mercoledì 15 maggio 2013

SERA A SCHWABHAUSEN



Leningrado, 15 maggio 1988, casa dello studente «Korablstroiteli».
Diario di Thomas

Ieri Lisa è partita per Budapest e stamattina Ignat mi ha consegnato questa lettera:


Le radici dell’aurora affondano nel clivio dei tuoi occhi, che socchiusi riemergono dal mare come una dama dall’ottomana. Attendo il sogno concavo e le mattine andate del mio tempo presente che sono nelle notti bianche che verranno, grandi e umide come i miei occhi. Sarò la natura fragile di una farfalla di maggio abbandonata sotto forma di battello da te, l’enfant plein de tristesse che ha compiuto un sacrificio, a tuo ben dire, necessario. Già conoscevo il buio dell’oblio in cui mi ricacciasti, abbrutito come quel custode che, di fronte alla cittadella, non aspettò neanche la morte dell’astante, e chiuse le porte con un ghigno. Le tue mani di angelo, ferite e cieche, cedono al tempo in solitarie carezze contro il mio viso scarlatto ricoperto del sangue nero esploso dentro ai capillari dei miei occhi. Amasti il mio seno vermiglio e le perle della mia fronte ad una ad una, chino, raccogliesti, dopo aver spezzato il filo rosa, mentre tutto intorno l’aria bollente sgocciolava cera sul mio cuore quel 10 aprile, quando rientrammo in camera dopo che mi avevi portato fin sopra il lucernario di quel palazzo del centro per vedere la città odiata. L’uguaglianza ti turba, non è vero? Ti turba da quando ti sei chiesto per la prima volta: ma io sono amato? Dimmi Thomas, ricordi sempre che cosa ti ho detto domenica 10 aprile? Per me è ancora così, ma con una correzione, poiché Mozart venne seppellito in una fossa comune, e la moglie Constance non ebbe i soldi se non per un funerale di terza classe. A presto.
Ti allego questa poesia di Harold Gerlach, (che tu conoscerai senz’altro).  Si intitola 

Sera a Schwabhausen:

Tesa come su un tamburo la pelle
cede se mi sforzi piano,
per non ferire.
Tra noi il ricordo
di tutto ciò che non sapevamo.
Logorati a vicenda.
Respinta la mano irrigidita,
incerti i gesti,
sospesi fra noi.
Nomi, definizioni:
parole al macero.
Nulla più da perdere:
è questa la libertà?
Sapevamo che nulla resta valido.
A lungo sembrò possibile un’intesa.
Intorno lo sfacelo di villaggi deserti.
Separarci,
poi che il profilo si perde nella luce calante degli addii, irrevocabile,
unica via per restare noi stessi.

La poesia è molto bella. Io, però, non riesco proprio a ricordare che cosa mi abbia detto il 10 aprile.   

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