggiungo che a minacciare Morucci in carcere furono altri personaggi, no sto qui a fare il nome, ma sai benissimo di chi parlo.
E visto che parliamo di Morucci ricordo – come da egli stesso raccontato nei suoi libri – che fu lui e non certo Gallinari ad intrattenere rapporti molto stretti con Feltrinelli, quando era ancora responsabile del lavoro illegale di Potere operaio (e le Br erano appena un piccolo gruppetto), fino ad avere quasi una doppia appartenenza.
Feltrinelli aveva rapporti internazionali di peso, non solo con Cuba e le guerriglie sud americane ma anche con il blocco orientale. Perché mai allora l’etichetta di stalinista non ricade su Morucci ma l’appiccichi a Gallinari? E perché mai è lui che dovrebbe rispondere della leggenda del superclan come va dicendo Fasanella?
Concludo ricordando il ruolo e il comportamento tenuto da Prospero negli anni di carcere anche nei momenti di massima tensione interna alle Br o con altri gruppi (7 aprile, movimento della dissociazione), sempre improntato a ricondurre sul piano del confronto politico, anche aspro ma sempre politico, le divergenze, le rotture, lontano da qualsiasi sopraffazione fisica.
Basta leggere le sue memorie, il rammarico con cui racconta gli anni bui delle rese di conti che nel clima allucinato delle carceri speciali portò tronconi scissionisti delle Br a scagliarsi contro altri pezzi della stessa organizzazione, scatenando una guerra contro le proprie ombre, alla ricerca del capro espiatorio di turno.
Gallinari difese gli ammittenti, quelli che avevano ceduto sotto la pressione degli interrogatori o delle torture dando prova di saggezza, umanità, buon senso, grande lungimiranza politica e umana.
Un grande dirigente, il cui atteggiamento restio ad entrare nei dettagli era una questione di stile non di reticenza. Un vecchio stile comunista, misurato, asciutto, che si sforzava di trattenere i sentimenti, di mettere in avanti sempre la lucidità.
Paolo Persichetti 

martedì 15 gennaio 2013

Il giudice Holden

Il "giudice Holden" ha postato un commento sul blog di Baruda.
Mi sembra adeguato alla circostanza.


Oltre ogni considerazione sull’opportunismo di una certa (tutta?) stampa italiana, sempre pronta a cercare il facile consenso populista della pubblica opinione, ed al netto della grande rimozione collettiva operata su un pezzo fondamentale della nostra storia, le scelte editoriali di repubblica in questione sono soprattutto un pallido, quasi pavloviano riflesso dell’atteggiamento tipicamente italiano per cui si è forti coi deboli e deboli con i forti. secoli e secoli di servitù interiorizzata cancellano perfino quella eco di classicissima pietas che dovrebbe provarsi di fronte alla morte, fosse anche del peggior fellone. con fare delatorio e sbirresco, riportando stralci di commenti fuori contesto e negando il diritto di replica più elementare, cosa si rimproverebbe a chi sulla morte di Prospero Gallinari ha levato un pugno chiuso, versato una lacrima, spezzato un fiore? si rimprovera un’opinione? si rimprovera la commozione? o si rimprovera forse la stessa morte a chi è morto libero, né servo né traditore?

I LIBRI DI PROSPERO



Non è stato solo un contadino Prospero Gallinari e la sua autobiografia non è l'unico libro che ha scritto. Durante gli anni del carcere partecipò al dibattito interno che avrebbe portato le BR alla scissione, opponendosi alle tesi di Curcio e del Partito Guerriglia. Assieme ad Angelo Coi, Francesco Piccioni e Bruno Seghetti nel 1983 scrisse un lungo saggio, divenuto il libro Politica e Rivoluzione, oggi una rarità bibliografica che la casa editrice Odradek ha pensato, senza mai realizzarla, di fare un reprint.

Nel libro i quattro ribattono le tesi di Gocce di sole e analizzarono i motivi della sconfitta della lotta armata42. Si tratta di un testo complesso, che affronta i problemi cercando di mantenere una linea di corretta interpretazione del pensiero marxi- sta, correggendo l’impostazione di Curcio e Franceschini e, di conseguenza, portando un’ampia critica alla pratica del Partito guerriglia. Secondo Gallinari e gli altri, il capi- tale non era giunto a un punto di espansione totale, in quanto anche in una società molto avanzata tecnologicamente, accanto al lavoro superqualificato si incontravano condizio- ni di sottoccupazione, lavoro nero, part-time ecc. nel cuore stesso delle metropoli. Su scala planetaria, la dialettica sviluppo-sottosviluppo era la dimostrazione di come il dominio del capitale non fosse uniforme e producesse delle contraddizioni che non pote- vano essere risolte dal progresso. In altre parole, non ci si trovava di fronte a un «domi- nio totale» del capitale, né su scala mondiale, né nelle metropoli occidentali, all’interno delle quali, invece, permanevano aree estranee ai rapporti di produzione capitalistici. Dopo un’analisi accurata dei vari passaggi di Gocce di sole, che secondo i quattro auto- ri travisavano completamente il pensiero di Karl Marx, Politica e rivoluzione contesta- va le conclusioni di Curcio secondo le quali la metropoli doveva diventare il luogo dello scontro totale e permanente tra le classi. L’antagonismo di classe si trasformava in ini- micizia assoluta solo in un contesto rivoluzionario, dal quale si trovava ben lontana l’Italia del 1983. Il mondo non era affatto una metropoli informatizzata e non si era giun- ti per nulla alla «fine della Storia», come sembrava derivare dalla visione apocalittica dei fondatori del Partito guerriglia. Né era possibile accettare la concezione della violenza espressa da Curcio e Franceschini, che diventava violenza in sé, svincolata da qualsiasi motivazione politica, una sorta di catarsi individuale. Ma così era proprio la politica ad essere rifiutata dai due, in quanto la loro guerra usciva dagli schemi classici alla von Clausewitz (momentanea interruzione del dialogo politico) per diventare una guerra sociale totale al di fuori di qualsiasi fase, congiuntura, periodo di transizione ecc. Era, a dire di Piccioni e degli altri, la liquidazione della lotta armata come strategia di lotta e abbattimento dello Stato, della possibilità per il proletariato di conquistare il potere poli- tico e di gestirlo; ciò derivava dall’introduzione di teorie non marxiste e dal ritorno di un idealismo soggettivista che «ha tormentato fin dall’inizio la sinistra rivoluzionaria in Italia»43. Dunque, la «guerra totale» curciana non era mai stata una tesi delle Br, nean- che di quella produzione teorica «più contraddittoria» come sono giudicati L’ape e il comunista e la Risoluzione della direzione strategica del 1980. Essa, invece, è esclusiva caratteristica del Partito guerriglia, che era nato, a dire dei quattro, su tesi antimarxiste, anticomuniste e reazionarie, che avevano condotto Curcio e gli altri a negare in modo deciso la necessità di alcuna forma partito.
Dopo aver ampiamente criticato le posizioni di Curcio e Franceschini e del Partito guerriglia, dunque, Piccioni, Coi, Gallinari e Seghetti affrontarono la più generale crisi della lotta armata in Italia partendo dal fallimento dell’azione Dozier. Quel rapimento aveva definitivamente posto in uno stato di paralisi le organizzazioni comuniste combat- tenti, incapaci di adeguarsi alla nuova fase politica apertasi in Italia con la fine della ristrutturazione e della solidarietà nazionale. Il rapimento di Moro, infatti, aveva contri- buito a questa svolta, ma ciò aveva comportato la caduta del Pci in una crisi politica senza precedenti e che avrebbe avuto il suo apice nel 1985 con la sconfitta, come si vedrà, al referendum sulla scala mobile. L’ingresso dell’Italia nel serpente monetario (Sme) e l’installazione dei missili balistici sul territorio della penisola avevano visto il Pci su posizione critiche e determinato nuovi spostamenti, anche a livello internaziona- le; gli Stati Uniti, in particolare, dopo aver accarezzato per un certo periodo l’ipotesi di un Pci maggiormente impegnato all’interno della responsabilità governativa, pur conti- nuando a mantenere un rapporto importante con il partito di Berlinguer, compresero che i tempi non erano ancora maturi e preferirono appoggiare il rinnovato Partito socialista craxiano, finalmente più consistente anche da un punto di vista elettorale.
Dopo la marcia dei quarantamila del 1980 la centralità della fabbrica aveva perduto ogni consistenza, ma il brigatismo era stato incapace di compiere delle analisi adeguate per la comprensione dei nuovi rapporti di forza. Era necessario il ritorno a una mentalità scien- tifica, al ragionamento politico e al centralismo democratico, mentre l’approssimazione, le improvvisazioni e le deviazioni minoritarie del Partito guerriglia erano da respingere come reazionarie. In tale contesto la ritirata strategica era considerata necessaria al fine di «rimettere in discussione tutto nella strategia guerrigliera nella metropoli». Non si trattava di una resa, dunque, né di essere diventati «aspiranti bagnini alle Seychelles», come qual- cuno del Partito guerriglia li aveva definiti45. Il problema era più generale e stava nel ten- tativo curciano, ma anche di ex militanti dell’autonomia come Toni Negri, di togliere la valenza politica alla lotta armata, ridotta a un coacervo di tensioni sociali di giovani «arrab- biati e apolitici»46. Per gli autori del denso volume teorico, invece, si era chiuso un perio- do determinato, quello della «infanzia della lotta armata per il comunismo», dominato da una linea politica di sostanziale estremizzazione sistematica delle istanze rivoluzionarie.
Passando all’analisi del momento storico loro coevo, partendo dalla stessa nozione dello Sim si giungeva alla lettura dell’evoluzione internazionale del capitale all’interno di un mondo molto integrato e guidato dagli Stati Uniti. Per quanto riguarda lo Sim, il concetto veniva corretto nel senso che si metteva in risalto una dialettica tra gli interes- si dello Stato-nazione, che opera su progetti di medio e lungo termine per la crescita complessiva del paese, e le singole multinazionali, interessate al profitto immediato. Il capitale non si doveva interpretare come un Moloch onnipotente, ma come una comples- sa macchina che creava, operando, delle contraddizioni soprattutto all’interno del campo capitalista e, in particolare, proprio tra lo Stato-nazionale e le multinazionali.
Lo Stato delle Multinazionali, dunque, esisteva solo là dove la forza economica dello Stato era davvero debole e dipendente in modo quasi totale dal flusso commerciale garantito dalle imprese straniere. Nei paesi più ricchi, invece, lo Sim non si poteva realizzare per la resistenza dello Stato stesso all’invadenza delle corporations. Dunque, non ci si trovava di fronte a un unico progetto imperialista, ma a tanti in concorrenza tra loro e il «cuore dello Stato», di conseguenza era costituito dal progetto politico dominante in una determinata congiun- tura e non da un assoluto. L’aver letto il cuore dello Stato come il punto di rottura del potere capitalistico, al contrario, aveva condotto le Br nel vicolo cieco in cui si trovava la lotta armata come elemento strategico di emancipazione del proletariato. Allora, il parti- to armato non poteva essere l’elemento di organizzazione della vita delle masse ma solo l’organo tendente a diventare la loro direzione politico-militare, al fine di trasformare la loro mobilitazione rivoluzionaria in conquista del potere. Gli obiettivi politici del partito dovevano coincidere con l’interesse generale del proletariato e il suo programma doveva prevedere i contenuti politici generali della mobilitazione di classe (l’esempio portato è il no all’installazione dei missili balistici in Italia e il no alla revisione della scala mobile). Ma si tratta di obiettivi parziali, in quanto il proletariato sentirà la necessità di armarsi e combattere solo quando milioni di persone si sarebbero trovate a non poter più vivere come prima. Dunque, la fase nuova che si doveva aprire per le organizzazioni comuniste combattenti in Italia doveva necessariamente partire dal superamento dell’idea che l’atti- vità del partito e quella delle masse non potevano essere unificate da una pratica di lotta armata né giungere a una unità ideologica, ma che poteva aspirare a trovare dei momen- ti di mediazione in un programma politico generale, nuovo compito delle Br-pcc.

UN RICORDO DI PROSPERO DI UN SUO COMPAGNO

Il pezzo di Sandro Padula, che anticipiamo qui grazie a lui, sarà pubblicato presto su "Ristretti Orizzonti"




Gallinari: dopo 33 anni non aveva ancora ottenuto la libertà condizionale
di Sandro Padula
Quattordici gennaio 2013. Cielo grigio e piovoso.
“Stamattina è morto Prospero”, leggo in una mail.
 “La brutta notizia, – precisa qualche minuto dopo un amico al telefono - è confermata da Sante che vive a Bologna”.
Sante Notarnicola, l’autore del libro “L’evasione impossibile”, conosceva bene Prospero Gallinari, colui che si definì “un contadino nella metropoli” nell’omonimo testo di memorie.
Ex brigatista rosso, 62 anni, in sospensione della pena carceraria per motivi di salute dal 1996, Prospero abitava a Reggio Emilia e, pur essendo stato arrestato l'ultima volta nel 1979, non aveva nemmeno ottenuto la libertà condizionale, la cui istanza fu da lui indirizzata qualche anno fa al tribunale di sorveglianza di Bologna e mai discussa. Sì, mai discussa.
Della libertà condizionale, il beneficio che funge da ultimo tunnel penale prima della libertà, non ha visto nemmeno l’ombra.
La sospensione della sua pena carceraria in senso stretto corrispondeva ad una misura ibrida fra gli arresti domiciliari e la semilibertà: Prospero poteva uscire di casa, in alcuni orari prestabiliti della giornata lavorativa, ma non di notte.
Agli amanti dei misteri non fa scandalo la realtà italiana per cui dopo 3 decenni ci sono ancora dei detenuti politici. Fa scandalo se da ragazzino Prospero era un marxista-leninista ortodosso o se, nei primissimi anni ’70 e per breve tempo, ebbe dei rapporti con Corrado Simioni, il teorico della “superclandestinità” abbandonato al suo destino da tutti i militanti delle Br – nessuno escluso - perché ritenuto megalomane, maldestro e inconcludente.
Prospero ha maturato le proprie idee a Reggio Emilia in un determinato periodo storico e le ha sviluppate nelle metropoli operaie del Nord Italia, nell’esperienza carceraria fra il 1974 e il 1976 e poi, dopo un’evasione, a Roma.
Fu sempre fedele alle persone amiche, condividendo con loro la propria vita e dimostrandosi particolarmente sensibile anche nei momenti più difficili, ad esempio dopo la seconda carcerazione quando, assieme a Linda Santilli, scrisse il primo libro italiano sull’effetto estensivo della pena detentiva ai parenti dei detenuti: “Dall'altra parte: l'odissea quotidiana delle donne dei detenuti politici” (Feltrinelli, 1995).
Prospero sapeva che in una organizzazione politica come le Br le responsabilità erano collettive e rimase coerente rispetto a tale consapevolezza fino all’ultimo giorno della sua vita.
Nel 2009 ha elaborato la postfazione di “Andate e ritorni. Conversazioni tra passato presente e futuro” (Colibrì editore), un libro dell’ex br Loris Tonino Paroli a cura di Giovanna Panigadi e Romano Giuffrida e con prefazione di Renato Curcio.
Nel 2011 ha partecipato a “Ils étaient les Brigades rouges", un documentario trasmesso a puntate in una televisione francese (vedasi l’estratto:http://www.dailymotion.com/video/xkua7m_extrait-du-film-ils-etaient-les-brigades-rouges_shortfilms#.UPVDHfI5gcY ).
Prospero resta quindi una figura limpida, una specie di libro multimediale aperto, per tutte le persone che, all’interno e all’esterno delle carceri, ne hanno conosciuto il coraggio, l’umiltà e l’altruismo.

lunedì 14 gennaio 2013

PROSPERO AMAVA GUCCINI

I suoi amici lo sapevano. Prospero amava Francesco Guccini. In casa ha tutti i suoi CD. Lo riteneva il cantautore italiano più bravo. E' difficile scegliere con quale canzone ricordarlo. Una forse vale l'altra.
Inutile cercare simboli. Allora una canzone cantata da Guccini, ma non scritta da lui.
Luci a San Siro






PROSPERO E LA STORIA

GIOVANNI PELLEGRINO



Io non vorrei crederci. Per chi ha fatto della storia una professione, leggere dichiarazioni in libertà di persone con responsabilità istituzionali, passate o presenti, è un colpo al cuore.
Non perché io sia un ingenuo. E' proprio una questione di malattia professionale: lo storico cerca di ricostruire, per quanto possibile, la verità "storica".
Le stupidaggini maggiori arrivano dai PDiini. Gotor (vedi post precedente) parla in libertà. L'ex presidente della Commissione Parlamentare su terrorismo e stragismo in Italia, e-x-s-e-n-a-t-o-r-e- Giovanni Pellegrino, dichiara che "con la morte di Prospero Gallinari si allontana la possibilità di fare definitiva chiarezza sugli ultimi giorni di Aldo Moro".
Come se Prospero stava a Botteghe Oscure o a Piazza del Gesù, anziché in via Montalcini nel maggio 1978. TUTTI i brigatisti, dai pentiti ai coerenti, hanno raccontato cosa accadde in quell'appartamento.
NESSUNO dei politici, a parte Cossiga ma a modo suo, quello che accadde nel Palazzo.
Noi storici, al di là delle stupidaggini di Gotor, abbiamo a disposizione montagne di dichiarazioni dei brigatisti. Molto poco dei politici di allora. Poco e reticente. Diari (vedi Alessandro Natta) che dovevano essere pubblicati, si sono persi nella notte. Documenti all'Archivio centrale dello Stato sono ancora chiusi. Provate ad andare all'Istituto Gramsci e chiedere delle sedute del CC o della Segreteria del PCI in quei convulsi giorni. Il "caso Moro" è il perché i partiti italiani presero determinate posizioni e fecero scelte di chiusura al dialogo politico con le Br, costringendole al gesto estremo. Noi sappiamo i motivi, tutti politici. Li abbiamo analizzati più volte. Vorremo sentirlo dire anche a loro. O che almeno, si taccino e per sempre.
Poi c'è la parte che riguarda la magistratura. Ma magari si tratta di un refuso del corriere on line.
che pubblica oggi:


NON È CERTO CHE SIA LUI IL KILLER DI MORO» -Rosario Priore, il magistrato che condusse molte delle inchieste sul rapimento e l'omicidio di Moro, è tornato sulla vicenda: «Non c'è una certezza giudiziaria su chi abbia sparato il colpo di grazia ad Aldo Moro, e dunque non è possibile affermare che a uccidere il presidente della Dc fu proprio Gallinari. L'unico che potrebbe parlare, e risolvere un enigma ormai più storico che giudiziario, è proprio Moretti».

Rimando al libro di Mario del 1993 scritto con Carla Mosca e Rossana Rossanda. E' sfuggito a Priore.

Ho nel mio archivio qualche cosa proveniente dai Carabinieri che riguarda le BR. E' ora di metterla in rete, a disposizione di tutti. 
Il tempo di recuperarla. Grazie

Mai muore la dietrologia, invece.

La "Repubblica" sente Miguel Gotor in occasione della morte di Prospero Gallinari.
E scrive sciocchezze.

LO STORICO: "Batteva lui le lettere di Moro". "Fu una lettera di Prospero Gallinari alla sorella, nel 1975, recuperata dagli inquirenti, a farmi scoprire che era stato lui, uno dei carcerieri di Aldo Moro, a redigere la versione dattiloscritta di tutte le lettere del presidente della Dc dalla 'prigione del popolo' di via Montalcini a Roma". Così lo storico Miguel Gotor autore di due libri-inchiesta sul "memoriale Moro" e sulle lettere dalla prigionia brigatista del presidente Dc. "Di quelle lettere - aggiunge Gotor - le Br ne resero pubbliche solo una trentina, ma l'intero corpus fu battuto a macchina nel covo dove era tenuto prigioniero Moro. Il dattiloscritto, però, riportava alcuni evidenti errori di ortografia continuamente ripetuti: soprattutto l'accentazione dei pronomi personali. Quegli stessi errori sono presenti nella lettera di Gallinari alla sorella e, dunque, rendono possibile identificare l'autore del dattiloscritto"


Ossia, le lettere di Moro dal carcere del popolo non furono originali, ma creazione delle Br. 
La scienza storica, in realtà, è andata avanti negli ultimi 15 anni. La cosa è sfuggita a Gotor e a "Repubblica". Una miseria per il nostro paese e per la nostra storia, continuamente inquinata purché si dimostri che in Italia non c'è mai stato uno scontro di classe, nessuno ha processato la DC e il suo presidente. E che Moro è stato lasciato solo da quelle forze politiche che egli stesso aveva messo insieme per sostenere il governo Andreotti.
Gotor è un dietrologo non cospiratore, nel senso che non parla di servizi segreti, come altri hanno fatto in passato. Si limita a togliere a Moro attendibilità. La stessa cosa che dicevano di quelle lettere tutti i politici italiani durante il rapimento.

E' bene ripeterlo: una miseria.



CIAO PROSPERO

GALLINARI E' MORTO OGGI IN UN OSPEDALE DI REGGIO EMILIA.
SI ERA SENTITO MALE IN AUTO E UN PASSANTE HA CHIAMATO IL 118.

IN QUESTO VIDEO LA SUA INTERVISTA PIU' RECENTE 
PER UN DOCUMENTARIO PRODOTTO DALLA TELEVISIONE TEDESCO-FRANCESE ARTE'
RICORDI DI PROSPERO QUI
Qui il ricordo della sua convalescenza al San Giovanni nel 1979



domenica 13 gennaio 2013

MAN IN BLACK

Uno splendido pezzo di Johnny Cash nel quale spiega perché vestiva sempre di nero.



INTANTO, SUL NEVSKIJ


A SAN PIETROBURGO SONO SCESI SUL NEVSKIJ ALCUNI ATTIVISTI CON CARTELLONI DI PROTESTA CONTRO LA LEGGE, DETTA IN RUSSIA ANCHE "LEGGE DI ERODE", CON RIFERIMENTO A PUTIN. QUESTO SI TROVA ALL'INGRESSO DELLA "CASA DEI GIORNALISTI". LA POLIZIA SEMBRA NON POTER INTERVENIRE IN QUANTO NON ESISTE UNA LEGGE CHE VIETA DI MANIFESTARE IL PROPRIO PENSIERO IN SOLITUDINE.


VLADIMIR ZHIRINOVSKIJ (LEADER DEL PARTITO LIBERAL-NAZIONALE RUSSO) HA VOTATO PER LA LEGGE SULLE ADOZIONI

LADRI E FACCENDIERI HANNO DERUBATI I BAMBINI DEL DIRITTO AL FUTURO

PERCHE' DEVONO PAGARE I BAMBINI?

ABOLIRE LA LEGGE DI "ERODE"

QUESTO CARTELLO RICORDA ALCUNE DELLE MAGGIORI TRAGEDIE RUSSE DEGLI ULTIMI ANNI: QUELLA DEL KURSK, IL SOMMERGIBILE ATOMICO AFFONDATO DIECI ANNI FA, QUELLA DI BESLAN (2001), QUELLA DEL TEATRO MOSCOVITA DETTA "NORD-OST", QUELLA DI KRYMSK.
ORA SI AGGIUNGE LA LEGGE DI "ERODE". DOBBIAMO SOPPORTARE ANCORA?

MI VERGOGNO A VIVERE IN UN PAESE GOVERNATO DA MALFATTORI

I BAMBINI NON DEVONO ESSERE OGGETTO DI RICATTO

LA DUMA DIFENDE DEGLI ASSASSINI E VIOLA I DIRITTI DEGLI ORFANI

UN COLLAGE DI QUANTO SI è VISTO FINO AD ORA

MAGNITSKY ACT. 3

Oggi si è svolta a Mosca una grande manifestazione popolare (circa 50.000 persone) per protestare contro la legge che impedisce a famiglie statunitensi di adottare bambini russi, legge nota con il nome di Dmitrij Jakovlev, un bambino morto negli Usa dopo essere stato adottato. Su questo blog si è parlato molto della legge il 28 e il 30 dicembre scorsi con tre post. Oggi pubblichiamo le foto della manifestazione di Mosca e dei "picchetti" sul Nevskij Prospekt a San Pietroburgo. Le foto sono prese dal sito della Novaja Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaja.






PRIMA DI ANDARE AL LAVORO, DEPUTATI, RICORDATEVI DI SPEGNERE IL FERRO DA STIRO E ACCENDERE IL CERVELLO






RACCOLTA DI FIRME PER UNA PETIZIONE CHE SARA' PRESENTATA DOMANI AL PARLAMENTO

VENDO A UN DEPUTATO UN BAMBINO PER COLAZIONE

PIPPI CALZE LUNGHE. LA SCRITTA DICE: UNA MAMMA NON HA NAZIONALITA'

IL CARTELLONE IN PRIMO PIANO CON LA FACCIA DI PUTIN DICE: "PER UNA RUSSIA SENZA ERODE". LA LEGGE E' STATA INFATTI DEFINITA "LEGGE DI ERODE"

LA TESTA DEL CORTEO CON LA SCRITTA CHE CHIEDE LO SCIOGLIMENTO DELLA DUMA DI STATO