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domenica 8 settembre 2013

PIANO MIKE



Cosa accadde il 9 maggio 1978? Dopo artificieri e servizi segreti, giovani di leva e email anonime, una ricostruzione basata sulla documentazione accessibile, conservata presso l'archivio del Senato.
L'ipotesi di istituire una ennesima nuova commissione d'inchiesta è stata un'uscita estiva estemporanea, che cadrà presto assieme al governo (anzi, non se ne parla più). Sarebbe utile solo se l'impostazione andasse nella direzione di sbugiardare tutti i dietrologi. Non credo che, però, era quella l'intenzione dei promotori. Comunque, nel caso, Marconista è disponibile al confronto, con tutti.



Il 9 maggio 1978, poco dopo mezzogiorno, l’allora militante delle Brigate rosse Valerio Morucci telefonò a un assistente di Aldo Moro per comunicargli le ultime volontà del presidente della Democrazia Cristiana e il luogo in cui era stato lasciato il suo corpo. La telefonata venne intercettata dalla Questura di Roma, che in un rapporto dello stesso giorno conservato presso l’archivio del Senato riferisce:

“Intorno alle ore 12,10 odierne, personale dipendente ha intercettato una telefonata pervenuta all’abitazione del prof. Giuseppe Tritto, assistente dell’onorevole Moro presso la cattedra di diritto e procedura penale della locale università. Con detta telefonata, un anonimo ha comunicato che l’onorevole Moro era stato ucciso ed il corpo si trovava in una Renault rossa targata Roma N-5 parcheggiata in via Caetani. Sono stati subito fatti confluire sul posto elementi della DIGOS, agli ordini di un funzionario, i quali hanno effettivamente trovato un’autovettura Renault 4 di colore amaranto targata Roma N-57686 [...] All’interno, nel vano portabagagli della citata autovettura, è stato notato un plajd che copriva qualcosa di voluminoso ma non definibile. Per ovvi motivi di sicurezza è stato inviato sul posto un artificiere, il quale ha provveduto ad aprire la macchina. Sotto il plajd, coperto da un cappotto, è stato trovato il corpo privo di vita di un uomo, che è stato riconosciuto per l’onorevole Moro”.

Fu, dunque, l’intercettazione a far scattare l’operazione di recupero della salma: sul posto fu inviato un gruppo di agenti, quindi un artificiere mentre la zona intorno a via Caetani veniva isolata. Si tratta di una ricostruzione attendibile, logica, lineare, o quella mattina, com’è stato ipotizzato recentemente sul sito www.vuotoaperdere.it, ci fu un doppio ritrovamento, cominciato prima della telefonata di Morucci?
Per rispondere a questa domanda sono state consultate le carte acquisite dalla Commissione Stragi conservate presso l’Archivio del Senato. Il documento della Questura indica come orario d’inizio dell’operazione le ore 12,10. Da quel momento viene messo in atto il protocollo previsto in caso di ritrovamento senza vita dell’ostaggio, il “piano Mike” (dove Mike sta per Moro morto), concordato dopo il comunicato numero 9 delle Br, quello di “eseguendo la sentenza”, tra il ministro degli Interni, Cossiga e il competente ufficio della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma guidato allora dal dott. Guasco, sostituto del procuratore generale Pascalino. Il protocollo prevedeva quanto segue:

Immediato avviso al Procuratore Generale della repubblica dott. Pascalino e al sostituto dott. Guasco per obbligatorio sopralluogo. 2) Occorre far giungere sul posto gli artificieri, per scongiurare eventuali trappole esplosive. 3) Il luogo del ritrovamento deve essere completamente isolato: prima della autorizzazione del magistrato, nessuna autorità (fatta eccezione della polizia scientifica e per un ristretto numero di investigatori) può accedere (più ministro dell’Interno – presidente del Consiglio – alte autorità di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza – esclusa la famiglia). 4) Dare immediato avviso al prof. Silvio Merli (medico legale) e al prof. Antonio Ugolini, e accompagnarli sul posto. 5) Va predisposto un contestuale rigoroso servizio d’ordine davanti all’abitazione ed allo studio dell’on. Moro. 6) L’ente (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza) che per primo avrà notizia, dovrà dopo l’immediato avviso al magistrato, avvertire gli altri due Enti.

Il piano era stato inviato in plichi riservati tra il 5 e il 6 maggio al capo di Stato Maggiore del Comando generale dei Carabinieri, al capo di Stato Maggiore del Comando generale della Guardia di Finanza, al Questore di Roma, al Comandante della legione dei Carabinieri di Roma, al Comandante della legione della Guardia di Finanza di Roma e ai seguenti dirigenti del ministero degli Interni: Silvestro Tricarico, Giuseppe Pansini, Gianlorenzo Fiore, Emilio Comes, Donato Colonna, Nuzio Rapisarda, Francesco Congiusta, Raffaele De Astis, Renato Nicastro, Enzo Mosino e Mario Licciardello. Contestualmente, “il ministro [degli Interni] telefona a: Leone, Andreotti, Ingrao, Fanfani, Zaccagnini, Berlinguer”, ossia le quattro cariche più alte dello Stato e i segretari dei due maggiori partiti.
Dal momento dell’intercettazione si segue quanto previsto: sul luogo viene inviata una pattuglia, quindi sono chiamati gli artificieri incaricati di aprire l’auto e lasciare che gli inquirenti possano procedere ai successivi rilevamenti. Secondo i ricordi di Marco Tosatti, il giornalista che per primo diede la notizia del ritrovamento di Moro, la volante giunse in via Caetani – che egli percorreva ogni giorno – proprio mentre stava rientrando a casa per pranzo; ne scesero due agenti, aprirono il portellone, scorsero un corpo, lo richiusero e avvertirono i superiori per telefono (le notizie importanti in quel periodo non passavano mai per la radio di servizio, facilmente intercettabile). Nell’arco di una mezzora via Caetani era bloccata e piena di agenti e autorità. L’auto – di cui vengono aperti prima gli sportelli, quindi con delle cesoie il portabagagli – è ispezionata da più persone. Il già citato rapporto della Questura afferma che nella Renault “è stato reperito anche un borsello, contenente oggetti personali della citata personalità. La zona è stata quindi isolata, con l’ausilio di un contingente di guardie di PS per consentire gli ulteriori accertamenti del caso. La salma del presidente della DC è stata infine traslata all’obitorio, dove, da un primo esame, sono state rilevate varie ferite da arma da fuoco, coperte con tamponi, all’altezza del cuore. Nelle scarpe e nei risvolti dei pantaloni del defunto sono state trovate tracce di sabbia”.
Quanto tempo può aver richiesto l’operazione? Dal momento della telefonata di Morucci all’apertura dell’auto, almeno un’ora, se tutti sono stati veloci e non si è formata una comprensibile confusione. Al massimo due ore, arrivando ragionevolmente all’apertura dell’auto tra le 13 e 30 e le 14. Secondo Tosatti, quando vide arrivare la prima pattuglia era “tarda mattinata” e il giornale per cui lavorava, “Stampa Sera”, era in chiusura. A dire di un altro giornalista, Franco Alfano, che all’epoca lavorava per la tv commerciale romana “GBR” e che fu tra i primi a giungere in via Caetani, quando gli artificieri aprirono gli sportelli della R4 e scoprirono il cadavere, “erano circa le 14”.
Nonostante fosse noto che in via Caetani probabilmente era stato ritrovato il corpo di Aldo Moro, il TG1 delle 13,30 non aprì con la notizia. I brigatisti presenti in via Montalcini, la prigione del popolo, che avevano visto partire prestissimo la Renault 4 per il centro di Roma, non capirono il ritardo e, come scrivono nelle loro memorie, se ne preoccuparono. Solo in coda all’edizione, poco dopo le 14, Bruno Vespa diede la conferma.
Cosa accadde in via Caetani? Perché tanto tempo prima di rendere pubblica la notizia? Si volle forse nascondere qualcosa? Apparentemente (e io credo anche sostanzialmente), no. La situazione era stata già delineata nel protocollo “Mike” e prevedeva di dare, in caso di ritrovamento di Moro morto, “notizie in forma dubitativa all’ANSA e notizie in forma dubitativa alla RAI TV (Basili)”. Dunque, il ritardo è voluto dalla Procura generale della Repubblica e dal ministero degli Interni per ritardare il più possibile l’arrivo dei giornalisti e, anche, per estendere a tutta la penisola il controllo dell’ordine pubblico in previsione di reazioni di massa. Poco dopo la diffusione della notizia attraverso i mezzi di informazione nazionale, la polizia procede ad alcune perquisizioni nella zona: il 10 maggio 1978 il dirigente della Digos dr. Corrias, comunica alla Questura di Roma che alle ore 14,30 del 9 e alle 15 del 10 maggio, “personale dipendente unitamente at squadra verifiche habet effettuato accurata ispezione cantiere via Michelangelo Caetani nr. 32 con esito negativo” (si tratta del palazzo accanto al quale fu lasciata la Renault, che all’epoca era in ristrutturazione). Dunque, con sicurezza alle 14,30 del 9 la zona intorno alla macchina con il cadavere di Moro viene perquisita dalla Digos. Il giorno 11, quindi, si passa alla chiesa adiacente e a una serie di box, viene interrogato un falegname che era aperto il 9 e che poteva controllare con lo sguardo un cortile dietro via Caetani. Altri testimoni, infine, in una strada di passaggio perché sede di una importante biblioteca romana, ricordano di aver notato la Renault poco dopo le 8,10 del mattino.
Alla luce di tutto ciò, è forse ragionevole pensare che qualcuno possa aver trovato il cadavere di Moro prima delle 12,10 e possa essere riuscito a mantenere segreti i sopralluoghi degli artificieri, sopralluoghi avvenuti necessariamente con la zona isolata, per poi attendere la telefonata delle Br e predisporre tutto da capo? Francamente, la logica e il buon senso, oltre alle carte conservate in Senato e ad alcune testimonianze oculari, portano a escludere tale possibilità. Chi si sarebbe assunto la possibilità di lasciar esplodere un’eventuale auto-bomba in pieno centro di Roma?
Qualcosa, però, effettivamente accadde quel il 9 maggio 1978, in via Caetani. Qualcosa di importante, che in un punto stravolse il piano Mike. Questo, a differenza del piano Viktor (Moro vivo), prevedeva che la famiglia non avesse accesso alla zona del ritrovamento. Nel corso dei 55 giorni, per vari e gravi motivi, i rapporti tra la famiglia Moro e lo Stato si erano incrinati, al punto che – si legge in più di un documento – la famiglia dell’ostaggio, più che di aiuto, risultava di “intralcio” alle indagini. Le ultime volontà di Moro, invece, indicavano che il suo corpo dovesse essere restituito ai familiari. Si aprì così una contraddizione all’interno delle autorità incaricate di gestire il ritrovamento, che portò probabilmente a un rallentamento delle operazioni. Cossiga e il sostituto procuratore della Repubblica dovevano decidere se e in che termini cambiare il punto 3 del protocollo.
E, in effetti, le ultime volontà di Moro furono rispettate, al punto che le istituzioni avrebbero inscenato un macabro funerale alla presenza di tutte le maggiori cariche dello Stato, ma senza il corpo del presidente democristiano.
Alla luce di quanto si è visto consultando le carte della Commissione stragi, carte il cui contenuto è indirettamente confermato da alcuni testimoni oculari molto attendibili, in quanto autori di articoli firmati quello stesso giorno, l’ipotesi di un doppio ritrovamento, così come quella, ormai datata, del “doppio ostaggio”, risulta ostica da un punto di vista logico e, quando si cercano, non sostenuta da riscontri documentali adeguati. 

domenica 30 giugno 2013

ARTIFICIERI




il manifesto
Via Caetani 35 anni dopo «Cossiga vide il cadavere prima della telefonata Br»
di Andrea Colombo 

A prenderla per buona la notizia è effettivamente clamorosa: il corpo di Aldo Moro sarebbe stato ritrovato, il 9 maggio 1978 in via Caetani, con circa un'ora di anticipo sulla telefonata con cui Valerio Morucci, alle 12,13, avvisò il professor Franco Tritto dell'avvenuta esecuzione. L'allora artificiere Vito Antonio Raso sostiene ora di essere arrivato in via Caetani molto prima, in seguito a una segnalazione anonima che denunciava la presenza di una macchina forse esplosiva, e di aver scoperto prima delle 12 il cadavere del presidente della Dc. Non solo: l'allora ministro degli interni Francesco Cossiga sarebbe arrivato molto prima dell'orario ufficiale, intorno alle 14, addirittura prima della scoperta del corpo, insieme al capo della Digos romana Spinella e al colonnello dei carabinieri Cornacchia, braccio destra del generale Dalla Chiesa.


La testimonianza è allo stesso tempo confermata e smentita dal superiore diretto di Raso, maresciallo capo Giovanni Circhetta. Anche lui sostiene che il corpo del leader democristiano fu ritrovato in realtà tra le 11 e le 12. Le due versioni però differiscono in alcuni elementi centrali. Circhetta esclude che la segnalazione dell'auto sospetta sia partita da una telefonata anonima. Cita anche lui un colonnello dei carabinieri che poteva essere Cornacchia ma non nomina Cossiga. Afferma inoltre di essersi recato in via Caetani, poco dopo le 11, perché messo al corrente del rinvenimento del corpo di Moro. Raso invece sostiene di aver iniziato a perlustrare l'abitacolo della Renault quanto Cossiga e Cornacchia si erano già allontanati, e di aver trovato la salma nel bagagliaio molto più tardi. 

Non sono particolari secondari. Se la doppia testimonianza fosse in qualche modo confermata, significherebbe che Cossiga se ne tornò tranquillamente in ufficio pur sapendo che il corpo di Moro giaceva in via Caetani, senza avvertire nessuno, aspettando la rivendicazione ufficiale. In questo caso sarebbe inevitabile chiedersi perché il ministro decise di prendere tempo. Circhetta parla anche di una busta, forse contenente una lettera, che si trovava sul sedile anteriore della Renault e della quale non si è mai più saputo niente. Ma anche se così fosse, nulla impediva a Cossiga e di far sparire la lettera e comunicare lo stesso ai familiari di Moro e al paese intero la notizia. Se poi si desse credito alla versione di Raso, le domande si moltiplicherebbero: non ci capisce infatti cosa stavano a fare Cossiga e il braccio destro di Dalla Chiesa in via Caetani addirittura prima che il cadavere fosse rinvenuto. Raso sostiene che Cossiga non sembrava stupito. Ma, anche a prescindere dal valore delle sensazioni personali dell'artificiere, resterebbe inspiegabile la presenza di Cossiga prima e non dopo il ritrovamento del cadavere.

 «A caldo - sostiene lo storico Marco Clementi, uno dei pochi che si sia occupato seriamente e non dietrologicamente della vicenda - la mia impressione è che Circhetta racconti davvero come è andato il ritrovamento, ma giocando o equivocando sugli orari. Insomma che stia parlando di quel che successe dopo e non prima la telefonata di Morucci. Anche perché, nella stessa intervista, dice di non aver segnato nel verbale l'orario del ritrovamento della salma perché era "un dato di dominio pubblico"». C'è una ragione in più per prendere con le pinze la versione dei due artificieri: il fatto cioè che abbiano scelto di raccontare una verità così clamorosa solo dopo la morte di tutti i protagonisti della vicenda, Cornacchia, Cossiga e infine Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio. Raso aveva già fatto qualche accenno in un suo libro peraltro anch'esso recente, L'uomo bomba , ma in termini molto più vaghi ed ellittici. Se da un interrogatorio molto più approfondito di quanto non si possa richiedere ai giornalisti dell' Ansa e del sito web www.vuotoaperdere.org che ieri hanno raccolto le due interviste, la versione fosse confermata significherebbe che, almeno sul fronte dello stato se non su quello brigatista, buona parte di quella storia è ancora nascosta. In caso contrario, si tratterebbe dell'ennesima bufala spacciata per rivelazione deflagrante. Non che ce ne siano