Pubblica Saviano su FB, in evidente ambasce dopo che la notizia dell'assoluzione di Paolo Persichetti, da lui denunciato per diffamazione, finalmente è diventata di contezza nazionale.
Scrive, dunque, lo scortato:
"Ho ripensato a quando nell'agosto del 2009 Giovanni Impastato, fratello di Peppino, mi invitò a Cinisi, nella pizzeria estiva di famiglia. Un posto divenuto il simbolo delle iniziative antimafia, un luogo di resistenza. La resistenza di una madre, Felicia Impastato, che per trent'anni ha aspettato che fosse fatta giustizia per suo figlio, che i responsabili della sua morte venissero riconosciuti tali e condannati. A giugno di quello stesso anno, due mesi prima, era uscito “La bellezza e l’inferno” una raccolta di miei scritti che comprendeva anche un ricordo che nel 2004 avevo pubblicato su Nazione Indiana, in occasione della scomparsa di Felicia Impastato. Giovanni Impastato mi invitò a Cinisi per presentare il mio libro e il suo, “Resistere a Mafiopoli”, che dava il nome all’evento organizzato dall’associazione Peppino Impastato - Casa della Memoria e dal Centro Siciliano di Documentazione “G. Impastato”. Erano giorni difficili quelli, perché Gaetano Pecorella aveva detto pubblicamente che non era ancora chiaro il movente dell’omicidio di Don Peppe Diana. Decidemmo con Giovanni Impastato di dedicare quell’incontro – erano presenti anche l’allora Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso e il giornalista Francesco La Licata – alla memoria di Don Peppe. Nella corrispondenza di quel tempo, che conservo scrupolosamente, chiesi a Giovanni di poter visitare la tomba di Peppino e di Felicia Impastato, cosa che facemmo, insieme a Ciccio La Licata e alla mia scorta.
A Cinisi, pensando a Peppino Impastato, ricordai e condivisi con i presenti ciò che mi disse Enzo Biagi dopo avermi intervistato. "Non ti perdoneranno mai". Io pensavo ai camorristi, ma lui intendeva tutti gli altri. Avrei solo con il tempo capito quelle parole. Ecco, ciò che negli anni mi ha più colpito è la trasversalità con la quale mi si odia, da destra a sinistra, camorristi, brigatisti, Berlusconi, antimafiosi, intellettuali. Mi detesta anche chi non ha mai letto un mio scritto. Mi si attacca cercando e trovando le alleanze più inconsuete.
Di solito mi scrollo il fango di dosso, pensando che sia il prezzo da pagare, ma su questo non ce la faccio. Su questo ho deciso di non tacere, per il rispetto profondo che provo per la memoria di Felicia Impastato e per il disprezzo profondo per chi, odiando me, lorda chiunque trovi sulla sua strada.
Quando nel 2000 è uscito “I cento passi” e nel 2001 e nel 2002, con le condanne di Vito Palazzolo e Tano Badalamenti, si è chiuso il processo sull’omicidio di Peppino Impastato che durava dal 1984, ho pensato a quanto l’arte, in qualunque sua forma, abbia la forza di riaccendere i riflettori su vicende fondamentali che restano però nella cura e nella memoria di comunità attive ma esigue. Un film aveva giocato un ruolo essenziale perché l’Autorità Giudiziaria desse una risposta definitiva su un caso che ormai ciascuno sentiva vicino. Un film aveva avuto il merito di creare un’urgenza sociale. Un’urgenza giudiziaria. Dopo “I cento passi” nessuno poteva più dire di non conoscere Peppino Impastato e la sua vicenda. Queste parole le avevo scritte in un libro, “La parola contro la camorra”, pubblicato nel 2010, e sono valse la diffida all’editore Einaudi dal presidente del Centro Siciliano di Documentazione “G. Impastato” (lo stesso che solo qualche mese prima mi aveva invitato a Cinisi) e una lettera a Fabio Fazio e Paolo Ruffini, con la quale si intimava – “come il ministro Maroni” (cito testualmente) – un invito a Vieni via con me o a presentare un libro a Che tempo che fa per replicare a quanto avevo affermato sui meriti del film.
Quante cose si volevano estorcere per una mia valutazione, mia e non vincolante, non offensiva. E quanto ora si mistifica il racconto di quella telefonata con Felicia Impastato di cui avevo scritto per la prima volta nel 2004 e poi nel 2009, ma che assume importanza solo ora, quando diventa vitale screditarmi.
Le mie valutazioni su “I cento passi” non erano piaciute nemmeno a un ex brigatista condannato a 22 anni e 6 mesi di carcere per l’omicidio del generale dell’aeronautica Licio Giorgieri. Non avrei avuto titoli, secondo lui, per parlare di Peppino Impastato – sulla cui morte ci sono stati depistaggi da parte delle forze dell’ordine – perché “marionetta nelle mani di alcuni apparati” (anche qui, cito testualmente le parole del terrorista). Ecco, per questa affermazione e altre simili, ho presentato una querela che è stata archiviata perché il Giudice le ha ritenute espressione del diritto di critica. Accetto serenamente la decisione del magistrato, ma non le mistificazioni. Si è detto che il Giudice avrebbe stabilito che la telefonata che Felicia Impastato mi fece prima di morire sarebbe una mia invenzione. FALSO. Mai nelle motivazioni dell’ordinanza, che ognuno può leggere online, si afferma questo. E soprattutto in nessun passaggio si dice che non sia avvenuta. È una cosa terribile. La nuora di Felicia Impastato dice: “La madre di Peppino non aveva il telefono e faceva le telefonate tramite me. Non mi risulta che abbia telefonato a Roberto Saviano. Faccio notare che mia suocera è morta nel 2004 e il libro Gomorra è uscito nel 2006”. Una ragazza aveva letto i miei articoli e ne aveva parlato alla signora Felicia incontrandola a Cinisi. Le aveva passato me al telefono, all’epoca sconosciutissimo scrittore. Non avevo ancora scritto Gomorra e mandavo come gesto di omaggio gli articoli che scrivevo. Non è detto che ci si ricordi di un ragazzo che scrive di camorra e che nessuno conosce. Appunto, erano anni precedenti al 2004 e Gomorra esce solo nel 2006. Del resto, se avessi mentito, perché Giovanni Impastato mi avrebbe invitato a Cinisi nel 2009 per parlare di Peppino? Perché mi avrebbe portato sulla tomba di suo fratello? Avevo già scritto della telefonata con Felicia Impastato nel 2004 e poi ancora nel 2009, proprio nel libro che Giovanni Impastato mi aveva invitato a presentare. Perché non contestarmi la veridicità della telefonata in quel momento? Perché farlo ora? La macchina del fango urla falsità. Le urla ai tuoi amici, a chi ti è vicino. Cancella e mistifica la verità.
Nel 2004 quando Felicia Impastato morì, scrissi poche parole. Parole non richieste. Parole che non cercavano ricompensa. Quale ricompensa avrei mai potuto avere da un'anziana signora che non c'era più? Parole che nessuno o in pochissimi avrebbero letto. Non mi interessava, volevo ricordarla Felicia. Volevo ricordare il suo coraggio e la sua tenacia. Ma spesso gli amministratori della memoria ufficiale di chi non c'è più non hanno scrupoli. Non ci pensano troppo a trascinare nel fango chiunque. Attaccate me, come avete sempre fatto, con le solite accuse, ma lasciate stare chi nella vita ha avuto il coraggio di guardare negli occhi un mafioso e dirgli “fosti tu” a uccidere mio figlio.
Mi disgusta che le parole livorose di un ex brigatista condannato per omicidio, sostenute dal fango berlusconiano e alimentate da persone che volevano ottenere da me favori di promozione televisiva, provino a lerciare un mio ricordo scritto nove anni fa. Questo ho detto al Giudice in udienza e questo ritengo importante dire oggi: non intendo voltare la faccia di fronte a tanta meschinità. Lo devo al ragazzo che ero e a Felicia. Questo è il ricordo che scrissi della sua figura; mi farebbe piacere non venisse lordato."
Scrive, dunque, lo scortato:
"Ho ripensato a quando nell'agosto del 2009 Giovanni Impastato, fratello di Peppino, mi invitò a Cinisi, nella pizzeria estiva di famiglia. Un posto divenuto il simbolo delle iniziative antimafia, un luogo di resistenza. La resistenza di una madre, Felicia Impastato, che per trent'anni ha aspettato che fosse fatta giustizia per suo figlio, che i responsabili della sua morte venissero riconosciuti tali e condannati. A giugno di quello stesso anno, due mesi prima, era uscito “La bellezza e l’inferno” una raccolta di miei scritti che comprendeva anche un ricordo che nel 2004 avevo pubblicato su Nazione Indiana, in occasione della scomparsa di Felicia Impastato. Giovanni Impastato mi invitò a Cinisi per presentare il mio libro e il suo, “Resistere a Mafiopoli”, che dava il nome all’evento organizzato dall’associazione Peppino Impastato - Casa della Memoria e dal Centro Siciliano di Documentazione “G. Impastato”. Erano giorni difficili quelli, perché Gaetano Pecorella aveva detto pubblicamente che non era ancora chiaro il movente dell’omicidio di Don Peppe Diana. Decidemmo con Giovanni Impastato di dedicare quell’incontro – erano presenti anche l’allora Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso e il giornalista Francesco La Licata – alla memoria di Don Peppe. Nella corrispondenza di quel tempo, che conservo scrupolosamente, chiesi a Giovanni di poter visitare la tomba di Peppino e di Felicia Impastato, cosa che facemmo, insieme a Ciccio La Licata e alla mia scorta.
A Cinisi, pensando a Peppino Impastato, ricordai e condivisi con i presenti ciò che mi disse Enzo Biagi dopo avermi intervistato. "Non ti perdoneranno mai". Io pensavo ai camorristi, ma lui intendeva tutti gli altri. Avrei solo con il tempo capito quelle parole. Ecco, ciò che negli anni mi ha più colpito è la trasversalità con la quale mi si odia, da destra a sinistra, camorristi, brigatisti, Berlusconi, antimafiosi, intellettuali. Mi detesta anche chi non ha mai letto un mio scritto. Mi si attacca cercando e trovando le alleanze più inconsuete.
Di solito mi scrollo il fango di dosso, pensando che sia il prezzo da pagare, ma su questo non ce la faccio. Su questo ho deciso di non tacere, per il rispetto profondo che provo per la memoria di Felicia Impastato e per il disprezzo profondo per chi, odiando me, lorda chiunque trovi sulla sua strada.
Quando nel 2000 è uscito “I cento passi” e nel 2001 e nel 2002, con le condanne di Vito Palazzolo e Tano Badalamenti, si è chiuso il processo sull’omicidio di Peppino Impastato che durava dal 1984, ho pensato a quanto l’arte, in qualunque sua forma, abbia la forza di riaccendere i riflettori su vicende fondamentali che restano però nella cura e nella memoria di comunità attive ma esigue. Un film aveva giocato un ruolo essenziale perché l’Autorità Giudiziaria desse una risposta definitiva su un caso che ormai ciascuno sentiva vicino. Un film aveva avuto il merito di creare un’urgenza sociale. Un’urgenza giudiziaria. Dopo “I cento passi” nessuno poteva più dire di non conoscere Peppino Impastato e la sua vicenda. Queste parole le avevo scritte in un libro, “La parola contro la camorra”, pubblicato nel 2010, e sono valse la diffida all’editore Einaudi dal presidente del Centro Siciliano di Documentazione “G. Impastato” (lo stesso che solo qualche mese prima mi aveva invitato a Cinisi) e una lettera a Fabio Fazio e Paolo Ruffini, con la quale si intimava – “come il ministro Maroni” (cito testualmente) – un invito a Vieni via con me o a presentare un libro a Che tempo che fa per replicare a quanto avevo affermato sui meriti del film.
Quante cose si volevano estorcere per una mia valutazione, mia e non vincolante, non offensiva. E quanto ora si mistifica il racconto di quella telefonata con Felicia Impastato di cui avevo scritto per la prima volta nel 2004 e poi nel 2009, ma che assume importanza solo ora, quando diventa vitale screditarmi.
Le mie valutazioni su “I cento passi” non erano piaciute nemmeno a un ex brigatista condannato a 22 anni e 6 mesi di carcere per l’omicidio del generale dell’aeronautica Licio Giorgieri. Non avrei avuto titoli, secondo lui, per parlare di Peppino Impastato – sulla cui morte ci sono stati depistaggi da parte delle forze dell’ordine – perché “marionetta nelle mani di alcuni apparati” (anche qui, cito testualmente le parole del terrorista). Ecco, per questa affermazione e altre simili, ho presentato una querela che è stata archiviata perché il Giudice le ha ritenute espressione del diritto di critica. Accetto serenamente la decisione del magistrato, ma non le mistificazioni. Si è detto che il Giudice avrebbe stabilito che la telefonata che Felicia Impastato mi fece prima di morire sarebbe una mia invenzione. FALSO. Mai nelle motivazioni dell’ordinanza, che ognuno può leggere online, si afferma questo. E soprattutto in nessun passaggio si dice che non sia avvenuta. È una cosa terribile. La nuora di Felicia Impastato dice: “La madre di Peppino non aveva il telefono e faceva le telefonate tramite me. Non mi risulta che abbia telefonato a Roberto Saviano. Faccio notare che mia suocera è morta nel 2004 e il libro Gomorra è uscito nel 2006”. Una ragazza aveva letto i miei articoli e ne aveva parlato alla signora Felicia incontrandola a Cinisi. Le aveva passato me al telefono, all’epoca sconosciutissimo scrittore. Non avevo ancora scritto Gomorra e mandavo come gesto di omaggio gli articoli che scrivevo. Non è detto che ci si ricordi di un ragazzo che scrive di camorra e che nessuno conosce. Appunto, erano anni precedenti al 2004 e Gomorra esce solo nel 2006. Del resto, se avessi mentito, perché Giovanni Impastato mi avrebbe invitato a Cinisi nel 2009 per parlare di Peppino? Perché mi avrebbe portato sulla tomba di suo fratello? Avevo già scritto della telefonata con Felicia Impastato nel 2004 e poi ancora nel 2009, proprio nel libro che Giovanni Impastato mi aveva invitato a presentare. Perché non contestarmi la veridicità della telefonata in quel momento? Perché farlo ora? La macchina del fango urla falsità. Le urla ai tuoi amici, a chi ti è vicino. Cancella e mistifica la verità.
Nel 2004 quando Felicia Impastato morì, scrissi poche parole. Parole non richieste. Parole che non cercavano ricompensa. Quale ricompensa avrei mai potuto avere da un'anziana signora che non c'era più? Parole che nessuno o in pochissimi avrebbero letto. Non mi interessava, volevo ricordarla Felicia. Volevo ricordare il suo coraggio e la sua tenacia. Ma spesso gli amministratori della memoria ufficiale di chi non c'è più non hanno scrupoli. Non ci pensano troppo a trascinare nel fango chiunque. Attaccate me, come avete sempre fatto, con le solite accuse, ma lasciate stare chi nella vita ha avuto il coraggio di guardare negli occhi un mafioso e dirgli “fosti tu” a uccidere mio figlio.
Mi disgusta che le parole livorose di un ex brigatista condannato per omicidio, sostenute dal fango berlusconiano e alimentate da persone che volevano ottenere da me favori di promozione televisiva, provino a lerciare un mio ricordo scritto nove anni fa. Questo ho detto al Giudice in udienza e questo ritengo importante dire oggi: non intendo voltare la faccia di fronte a tanta meschinità. Lo devo al ragazzo che ero e a Felicia. Questo è il ricordo che scrissi della sua figura; mi farebbe piacere non venisse lordato."
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