sabato 27 ottobre 2012

L'UFFINGTON POST

ARIANNA HUFFINGTON


Il blog più importante in questo momento prende il nome dalla sua fondatrice, Arianna Huffington  (greca di nascita - Arianna Stasinopoulou, Atene, 1950), ex moglie del membro del Congresso americano Michail Huffington (repubblicano). Datasi anche lei alla politica, corse nel 2003 per il posto di governatore in California come indipendente. 
Nel 2005 apre il sito THE HUFFINGTON POST, che in qualche anno tocca i 9 milioni di visite al mese. Nel 2011 il sito è stato comprato per 315 milioni di dollari dall'OAL, il più grande provider del mondo con circa 30 milioni di utenti. Cifre da capogiro. La Huffington è rimasta presidente e amministratore dell'HUFFINGTON MEDIA GROUP e nell'aprile di quest'anno il sito ha vinto il premio Pulitzer. 
Visto il successo del format, sono state aperte edizioni del blog prima in alcune città americane, quindi in altri paesi. 
In Italia il sito, aperto nel settembre 2012 in collaborazione con il Gruppo Editoriale Espresso, è diretto da Lucia Annunziata, che ha chiamato a scrivere molti blogger famosi, mentre è possibile partecipare come blogger volontario aprendo un account. 

Si tratta di una grande operazione editoriale, che sfruttando la precarietà di tanti giovani giornalisti aspiranti assunti, vende importanti spazi pubblicitari. E' un'operazione a che può solo risultare vincente, finché anche in Italia i bravi giovani giornalisti precari (ce ne sono tanti) che scrivono sul sito non faranno come a N.Y., dove migliaia di blogger hanno denunciato l'Huffington americano (che nel 2009 ha guadagnato con la pubblicità dai 12 ai 16 milioni di dollari), per compensi mai ricevuti. 


venerdì 26 ottobre 2012

DOPO LA STORIA

Secondo il sociologo russo Andrej Fursov, l'Europa vive dopo la storia. Egli in questo intervento si dice convinto che gli europei sono giunti alla fine della propria parabola. Non edificheranno più un Duomo di Milano o un Colosseo perché non sono più una società di produttori ma di consumatori, non sono in grado di integrare gli immigrati, si sono allontanati dalla propria religione storica, il cristianesimo, che aveva permesso loro di entrare nella storia, sono una colonia americana. L'Europa è un museo, il museo di se stessa, e i suoi cittadini ne sono al contempo i conservatori e i visitatori (distratti).
La tesi è interessante e può dare origine a una riflessione, o discussione.


IL GIORNO DEL NO

Era la notte tra il 27 e il 28 ottobre 1940. L'ambasciatore italiano ad Atene, Grazzi, contro la propria volontà, si recò alle tre del mattino dall'allora presidente del Consiglio greco, Metaxas, ammiratore di Mussolini, per consegnargli l'ultimatum italiano. Due ore e mezza più tardi i primi soldati del Regio Esercito passavano il confine tra Albania e Grecia, dando inizio all'aggressione del paese balcanico.
Il "NO" pronunciato allora da Metaxas, ma anche dai leader del partito comunista, alle richieste italiane,  viene ricordato ogni anno in tutta la Grecia. Gli alunni di questa scuola di Atene hanno ricordato la guerra con poesie e scene teatrali, poi sono scesi a deporre una corona di fiori ai piedi di un partigiano.
Il minuto di silenzio che ha seguito la cerimonia è stato un minuto di silenzio. E poi, nessuno ha applaudito.

Manifesto del Partito Comunista Greco. Sopra Aris Velouchiotis a cavallo la scritta dice: Partigiani, predoni e giovani valorosi sono tutti lo stesso popolo.



OXI-ossia NO



















giovedì 25 ottobre 2012

LA CRISI LIQUIDA




Mi era sfuggita. Si tratta di un'intervista che risale a un mese fa al sociologo Zygmunt Bauman sulla crisi odierna, cause e prospettive. E' stata pubblicata sul sito lettera43 e l'ha realizzata a Leeds, dove l'inventore della società liquida insegna, Barbara Ciolli.



I politici propongono la via dell'austerity, per tagliare sprechi e sperperi della società dei consumi.
RISPOSTA. È una soluzione a breve termine, che di certo riduce la crescita e tiene molte persone disoccupate.
D. Come fa allora a risolvere la crisi?
R.
 Probabilmente, anche i rimedi a breve termine sarebbero dovuti essere diversi. Io, da sociologo, posso esprimermi solo in una prospettiva a lungo termine.
D. Per ora, cosa è arrivato a concludere?
R.
 Primo, che la crisi era ampiamente prevedibile. Siamo vissuti per oltre 30 anni al di sopra delle nostre possibilità, spendendo soldi non guadagnati. Il collasso del credito era inevitabile.
D. Colpa del ceto medio vorace, che, con il boom economico, voleva accaparrarsi tutti i nuovi comfort?
R.
 Certo che no. Le masse sono state convinte a vivere a credito. Sugli interessi dei loro prestiti, le banche hanno incamerato grandi utili. Le persone sono state indottrinate, è stato fatto loro il lavaggio del cervello.
D. Un sistema sofisticato.
R.
 Miracoli del capitalismo. Il punto, però, è che adesso ci troviamo in questa situazione. In tutto il mondo, non solo nell'Occidente più sviluppato, ma anche nelle Tigri asiatiche, in Brasile...
D. L'Europa non è messa peggio dei Paesi in via di sviluppo?
R.
 Questo sì. In Europa e negli Usa la contrazione è maggiore. E in Gran Bretagna, per esempio, si è abusato delle carte di credito più che in Italia, ma il trend è lo stesso.
D. C'è chi parla già di ripresa, grazie alle manovre di austerity.
R.
 Di questo mezzo secolo di abbondanza pagheranno lo scotto non solo le attuali nuove generazioni. Ma i loro figli e i loro nipoti.
D. In cosa ha sbagliato la società liquida?
R.
 Intanto nel non considerare che c'è un limite naturale al credito. Che quello che si ottiene senza sacrificio oggi, si pagherà necessariamente domani.
D. E poi?
R.
 Poi c'è un secondo aspetto che abbiamo ignorato: la sostenibilità del pianeta. Stiamo già consumando il 50% in più di quanto la Terra possa offrire.
D. Ma, con la crisi inarrestabile, i consumi si stanno contraendo.
R.
 Globalmente, la fame di risorse continua a crescere. Tra 50 anni avremo bisogno di cinque pianeti, per soddisfare i nostri bisogni. È una certezza.
D. Ed è una certezza che la Terra sarà distrutta.
R.
 Credevamo che la sola via per essere felici in queste e nelle prossime vite fosse consumare il più possibile. Invece questo sistema sta distruggendo il pianeta e le nostre esistenze individuali.
D. Come se ne esce?
R.
 Per uscirne, dovremmo necessariamente rivedere i nostri stili di vita. Mettere in discussione tutto quello che siamo stati abituati a pensare o a credere, rinunciando a molti comfort.
D. Sarà dura.
R.
 Chi, come le nuove generazioni, non ha mai provato una vita frugale dovrà imparare da zero un modello alternativo. Chi, come me, ha vissuto per 40 anni senza frigorifero, dovrà riabituarsi a minori comodità.
D. Sta dicendo di rassegnarci ad andare in peggio?
R. Non in peggio, a cambiare mentalità. Per millenni, le generazioni hanno vissuto senza televisione e non stavano necessariamente peggio. Di certo, sarà difficile disabituarsi ai comfort. Sarà - se accadrà - un processo lungo e doloroso.



D. Perché dubita che accadrà, se ritiene possibile l'esistenza di società alternative?
R.
 Essere possibile non è essere scontato. Qualcuno dovrà necessariamente guidare questo percorso. La grande domanda è capire quale forza sarà in grado di farlo.
D. La politica non è in grado?
R. I governi sono chiaramente incapaci di farlo. Vengono eletti per quattro, cinque anni. Il loro obiettivo è restare in carica. Per riuscirci, dicono alla gente quello che vuole sentirsi dire nel momento.
D. Eppure la crisi dura da cinque anni.
R.
 E infatti la politica è impotente, non sa che pesci prendere. Ormai la gente, per frustrazione, vota chi non era al governo al momento del collasso. Non è più una questione di destra o di sinistra.
D. In Italia, Mario Monti non è stato neanche eletto.
R. Ma la gente lo avrebbe votato egualmente, per reazione contro il premier precedente. In Spagna, il socialista José Luis Zapatero cadde travolto dalla crisi, ma sarebbe accaduto lo stesso al conservatore Mariano Rajoy. E se in Francia, due anni fa, ci fosse stato monsieurFrançois Hollande, ora Nicolas Sarkozy sarebbe in carica.
D. Non è un quadro troppo sconfortante?
R.
 Ormai la gente ha la certezza che qualsiasi governo non serva a niente. I cittadini hanno perso fiducia nell'élite al comando. E, se vuole la mia personale opinione, penso che abbiano ragione.
D. Perché?
R. Da un po' ormai vado dicendo che i politici non hanno più in mano gli strumenti per governare.
D. In che senso?
R. Al momento, siamo in una fase di divorzio tra politica e potere. Il potere è la capacità di fare determinate cose, la politica è la capacità di decidere quali cose devono essere fatte per il Paese. Se 50 anni fa politica e potere erano nelle mani dei governi, oggi il potere è stato globalizzato. Ma la politica no, è nazionale. O, al limite, internazionale.
D. Può fare un esempio concreto?
R. Prima i politici decidevano cosa fare e, contemporaneamente, avevano il potere di agire nel campo delle finanze e dell'economia nazionali. Oggi possono pensare a cosa fare, ma agire è ormai un potere fluttuante nella no man's land globale. Le aree locali non hanno più influenza.
D. Stati e gruppi di Stati sono quindi succubi dei cosiddetti 'poteri forti'.
R. La situazione è terribile. E fino a che non cesserà questo scollamento, nessuna soluzione a lungo termine potrà essere trovata. Questa è la mia profonda convinzione.
D. Prima parlava di rivedere gli stili di vita, costruire un modello di società alternativo.
R.
 Non si tratta solo di eliminare i surplus consumistici. Ma di reimparare - o imparare da zero - a essere felici stando nella comunità, coltivare relazioni di vicinato, cooperare.
D. Non le sembra un progetto utopistico?
R.
 Utopistico? Perché mai (ride). È chiaro che tu, io, tutti noi insieme, dovremo discutere seriamente per cambiare i nostri orizzonti, smettendo di spendere nei negozi. Ma, in passato, per la maggior parte della storia dell'umanità, gli uomini trovavano soddisfazione, per esempio, nel creare e nello svolgere lavori ben fatti. I sociologi lo chiamano istinto dell'uomo-artigiano.
D. E se non ci riusciremo, se non ci sarà la volontà di tornare artigiani?
R.
 Allora - è la seconda possibilità - la vita sarà ancora più dura. La natura minaccerà la nostra esistenza. E, se anche non soccomberemo, ci saranno guerre sanguinose.
D. Guerre per le risorse?
R. Sì, come ha ipotizzato Harald Welzer in Climate wars, a differenza del 1900, le guerre non saranno ideologiche, ma molto materiali. Ci potrebbero essere grosse guerre per la redistribuzione.
D. Sopravvivenza e distruzione, entrambi gli scenari sono possibili.
R. Come sociologo non sono in grado di dire quale prevarrà. Personalmente, non credo tanto nella prima possibilità.

D. Oltre ai consumi che le masse non possono più permettersi, la crisi globale sta distruggendo lo stato sociale.
R.
 Tutti i governi lo stanno smantellando, socialdemocratici e di centrodestra. Come per i premier eletti, la scomparsa dello stato sociale non è né di destra, né di sinistra. Del resto, non lo fu neanche sua creazione.
D. Da cosa nacque lo stato sociale?
R.
 L'idea che la comunità venisse incontro nei momenti di difficoltà si concretizzò, in modo particolare, dopo la terribile esperienza della Seconda guerra mondiale.
D. Tutti ne uscirono a pezzi.
R. Al di là della destra e della sinistra, si arrivò alla conclusione di aver tutti bisogno dell'aiuto reciproco. I lavoratori, ma anche i capi. L'uno dipendeva mutualmente dall'altro.
D. Perché mai il padrone, the boss, dipendeva dagli operai?
R.
 Allora il capitalismo aveva ancora bisogno di lavoratori locali. Era interesse del boss tenere la sua potenziale forza lavoro in buone condizioni. Buona salute, buona istruzione, buona forma. Magari anche una buona auto per andare al lavoro!
D. Ma a pagare il welfare era lo Stato.
R.
 A maggior ragione c'era bisogno del welfare. Con questo meccanismo, i capitalisti abbattevano anche il prezzo per avere forza-lavoro attraente. La comunità pagava loro buona parte dei costi.
D. Invece oggi?
R.
 Oggi le aziende non hanno più bisogno di lavoratori locali. Con la globalizzazione fanno arrivare manovalanza dall'Asia e dall'Africa. Oppure traslocano in Bangladesh.
D. L'industria è davvero finita in Europa?
R.
 Togliamoci dalla testa che ritorni. I disoccupati europei non sono più neanche potenziali lavoratori. La classe operaia - e più in generale la classe lavoratrice dipendente - sta scomparendo molto velocemente. Come nel 1900 accadde con i contadini.
D. Cosa resta nel continente?
R.
 Lo vediamo dai danni fatti. Da decenni i profitti non si fanno più dall'incrocio tra capitale e lavoro. Ma dall'incrocio tra prodotti e clienti. Occorreva tenere buoni i consumatori.
D. Come il welfare, anche le conquiste del 1968 sono polverizzate dalla crisi.
R.
 Da un punto di vista sociologico, rivalutato a posteriori, il movimento del '68 coincise con l'entrata dei cittadini nella società dei consumi. Fu questa la sua conseguenza più duratura.
D. Non le considera conquiste?
R.
 Il '68 fu una rivoluzione culturale, non c'è dubbio. E di certo, gli studenti che scendevano in strada volevano tutto, tranne che sdoganare la società dei consumi.
D. Ma?
R. Ma, volenti o nolenti, la conseguenza fu quella. Dall'austerità del dopoguerra emerse una nuova generazione che voleva godersi la vita, semplicemente.
D. È un paradosso.
R.
 Eppure è così. I sessantottini erano consumatori di mercato, pronti a cogliere le occasioni che si presentavano. Volevano divertirsi. Vestirsi alla moda. Crearsi identità diverse dalle precedenti. Essere liberi di provare piaceri temporanei. Alla lunga, anche gli iPhone sono una conseguenza del '68.
D. Anche l'amore liquido è una conseguenza del '68.
R.
 Gli appuntamenti su Internet, gli incontri di una notte («one night stand»)... Tutto è una conseguenza. È facile: ti diverti, poi premi il bottone delete, cancella. E tutto sparisce.
D. Nell'attimo, però, la soddisfazione è maggiore. Si conoscono più partner, si accumulano esperienze di vita.
R.
 Sì, ma il punto è che, nel tempo, ciò che dà soddisfazione è innanzitutto collezionare esperienze su esperienze. Una volta ottenuto l'oggetto del desiderio lo si getta via, per ottenerne subito un altro.
D. Il mio iPhone, però, non è l'ultimo modello. E l'ho preso pure usato.
R.
 Stia tranquilla che, presto, anche lei lo getterà nel sacco della spazzatura, per averne uno nuovo.

D. Si prende, si usa e si scarta. Eppure, 20 anni fa, lei guardava all'etica post-moderna come a un salto di qualità. La società liquida non era tutta da buttare.
R.
 Avevo, ahimè, sottovalutato l'ingegnosità del marketing capitalista. Pensavo che, dopo secoli di società solida, dove la moralità si identificava con il conformismo, fosse finita l'etica dell'obbedienza ai codici prestabiliti e iniziasse l'epoca dell'agire morale individuale. Un agire autentico e libero, dettato dalla responsabilità delle proprie scelte.
D. Perché non è andata così?
R.
 Nell'era dei consumi, anche l'etica e la moralità sono state commercializzate. In un'epoca dove sei rintracciabile ovunque e, pena il licenziamento, devi fare gli straordinari per il tuo capo, ti senti molto in colpa, per non essere un partner presente, un buon padre o una buona madre.
D. E allora?
R. Allora arrivano in soccorso i negozi. Con i regali cerchi di compensare i bisogni della tua famiglia. Come un prozac, sedano il tuo inappagato impulso morale.
D. Ma non risolvono i problemi.
R. Affatto. Scambiando i regali come tranquillanti, non sentirai mai che le relazioni umane vanno in pezzi. Togliendo il dolore, non cercherai più la guarigione e diventerai patologico.
D. Parla della situazione attuale?
R.
 Riducendo gli scrupoli morali ed evitando di affrontare i problemi, siamo arrivati dove siamo arrivati.
D. Eppure lei ha vissuto tempi peggiori: la guerra, i regimi, la discriminazione. È davvero così doloroso vivere oggi? E domani sarà davvero così difficile?
R.
 È sbagliato pensare alla società liquida, come a una società leggera e superficiale. Non ha senso comparare i livelli di felicità di epoche e generazioni diverse.
D. Perché?
R.
 Perché si confrontano astrazioni diverse. Per sentire la mancanza di qualcosa, devi prima provarne l'esperienza. Si può dire che ogni tempo abbia le proprie gioie e le proprie afflizioni. Ma non che oggi un giovane rimasto senza Facebook soffra meno che a vivere nel Medioevo.
D. Qual è lo scoglio più duro della crisi attuale?
R. La deprivazione. Quattro anni fa non sarebbe stato neanche immaginabile perdere la capacità di comprare una casa, di chiedere prestiti...
D. ... Persino non potersi permettere un'auto.
R.
 Eppure sarà così. Tornare allo stile di vita «happy & lucky» (felice e fortunato) del '68, o anche solo di un anno fa, sarà impossibile.
D. Se per l'etica era stato fiducioso, adesso lo è meno.
R.
 Se è per questo, come tanti ero stato anche troppo ottimista sul capitalismo.
D. Con il crollo dei consumi morirà il capitalismo?
R.
 Chissà. In passato molti hanno profetizzato la sua fine. Invece, visto che non siamo profeti, quando stava per morire il capitalismo è sempre risorto.
D. Come ha fatto?
R.
 Trovando strade inedite e sorprendenti, per fare profitti.
D. Anche il capitalismo è liquido?
R. Quanto meno flessibile e dotato di grande inventiva. È riuscito a trasformare la gente che aveva abitudine a risparmiare, in gente che spende denaro senza riserve. Un miracolo.
D. Ora anche il business del credito però sembra arrivato al capolinea.
R. Il capitalismo è in seria difficoltà e sembra assai improbabile che possa sopravvivere. L'ultima sua metamorfosi è grigia. Ormai il Prodotto interno lordo si regge su un'economia illusoria e intangibile, disconnessa dai problemi genuini della gente, che fa profitti solo spostando moneta.
D. Business virtuale.
R. Business per pochi. I soldi si muovono dalle tasche di un grande azionista verso le tasche di un altro grande azionista. Capace però di fare miracoli.
Giovedì, 27 Settembre 2012

martedì 23 ottobre 2012

RICERCATORI ALLA RICERCA!

Per conoscenza di tutti i parlatori fallibili di cui il consiglio di facoltà di Scienze politiche dell'Università della Calabria sembra essere farcito, riporto quanto scritto dal collega Gianfelice, che cita sentenza del TAR del LAZIO la quale dà, finalmente, ragione a quanto si va sostenendo da anni durante le lotte mensili all'interno del consiglio stesso: i ricercatori devono fare ricerca!
Che poi il mio quasi ex preside affermi che ripeto sempre le stesse cose, ebbene, che continui a dirlo!
Capiterà l'occasione per ribadire.

Intanto l'ex assessore alla Cultura della Regione Calabria, prof. ordinario, che abbiamo in Consiglio, convoca la seguente!!!


Cari colleghi,
unicalduemilaventi, promosso da un gruppo informale di docenti Unical, invita a partecipare al seminario di analisi e proposte
Quattro Regolamenti sbagliati, un’occasione per discuterne”.
L’incontro, che sarà coordinato dal prof. Domenico Cersosimo, si terrà il giorno 23 ottobre 2012 nello University Club a partire dalle 15:30.
Si allega la locandina col programma dell'evento.


meglio il 

TAR DEL LAZIO



è interessante notare che, al pari della sentanza del TAR della Puglia sez. di lecce (N. 01123/2012 REG.PROV.COLL. N. 00419/2011 REG.RIC.) che fa chiarezza sulla questione retribuzione della didattica curricolare erogata dai ricc., la sentenza del TAR del Lazio di cui al messaggio qui sotto, oltre a fare chiarezza sugli obblighi di presenza in sede per i ricc., rende anche loro giustizia circa la questione inerente gli obblighi didattici che questa particolare categoria di docenti universitari ha.

infatti, testualmente, il collegio scrive:

[...]
Il Collegio ritiene che ai fini della determinazione da assumere non si possa prescindere dall'esame della normativa di settore, d'altronde richiamata da entrambe le parti in causa che hanno prodotto memorie.
Ebbene, l'art. 6 l.n. 240/2010, al comma 3 prevede che: "I ricercatori di ruolo svolgono attività di ricerca e di aggiornamento scientifico e, sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti di didattica integrativa e di servizio agli studenti, inclusi l'orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell'apprendimento, fino ad un massimo di 350 ore in regime di tempo pieno e fino ad un massimo di 200 ore in regime di tempo definito".
Al Collegio appare sufficientemente chiaro che la norma indica che sia il regolamento di ateneo a stabilire modalità e criteri in ordine allo svolgimento di attività di ricerca e aggiornamento scientifico (attività "primaria" per un "ricercatore"), non quantificate nel loro ammontare orario, mentre per quel che riguarda i compiti (secondari per un "ricercatore") di didattica (infatti definita) "integrativa", di servizio agli studenti e di verifica dell'apprendimento il legislatore stesso ha fissato solo un limite massimo di 350 ore in regime a tempo pieno, che è quel che qui interessa. Nulla viene detto in ordine ad obblighi di presenza "fisica" giornaliera nelle sedi di ateneo.
Il successivo comma 7, poi, è ancora più esplicito nel prevedere che "Le modalità per l'autocertificazione e la verifica dell'effettivo svolgimento della attività didattica e di servizio agli studenti dei professori e dei ricercatori sono definite con regolamento di ateneo, che prevede altresì la differenziazione dei compiti didattici in relazione alle diverse aree scientifico-disciplinari e alla tipologia di insegnamento, nonché in relazione all'assunzione da parte del docente di specifici incarichi di responsabilità gestionale o di ricerca. Fatta salva la competenza esclusiva delle università a valutare positivamente o negativamente le attività dei singoli docenti e ricercatori, l'ANVUR stabilisce criteri oggettivi di verifica dei risultati dell'attività di ricerca ai fini del comma 8."
Anche qui al Collegio appare sufficientemente chiaro che la norma fa riferimento a modalità di "autocertificazione" per lo svolgimento della "secondaria" attività di cui al comma 3 e, nuovamente, al regolamento di ateneo per la verifica dell'effettivo svolgimento delle stesse. In sostanza, dal complessivo esame della norma, si rileva che l'attività "secondaria" in questione è fissata in un massimo orario annuale da attestarsi in "autocertificazione" con modalità individuate nel regolamento di ateneo. Nessuna considerazione in merito è estesa a delibere del Consiglio di amministrazione o a iniziative dei Presidi di facoltà.
[...]

Dunque al TAR del Lazio, contro l'avviso del MIUR, appare chiaro che l'attività principale dei ricc. univ.ri sia l'attività di ricerca e l'aggiornamento scientifico mentre quella didattica sia secondaria. Appare inoltre chiaro al collegio che quest'ultima sia costituita dalla didattica integrativa il cui limite superiore annuo eogabile ammonta a 350 ore, da certificarsi mediante autocertificazione.
su questo punto appare quindi chiaro che, come sottolineano i giudici del TAR, quanto recita il comma 7 dell'art. 4 della 240/2010 implica che l'ateneo deve esclusivamente regolare la modalità di autocertificazione dell'assolvimento degli obblighi didattici di proff. e ricc. prevedendo anche "la differenziazione dei compiti didattici in relazione alle diverse aree scientifico-disciplinari e alla tipologia di insegnamento".
è dunque evidentemente illegittimo prevedere una modalità distinta dall'autocertificazione dell'attività didattica di un docente.
inoltre, l'erogazione di didattica curricolare da parte dei ricc. non può essere quindi in nessun caso fatta oggetto di obbligo.
per svolgere questo compito, se lo desidera, il ric. deve esprimere il proprio consenso (per iscritto, secondo il CUN) ed essere remunerato secondo quanto previsto da un apposito regolamento d'ateneo.

appare evidente che tutto ciò mal s'accorda con quanto evidenziato dalla lettera aperta che alcuni colleghi hanno inteso qualche giorno fa inviare ai membri del SA dell'unical.

ovvero che, nel verbale della seduta del Senato Accademico del 5 Luglio u.s., durante la quale, nel passaggio relativo alla approvazione "Regolamento relativo ai compiti didattici dei ricercatori di ruolo
e alla determinazione della retribuzione aggiuntiva di cui all'art. 6, commi 3 e 4, della Legge 30.12.2010, n. 240", accedendo in data 8 Ottobre
agli atti approvati e pubblicati, nel testo del verbale compariva il passaggio seguente:
"Il Preside Perrelli e il Direttore Maggiolini concordano nel proporre che nel Regolamento di Ateneo si preveda tra i compiti del Direttore di Dipartimento quello di elaborare una relazione sulle attività` didattiche svolte nel Dipartimento stesso, in particolare, dai ricercatori, al fine di verificarne le ore integrative.
Il Senato Accademico approva all'unanimita` l'opportunita` di prevedere nel Regolamento di Ateneo tra i compiti del Direttore di Dipartimento quello di elaborare una relazione sulle attivita` didattiche svolte nel Dipartimento stesso, in particolare, dai ricercatori, al fine di verificarne le ore integrative, secondo quanto proposto dal Preside Perrelli e dal Direttore Maggiolini."
Benché, accedendo successivamente al verbale in data 9 Ottobre, il testo compare modificato come segue:
"Il Preside Perrelli propone che nel Regolamento di Ateneo si preveda tra i compiti del Direttore di Dipartimento quello di elaborare una relazione sulle attivita` didattiche svolte nel Dipartimento stesso, in particolare, dai ricercatori, al fine di verificarne le ore integrative.
Il Senato Accademico approva all unanimita` l opportunita` di prevedere nel Regolamento di Ateneo tra i compiti del Direttore di Dipartimento quello di elaborare una relazione sulle attivita` didattiche svolte nel Dipartimento stesso."

lascio a chi legge ogni commento, ma direi che la cosa si commenta da sola...

a tal proposito vorrei ricordare agli onorevoli senatori che il verbale dei lavori di un organo collegiale di un istituto della Pubblica
Amministrazione è un atto giuridico appartenente alla categoria delle
certificazioni, quale documento avente lo scopo di descrivere atti o
fatti rilevanti per il diritto, compiuti in presenza di un funzionario
pubblico cui è stata attribuita la funzione verbalizzante.
pertanto non può essere sostituito, semmai può essere rettificato dalla pubblicazione di una nota a ciò preposta.

se non erro la nostra università ospita anche la scuola superiore di scienza delle amministrazioni pubbliche.
sarebbe magari il caso che qualcuno ci facesse un giretto, casomai captasse qualche consiglio utile per lo svolgimento in modo consono della propria funzione di dirigente dello stato?

non fosse altro perché, in aggiunta alle politiche di smantellamento messe in atto già da diversi anni dalle ultime amministrazioni statali nei confronti dell'Università Pubblica Italiana, per lo più miopemente avallate o passivamente subite dalla sua classe dirigente, questa - ed in particolare il nostro ateneo - sta subendo un gravissimo danno d'immagine agli occhi della collettività, a causa di
comportamenti scellerati di chi vi opera, opportunamente amplificati da talvolta capziose testate informative spesso dedite al senzazionalismo piuttosto che all'inquadramento della notizia nella giusta dimensione.

guadagnarsi ulteriormente la ribalta fomentando il clima di conflitto tra ruoli o categorie che l'attuale riforma ha rinvigorito mi pare fuori luogo, soprattutto se, come appare evidente leggendo le summenzionate sentenze, si hanno argomenti deboli...

Non vorrei però che si commettesse l'errore logico, che peraltro taluni commettono, di pensare che portare allo scoperto, pubblicizzandoli adeguatamente, comportamenti anomali, magari addirittura illegittimi, di chi ricopre posizioni direttive in un istituzione pubblica, in fin dei conti non faccia altro che danneggiare l'immagine di quest'ultima, arrivando alla conclusione che pertanto, in ultima analisi, chi manifesta la volontà di scoprire le carte vada stigmatizzato in virtù del fatto che magari è meglio lavare i panni sporchi in famiglia... Infatti, un istituzione pubblica in quanto tale è un soggetto privo di volontà e pertanto non può essere accusata né di colpa né tantomeno di dolo.
Al contrario, è chi la anima e soprattutto chi è chiamato a dirigerla
un istituzione che, nel perseverare in comportamenti dubbi dal punto di
vista della correttezza istituzionale, le recano in ultimo un danno d'immagine.

cordialmente,

m.gianfelice

DOPPIA VELA


Gli Anonymous hanno violato il sistema informatico della PS.

Per consultare la documentazione si rimanda al link:

http://www.par-anoia.net/assessment/it/



COME AS YOU ARE