sabato 17 gennaio 2015

UN UOMO DA EVITARE

Il 17 gennaio 1943 comincia la ritirata dell'ARMIR dalla Russia.
Grazie al coraggio di alcuni reparti alpini, si riuscirà per ben tre volte a rompere l'accerchiamento sovietico e, alla fine, a riportare a casa la maggior parte di quei contadini travestiti da soldati, ignari del mondo e della guerra.

NAPOLITANO è quella a sinistra
Giovane intellettuale, comodo e prossimo ad iscriversi all'università, scriveva così nel 1941 un uomo che avrebbe giocato un ruolo fondamentale in seguito

 «L’Operazione Barbarossa civilizza i popoli slavi: dato che il nostro sicuro Alleato [è] lanciato alla conquista della Russia vi è la necessità assoluta di un corpo di spedizione italiano per affiancare il titanico sforzo bellico tedesco, allo scopo di far prevalere i valori della Civiltà e dei popoli d’Occidente sulla barbarie dei territori orientali.»
Lui era GIORGIO NAPOLITANO, in “BÒ”, giornale universitario del GUF di Padova, Luglio 1941.

Un uomo così non sarebbe MAI dovuto salire al Colle. Nella vita si fanno tanti errori. Alcuni, però sono imperdonabili nella vita pubblica di un paese. 

L'ARABIA SAUDITA MODERATA

http://www.liveleak.com/view?i=b89_1421360015



Esecuzione di una donna birmana in un parcheggio pubblico de La Mecca.

Anche in questo caso sono tutti uomini intorno a una donna che grida fino all'ultimo istante la propria innocenza.


The gruesome footage shows Saudi authorities publicly beheading the woman in the holy city of Mecca earlier this week. The execution is the tenth to be carried out in country in the last two weeks; setting 2015 up to be even more bloody than last year, when 87 people were punitively killed by the state.
The video shows the woman, a Burmese resident named as Lalia Bint Abdul Muttablib Basim, screaming while being dragged along the street. Four police officers then hold the woman down before a sword-wielding man slices her head then taking three blows to complete the act. The exceutioner is then found doing his usual habit in every execution: busy wiping his sword to prevent the rusting process of the blade.
Then the ambulance comes with a loud speaker that shouts out “this is the interior ministry” continuing verses from the Quran: “The punishment of those who wage war against Allah and His apostle and strive to make mischief in the land is that they should be murdered or crucified or their hands and their feet should be cut off on opposite sides or they should be imprisoned; this shall be as a disgrace for them in this world, and in the hereafter they shall have a grievous chastisement, Except those who repent before you have them in your power; so know that Allah is Forgiving, Merciful.”
In the chilling recording, Basim, who was found guilty in a Saudi Sharia court of sexually abusing and murdering her seven-year-old step-daughter and is heard protesting her innocence until the very end.
Saudi Arabia bases its legal system on Sharia and when it comes to the death penalty it can be given for armed robbery, drug-related offences, sorcery, adultery, murder, rape and apostasy from Islam.
Beheading is widely seen in the country as the most humane means of executing but death by stoning, crucifixion, and death by firing squad is also carried out in the holiest city in Islam.
Basim’s execution comes as the Saudi authorities are already under the spotlight for the public flogging of Raif Badawi, a blogger and political activist who was sentenced to 10 years in prison and a total of 1,000 lashings for insulting religious authorities.
Saudi Arabia carried out last year, nearly 87 executions, up from nine cases in 2013. Several  international human rights organizations demanded that Saudi Arabia stop the implementation of those provisions and replace them with other forms of punishment.

PUBLIC ASSASINATION OF A WOMAN





We saw the no-cesored version of this video. The woman is brutally assassinated. She was accused of adultery. The perpetrators should be perseguited for violation of human right and homicide.



We believe, that this is not the Islam. We believe, that any religion is love, not hate and death.

We belive that, although we are not beliviers.








martedì 13 gennaio 2015

COME ERAVAMO


NAJI-AL-ALI

Quando Israele volò fino a Londra per sparare ad un vignettista…

E’ il quotidiano israeliano Haaretz a comunicarci che domani in piazza, a Parigi, alla mastodontica manifestazione “per la libertà di espressione e la democrazia” sarà presente anche Benyamin Netanyahu.
Sotto il drappo nero e la scritta “Je suis Charlie” abbiamo visto scorrere, in queste giornate, tra le più terrificanti immagini di questi tempi e sicuramente domani, sull’asfalto parigino, assisteremo alla sagra della mostruosità.
Charlie Hebdo era irriverenza e blasfemia, lotta con qualunque arma all’oscurantismo: i caduti di quel giorno son gente nostra, son compagni, sono anarchici, sono blasfemi cazzari che hanno sempre odiato quel che questa gente è. Una rivista nata sull’antimilitarismo, sull’abbattimento del bigottismo e dell’oscurantismo, sulla presa per il culo di qualunque tipo di religione (che ci piaccia o no): chi riempirà le strade domani sarà proprio il nemico di quelle matite spezzate.
Poi, mi ripeto, veniamo a sapere che non ci sarà solo un inutile Renzi, no..
alla sfilata di domani ci sarà anche chi ha fatto scuola in materia di uccisioni di vignettisti: il primo ministro dello stato ebraico di Israele.
Sarebbe bello se domani in piazza Bibi Netanyahu ci raccontasse dove era il 22 luglio 1987, mentre su un marciapiede di Londra veniva colpito Naji al-Ali, disegnatore e vignettista palestinese,
papà premuroso di Handala, bimbo palestinese simbolo delle sue strisce di cui nessuno ha mai visto il mondo perché è sempre stato disegnato di spalle. Un bambino che rappresentava (e certo il piombo del Mossad non l’ha interrotto in questo suo compito) la resistenza palestinese e un intero popolo, un bimbo che si sarebbe girato per mostrare il suo volto solo una volta tornato a casa sua, solo una volta tornato libero, in terra di Palestina.
Il papà di Handala, colui che muoveva quella matita così fastidiosa, era un uomo straordinario: a 10 anni era stato un Handala anche lui, esule, cacciato dalla sua terra e abitante di arrangiate tende nel campo di Chatila in Libano.
Naji al-Ali con la sua matita, ogni giorno, anche dal più lontano esilio londinese, colpiva il nemico israeliano occupante con strisce sottili e pungenti, laceranti e dolci,
era un combattente instancabile, finchè Israele non decise di andarlo a cercare.Handala, di Naji al-Ali
Trovò la morte con un colpo in pieno volto, a molte miglia di distanza dalla sua terra profumata di Timo,
colpevole, con la sua ironia e le sue matite,
di combattere l’occupazione militare, l’esilio, l’impossibilità di ritorno, l’apartheid che ancora avanza.
Sarebbe bello chiedere a Netanyahu dove era in quel luglio del 1987 quando il volto di Naji veniva spappolato,
quando abbiamo perso per sempre la possibilità di vedere il volto del suo Handala.
Sarebbe bello che Netanyahu domani si guardasse allo specchio e lo vedesse lui il volto di Handala, intento a sputargli in un occhio, poco prima che raggiunge una manifestazione in nome della libertà di espressione e in ricordo di vignettisti “uccisi dal terrore”.
Vergognatevi.

AMNESIE UNIVERSITARIE

Oggi "la Stampa" ha intervistato Andrea Lenzi, presidente del
Cun, il Consiglio universitario
nazionale e docente di endocrinologia
alla Sapienza,sui concorsi universitari: 

Lenzi ha una lunga
esperienza di concorsi con
vecchio e nuovo sistema: «Non
tutti gli abilitati devono poter
partecipare a tutti i concorsi altrimenti
ci si troverebbedi fronte
a procedure infinite e i concorsi
diventerebbero ingestibili.Èpossibile,
quindi, che l’ateneo costruisca
un profilo concorsuale che si
adatti il più possibile al tipo di
professionalità che cerca. E poi
bisogna tener presente che in
Italiamanca la possibilità di avere
agevolazioni per la logistica.
Lo stipendio da associato è lo
stesso che si insegni a Milano, a
Palermo o a Cagliari: è difficile
che ci si trasferisca da un’università
all’altra senonsihannomotivi
personali per farlo». E più facile

che i candidati siano unici.

Nel 2009 lo stesso giornale pubblicava il seguente articolo sul concorso della figlia, ricercatrice senza dottorato di ricerca. Attenti alle connessioni e ai rapporti tra le persone. 
La figlia del presidente del Consiglio Universitario Nazionale si aggiudica la selezione per ricercatrice in Storia dell'Europa orientale 

Si chiama Francesca Romana Lenzi, ha 25 anni ed un padre che di mestiere fa il medico universitario e il presidente del Cun, il Consiglio Universitario nazionale, l’organo che va al ministero dell’Istruzione a parlare di riforme e che bacchetta professori e ricercatori quando qualcosa non va.

Quest’autunno Francesca Romana ha partecipato a un concorso, come ha raccontato ieri Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera: si cercava il candidato giusto per un posto da ricercatore in «Storia dell’Europa Orientale» all’Università degli Studi Europea di Roma, un piccolo ateneo voluto dai Legionari di Cristo.

Il concorso prevedeva due prove scritte da correggere secondo le regole delle selezioni pubbliche, una prova orale e una valutazione dei titoli e delle pubblicazioni attraverso giudizi individuali dei commissari.

Al concorso si iscrivono in tre ma alle prove si presenta solo lei, Francesca Romana Lenzi. Gli altri si sono ritirati, come se avessero fiutato di non avere speranze. D’altra parte il profilo della persona che si va cercando è piuttosto preciso e Francesca sembra avere davvero tutte le caratteristiche.

Sta frequentando il dottorato in «Storia dell’Europa» a La Sapienza e coordinatore di un dottorato sulla «Storia dell’Europa» a La Sapienza è il professore Antonello Biagini, lo stesso che presiede la commissione del concorso che Francesca Romana Lenzi supererà come unica candidata. Ha un solido impegno come volontaria in Romania e in Perù con la Lega Missionaria Studenti, un movimento giovanile legato ai Gesuiti. E vanta stage in Cile e al ministero degli Esteri.

E quindi il concorso lo supera. Da sola: tre voti favorevoli su tre commissari. Al telefono quando le si chiede un commento, una spiegazione, si tira indietro: «Non posso parlare». Tocca al padre, Andrea Lenzi, chiarire, proprio a lui che ha presentato al ministero dell’Istruzione pochi giorni fa la prima proposta del Cun sui criteri di valutazione degli atenei e dei loro docenti. Criteri che debbono essere rigorosi e trasparenti.

E il concorso vinto da sola dalla figlia è rigoroso e trasparente? «Solo chi non conosce il sistema universitario può stupirsi: la gran parte dei concorsi si svolge con un unico candidato». Gli altri due non si sono presentati perché sapevano di non potercela fare. «Sì, accade sempre così. Chi non supera il concorso rischia di rovinarsi il curriculum per cui si preferisce non presentarsi». Li si definisce concorsi tagliati su misura di un solo candidato. «Non in questo caso, e comunque invito chiunque a trovare un illecito nella selezione dell’Università degli Studi Europea».

Illeciti non ce ne sono, ma è vero che il presidente della commissione, Antonello Biagini, è anche il marito di una collega del padre di Francesca? «E’ vero - risponde Andrea Lenzi - ma sa quante persone conosco nel mondo dell’università? E sa in quanti mi hanno chiamato oggi per esprimermi solidarietà? A mia figlia è capitata l’occasione di presentarsi a un concorso ed ha un curriculum molto superiore ai parametri minimi, meritava di vincere».
Forse se non avesse avuto un padre presidente del Cun avrebbe vinto nello stesso modo, e senza tutto questo clamore. «Stamattina a mia figlia ho detto: ‘Sono onorato di essere tuo padre. Mi dispiace che per colpa mia tu debba subire questo linciaggio morale’. Nel mondo universitario se qualcuno alza un po’ la testa finisce sempre per prendere una randellata. Mi hanno fatto un piccolo dispetto, ma se questo è il prezzo da pagare per risollevare le università dal baratro in cui sono cadute come io sto facendo, è un prezzo che pago volentieri». 

CIARLATANO

lunedì 12 gennaio 2015

GUERRA AD ASSETTO VARIABILE

« Une guerre mondiale contre le terrorisme » : c’est le mot d’ordre de la communauté internationale. Depuis treize ans, cette guerre a abouti à une augmentation de la violence dans la région, et au chaos. Cette fois, la campagne rassemble à peu près tous les pays du monde, des Etats-Unis à l’Arabie saoudite, de la France à la Chine, de la Russie à l’Egypte, du Qatar au Maroc. Le seul problème est que personne n’est d’accord sur les objectifs de cette guerre, ni sur ce que recouvre ce mot — « terrorisme ». Je l’ai écrit souvent, dès le début de ce blog en 2006, le « terrorisme » est un concept vide de sens.
Lire « “Guerre contre le terrorisme”, acte III », Le Monde diplomatique,octobre 2014, en kiosques.Nous en avons eu ces derniers jours deux confirmations. Le premier au Kurdistan syrien. Les Etats-Unis ont confirmé qu’ils coordonnaient leurs bombardements sur Kobané, la ville attaquée par l’Organisation de l’Etat islamique (OEI), avec les combattants locaux. Comme le confirme Radio France Internationale (RFI), le 17 octobre (« Les Américains rencontrent les Kurdes, tout en ménageant Ankara ») : « La porte-parole du département d’Etat a pour sa part révélé que les Américains avaient eu à Paris leurs premiers contacts directs avec des Syriens kurdes, représentant le Parti de l’union démocratique (PYD), dont une milice combat actuellement les intégristes à Kobané. Le problème est que ce parti se rapproche, à la faveur des récents événements, du Parti des travailleurs du Kurdistan, le PKK, ennemi juré de la Turquie. » Ce que l’article ne dit pas, c’est que le PYD, comme le PKK, est classé par Washington et Bruxelles sur la liste des organisations terroristes. Ainsi donc, l’Occident peut avoir une coordination militaire avec des organisations terroristes. Quant au régime turc, qui ces dernières semaines a changé sa politique à l’égard des Kurdes, il avait lui-même ouvert une négociation avec les « terroristes » du PKK il y a deux ans.
Autre exemple — en dehors de la région qui nous occupe —, le Nigeria. On a entendu, depuis des mois, parler des exactions de Boko Haram [1], notamment l’enlèvement de jeunes filles, mais aussi des massacres de villageois. Or RFI annonce, le 18 octobre, un cessez-le-feu entre les autorités nigérianes et Boko Haram sous l’égide du Tchad : « Les deux parties ont accepté le principe d’un règlement de leur différend par le dialogue et convenu de poser des actes de bonne volonté. »
« Selon Ndjamena, poursuit l’article, “la récente libération des otages chinois et camerounais et l’annonce d’un cessez-le-feu constituent la concrétisation de ces engagements”. Les pourparlers, d’après les Tchadiens, ont “prévu également la libération par Boko Haram des jeunes filles enlevées à Chibok et celles de certains partisans de ce groupe détenus dans les prisons nigérianes”. Mais les modalités de ces libérations doivent encore être décidées. » Il serait donc possible de discuter avec cette organisation que les médias occidentaux ont présenté, depuis des mois, comme la quintessence du mal. Bien sûr, nul ne sait si le dialogue aboutira, mais le gouvernement a en tout cas décidé que c’était la voie à suivre.
Le danger, avec ce terme de « terrorisme, “à dimension variable” », c’est qu’il empêche la réflexion politique et donc toute stratégie efficace [2].
Lire Jacques Derrida, « Qu’est-ce que le terrorisme ? », Le Monde diplomatique, février 2004.Quelques mois avant sa disparition en octobre 2004, il y a tout juste dix ans, le philosophe français Jacques Derrida rencontrait l’Allemand Jürgen Habermas pour penser le « concept » du 11-Septembre. Leur dialogue philosophique, retranscrit dans les colonnes du Monde diplomatique, mérite d’être (re)lu aujourd’hui [3] : « La terreur organisée, provoquée, instrumentalisée, en quoi diffère-t-elle de cette peur que toute une tradition, de Hobbes à Schmitt et même à Benjamin, tient pour la condition de l’autorité de la loi et de l’exercice souverain du pouvoir, pour la condition du politique même et de l’Etat ? »

Notes

[1] Lire Alain Vicky, « Aux origines de la secte Boko HaramLe Monde diplomatique, avril 2012.
[2] Lire Alexis Varende, « Du bon usage du mot “terrorisme” et de quelques autres termes », Orient XXI, 14 octobre 2014.
[3] Lire « Symptômes du 11-Septembre », par Giovanna Borradori.



dal sito 

http://blog.mondediplo.net/2014-10-19-Terrorisme-a-geometrie-variable