Michail
Chorodkovskij, il cinquantenne ex capo della holding petrolifera Yukos, in
carcere in Russia da ormai dieci anni, è stato graziato dal presidente Vladimir
Putin e liberato la mattina del 20 dicembre dal campo di lavoro della cittadina
di Segezha, nella Repubblica di Carelia, non lontano dalla Finlandia. La
notizia della liberazione di Chodorkovskij, considerato un prigioniero di
coscienza da molte organizzazioni per i diritti civili in Russia e all’estero,
tra cui l’importante “Memorial”, il Comitato per i diritti umani dell’Assemblea
Parlamentare del Consiglio d’Europa e Amnesty International, è giunta del tutto
inattesa. Si aspettavano, al contrario, nuove accuse e un altro processo, dopo
che nel corso della detenzione Chodorkovskij aveva subito una nuova pena fino al 2017 in seguito a un secondo giudizio
per furto di capitali.
La prima condanna a nove anni per l’allora giovane
imprenditore, arrestato nell’ottobre del 2003 nel contesto di un’ampia operazione
contro oligarchi ostili al presidente Putin, fu per evasione fiscale e associazione
a delinquere finalizzata al controllo delle privatizzazioni, che negli anni
Novanta del secolo scorso furono il mezzo usato da qualche migliaio di uomini
nuovi, in generale trentenni, per una rapida scalata che li mise in grado di muovere
una vasta parte dell’economia post-sovietica. Una diaspora al loro interno
sulla figura del nuovo presidente li divise in “buoni” e “cattivi” o, anche,
“vincenti” e “perdenti”. Mentre i primi sostennero Putin, ricevendo incarichi
prestigiosi all’interno dell’amministrazione, o un benevolo lasciapassare per
l’estero come il famoso presidente del Chelsea Roman Abramovich (premiato anni
dopo con un governatorato per la sua rinnovata fedeltà), altri morirono in
circostanze violente, costretti all’esilio o messi in carcere. Il più noto
esule, Boris Berezovskij, che durante la presidenza di Boris Eltsin era stato l’uomo
più influente del paese (fu direttamente coinvolto nella rielezione di Eltsin
del 1996 e sostenne con vigore la soluzione pacifica della questione cecena), è
morto a Londra il 23 marzo scorso. Si è dissolto così un centro estero in grado
di coagulare l’opposizione militante nei confronti del sistema putiniano, una
specie di governo in esilio che ricordava i tanti esecutivi più o meno
“sopportati” (e poi messi da parte per questioni di Realpolitik) proprio a
Londra durante la seconda guerra mondiale. Da allora la figura di Chodorkovskij
ha perso importanza, ma questa liberazione non può non essere messa in stretto collegamento
con la prossima apertura delle olimpiadi invernali, a Sochi fra 50 giorni. Dopo
le annunciate defezioni di importantissimi capi di stato e di governo (François
Hollande, Angela Merkel e Barak Obama per fare solo i nomi più noti) come
protesta contro la legge che discrimina gli omosessuali in Russia, arriva un
gesto distensivo e rassicurante, anche se ingannevole. Se si resta ai numeri,
Chodorkovskij in realtà ha scontato quasi tutto. In pratica, la condanna inflittagli
con il primo processo, più un anno e due mesi. Tenendo conto del cumulo delle
pene e dei benefici di legge, sarebbe stato liberato nell’agosto del 2014. Non
un grande sforzo, dunque.
Quindi, a dispetto degli interventi per una sua liberazione
anche di personaggi pubblici di primissimo piano (tra loro Elie Wiesel e la
vedova di Andrej Sacharov, Elena Bonner), la Federazione Russa ha tenuto il
punto a sufficienza per dimostrare con chiarezza – ed è una discontinuità rispetto
al passato sovietico quando invece la mobilitazione internazionale per i
prigionieri di coscienza giocava un ruolo importante – che alla fine dipende
tutto solo e sempre dalla volontà del Cremlino e dal suo tornaconto immediato. Perché
il rilascio di Chodorkovskij è comunque un punto a favore di Putin, anche se si
aprono scenari interessanti. La liberazione è avvenuta sulla base di una
richiesta di grazia e si dovranno valutare le condizioni dietro le quale è
stata concessa. Se molti, tra gli oppositori del presidente, vedono nell’ex
prigioniero un naturale candidato alle elezioni presidenziali, queste sono
ancora lontane (2018) ed è ancora presto per ogni illazione. Il fatto, però, che
si possa ritirare a vita privata è da escludere vista la mobilitazione in suo
favore di questi anni e le richieste che sicuramente arriveranno per una sua
presenza attiva nella vita politica o almeno sociale del paese; nel 2006, del
resto, dal carcere Chodorkovskij stesso si era candidato per le elezioni
parlamentari, non avendo ancora perso i diritti civili.
Qualche giorno fa ci ha lasciato a Parigi Natal’ja
Gorbanevskaja, una delle più note dissidenti del periodo sovietico,
protagonista di una celebre protesta sulla Piazza Rossa contro l’invasione
della Cecoslovacchia il 25 agosto 1968, che durante questi dieci anni aveva unito
la sua voce a quella di tanti altri per la liberazione di Chodorkovskij. Mentre
si trovava in un campo di lavoro, Joan Baez scrisse per lei una canzone che poi
cantò in tutti i suoi concerti fino alla liberazione della donna. Il nome di
Michail, invece, resterà per sempre legato a quello del grande compositore Estone
Arvo Pärt, che nel 2009 gli ha dedicato la sua quarta, e finora ultima,
sinfonia.