giovedì 20 febbraio 2014

EURORIVOLUZIONE


E' eurorivoluzione. EUROMAJDAN, lo slogan principale dei rivoluzionari ucraini, scesi in piazza mesi fa contro le decisioni del capo dello Stato, Yanukovich, di interrompere momentaneamente le consultazioni con l'Unione Europea, si sta realizzando in pratica. Nelle ultime ore la rivolta è diventata sollevazione generale in gran parte del paese. A Kiev gli scontri si sono estesi ad altre parti della città intorno a Majdan; la metropolitana è stata chiusa e le principali arterie stradali bloccate dai manifestanti. Impossibile uscire o entrare. Nelle altre città da ieri sera si spara. Bande di giovani, tra loro molti appartenenti a gruppi apertamente di destra, hanno assaltato i municipi nei principali centri del paese. La piazza è tornata in mano ai civili, mentre la Rada, il parlamento ucraino, è riunito nel tentativo di fermare la violenza facendo proprie le richieste dei manifestanti: dimissioni di Janukovich, nuova costituzione, nuove elezioni. La squadra olimpica ucraina intanto ha lasciato Sochi, dimostrando una volta di più - se ce ne fosse ancora necessità - che le Olimpiadi sono politica prima che sport.  Il gesto potrebbe aiutare il tentativo della politica di riportarsi al centro della dialettica con la piazza, in questo a Kiev momento calma e ben protetta dai manifestanti. Ruslan Kusholinski, vice presidente del parlamento, dirige la seduta della Rada, alla quale sono presenti 227 deputati su circa 350. Stanno decidendo la nomina di un nuovo primo ministro e mutamenti costituzionali che vanno incontro alle richieste delle fazioni in lotta nelle strade.  Le decisioni sono prese per alzata di mano. Dopo anni di tentativi di fare del paese la base avanzata delle pressioni occidentali su Mosca, nel modo peggiore, si è molto vicini all'obiettivo. 

La testimonianza (raccolta da Davide Denti)


L’eurodeputata lettone Sandra Kalniete, e il parlamentare Ojārs Ēriks Kalniņš sono arrivati stamani a Kiev, per rendersi conto personalmente della situazione e cercare di verificare le possibilità di mediazione e di risoluzione della drammatica crisi in Ucraina, che anche oggi dopo la ripresa degli scontri ha fatto registrare molte vittime e feriti.
La Kiev che hanno trovato è immersa in una situazione tragica e nello stesso tempo surreale, secondo le prime informazioni che Sandra Kalniete ha dato ai media lettoni.
La situazione qui cambia di ora in ora, dopo la tregua di ieri notte, stamani sono ripresi gli scontri e i disordini. Le vie della città sono piuttosto vuote e la situazione è triste e carica di tensione. Anche noi siamo stati avvertiti di fare attenzione e non possiamo andare troppo in giro per la città, in particolare non possiamo avvicinarci troppo all’epicentro degli scontri in Piazza della Repubblica”.
L’ambasciata lettone a Kieve è situata a circa 1 km. di distanza da piazza della Repubblica dove sono in corso gli scontri, e già nei giorni scorsi e soprattutto nelle ultime ore diversi dimostranti sono arrivati in ambasciata per trovare riparo e anche cure.
L’ambasciata lettone ha infatti ricevuto istruzioni, come altre ambasciate, di aprire le porte alle persone che hanno bisogno di soccorso o di riparo. Dal ministero degli esteri lettone è appena giunto anche l’ordine di chiudere i servizi consolari e lasciare due numeri di telefono per le urgenze, ma per il momento non è stata sospesa l’attività dell’ambasciata né viene progammata una sua evacuazione.
“Qui le persone vogliono incontrarci – prosegue Kalniete – e sono molto grati quando rappresentanti di altri paesi giungono a Kiev. Fanno molto affidamento sulle ambasciate straniere”.
La Kalniete ritiene che l’ambasciata lettone dovrebbe essere tenuta aperta anche in questa situazione di massima crisi: “Siamo stati già coraggiosi in altre situazioni passate, non abbiamo chiuso l’ambasciata in Georgia durante la guerra recente, e neanche quella di Tokio dopo il terremoto, quando gran parte delle altre ambasciate avevano evacuato le loro sedi. Quel gesto fu molto apprezzato dai giapponesi.”
La Kalniete, che è stata anche ministro degli esteri lettone, ha spiegato ai media il motivo del suo arrivo a Kiev: “Vogliamo testimoniare la nostra solidarietà e il nostro sostegno. Queste non sono solo parole vuote, poiché io ricordo bene nel 1991 i politici stranieri che giunsero in Lettonia, a darci il segno che non eravamo soli. Noi vogliamo invitare le parti al dialogo politico, poiché la violenza in questa situazione può condurre solo ad un vicolo cieco”.















In 

mercoledì 19 febbraio 2014

MEDICI SENZA FRONTIERE

Grecia: i tagli non finiscono mai. Queste settimane il taglio riguarda l'intera rete statale degli ambulatori specialistici (nello specifico l'Ente nazionale per la Prestazione dei Servizi Sanitari) del Paese. Ieri si sono registrate manifestazioni da parte dei medici, alcuni dei quali si sono rifiutati di consegnare gli edifici pubblici che ospitano i poliambulatori del servizio sanitario nazionale, così come ha previsto il ministro nell'ambito della chiusura delle sedi in tutto il Paese. Il Ministero della Salute chiede infatti ai medici Eopyy di chiudere i loro uffici privati​​, di aspettare per il nuovo incarico o di dimettersi dalla sanità pubblica in caso di disaccordo con il nuovo sistema. L'ultima riforma del sistema sanitario greco minaccia di rendere l'accesso dei pazienti all'assistenza sanitaria di base più difficile in quanto molte strutture saranno da chiudere. Soprattutto nel sud del paese e sulle isole, i pazienti sono a rischio di dover coprire le lunghe distanze al fine di ottenere l'ovvio
.

martedì 18 febbraio 2014

RIVOLUZIONE UCRAINA

In Ucraina si può parlare di rivoluzione. Come finisca nessuno può dirlo ma nel momento in cui sto scrivendo le forze in piazza sembrano avere il sopravvento rispetto alla polizia, a Kiev come in altre città. Non si tratta di guerra civile. Non ci sono, per ora, due gruppi di civili distinti in opposizione tra loro ma un'opposizione organizzata che si trova di fornte forze di polizia. Polizia che ha registrato morti (le armi non mancano in piazza, non sono mai mancate nell'ex Unione Sovietica ai civili) e che sembra questa notte non essere in grado di resistere. I poliziotti presi vengono "arrestati" dagli attivisti, portati fuori dalla piazza, dietro a un palco dal quale dirigono attraverso un grande impianto le operazioni. Mentre la piazza brucia si muovono le diplomazie europee che cercano di fermare l'escalation. L'esercito, per adesso, non è intervenuto, ma si trova in massima allerta. Ma usarlo può essere un rischio. Nessuno sa come potrebbero reagire i giovani soldati. Sul palco un pope recita una preghiera, poi viene intonato l'inno nazionale. In questo momento, ore 0,30 locali, si spara. Le bandiere ucraine non si abbassano, i dimostranti non indietreggiano. La piazza resiste. 

domenica 16 febbraio 2014

L'ECCIDIO DI DOMENIKON





Il 16 febbraio 1943, dopo un attacco partigiano in Tessaglia contro il Regio Esercito, su ordine del comandante della divisione Pinerolo, il generale Cesare Benelli, che controllava la zona, il tenete colonnello Antonio De Paula, comandante del II gr. Lancieri «Milano», raggiunse Tyrnavos e Domeniko. Gli uomini furono divisi da anziani, bambini e donne per essere interrogati. Sedici furono immediatamente passati per le armi. Il villaggio di Domeniko fu raso al suolo dall’aeronautica. 97 abitanti furono fucilati a Damasi, una radura non lontana dal villaggio e nascosta dalla strada, dopo la mezzanotte del 17 febbraio. Si salvarono in sei; uno riuscì a scappare, cinque furono solo feriti e la notte si trascinarono fuori dal cumulo di cadaveri. Altri 41 persone furono fucilate perché catturate nel tentativo di sfuggire all’accerchiamento. Complessivamente, esclusi i partigiani, persero la vita 118 abitanti di Domeniko, 5 di Damasios e 12 di Mesochorio. Anziché rendersi conto della barbarie, il generale Benelli, che aveva seguito le direttive della circolare di Carlo Geloso del 3 febbraio, che stabiliva la responsabilità collettiva della popolazione greca per le azioni partigiane, concluse la sua relazione affermando che la distruzione del paese di Domeniko s’imponeva come «lezione salutare a tutti gli abitanti della zona che hanno dato un fortissimo contributo alle bande». A Domeniko, a dire di Benelli, trovavano rifugio noti comandanti comunisti responsabili in passato di aggressioni di automezzi civili nei pressi del paese. Il tenente colonnello De Paola veniva proposto per un encomio solenne con la seguente motivazione: «Comandante di autocolonna, incaricata di sbloccare un nostro reparto attaccato da forte banda armata e di compiere un’azione di repressione, con calma, implacabile energia ed intelligente azione di comando, assolveva perfettamente e completamente tutti i compiti che gli erano stati affidati»[1]. Come si vedrà parlando dei crimini di guerra, il generale Benelli sarebbe stato inserito nella lista dei militari ricercati dalla Commissione delle Nazioni Unite insieme ad Antonio Festi[2] per «mass murder and other crimes» commessi in Grecia e in particolare, «murder; systematyc terrorism, execution of hostages; wanton devastation and destruction of property; confiscation of property»[3]


[1]  Comando della Divisione di Fanteria Pinerolo, Ufficio del Capo di S.M., sez. Operazioni e Servizi al Comando del III Corpo d’Armata, 23 febbraio 1943. Oggetto: Fatti d’arme di Domeniko, in Archivio privato di Stathis Psomiadis, Larisa.
[2]    Sul suo ruolo, Koinotita Domenikou, op. cit., p. 171.
[3]    United Nations War Crimes Commission, Secret, List N. 43, October 1946, p. 167 in Archivio privato di Stathis Psomiadis.