Leningrado, 12 maggio 1988, casa di Anastasija e Vladislav.
Diario di Anastasija
Tra poco rientrerà Vladislav dal lavoro, girerà la chiave nella toppa e aprirà la porta, silenziosamente, per non svegliarmi. Libererà dal fodero la chitarra e l’appenderà al muro accanto al frigorifero. Metterà a bollire l’acqua per il tè e si chiuderà in bagno. Poco dopo ne uscirà, verserà l’acqua nella teiera ove avrà messo in precedenza alcune foglie di tè, coprirà la teiera con una bambola, si accenderà una papiroska, la fumerà seduto sui talloni sopra uno sgabello ripensando alla sua musica e alle sue teorie con un leggero sorriso, verserà il tè bollente dentro la tazza blu, spegnerà la cicca e comincerà a bere lentamente con gli occhi socchiusi. Finita la prima tazza ne verserà una seconda, avendo aggiunto all’infuso altra acqua, che intanto aveva continuato a bollire su di una lieve fiamma, accenderà una seconda papiroska e berrà ancora, gustando nella bocca il sapore del tè georgiano mischiato a quello del tabacco russo. Poi aprirà la porta della stanza, ne supererà lentamente l’uscio, si spoglierà e occuperà la parte di letto che gli lascio libera. Mi sussurrerà “ciao matuška”,* chiuderà gli occhi e si risveglierà solamente verso le tre del pomeriggio. Tutto questo farà Vladislav tra qualche istante, senza minimamente sospettare che poche ore prima Lara aveva lasciato scivolare due dita affusolate dentro quello stesso pacchetto di papiroski, ne aveva tirata fuori una, portandola alle labbra, l'aveva accesa, con avidità aveva dato una profonda boccata, aveva alzato gli occhi per guardare il fumo uscire dalla bocca e poi li aveva richiusi, premendo forte la mia mano contro il suo seno, da ore offerto alla vista dei miei ospiti. “Il silenzio ha conficcato nel petto tutte le torce spente delle frontiere”, recitava Lara, mentre io sognavo oltre la finestra, ed era come se non ci fosse più nessuno, soltanto io, lei, il silenzio rumoroso come i passi del nemico, poi nemmeno quello, più nessuno, se non me, ingannata. Destata da un fruscio mi sono voltata e la stanza si era svuotata per la diserzione dei nemici. Lara mi ha preso per mano e mi ha condotto verso la finestra. In piedi, in silenzio, nuda e illuminata da una notte bruna, ha indicato Venere dietro al cielo verde. Fissando il pianeta ha scandito:
Lungo il margine delle tue spalle prolungo la mia voce
Al di là del tempo sopra i tuoi occhi nudi
Il decoro
A mio modo rispetto
Piena di luce attraversi le stagioni diafane
E labirinti sono i fiumi sopra la città invisibile
dove si scorge appena l’orizzonte
Il tempo
Paradigma meschino
Descrive il mio rincorrere l’età
Irresponsabile il tempo
Questo grande malato di disordine
Lara si è voltata e ha baciato le mie labbra, poi le sue mani mi hanno fatto stendere sul letto, hanno sfiorato la mia fronte e sono scese fino ai capezzoli. Il piacere ha avuto il sopravvento sulle mie paure e ho premuto forte la sua testa verso il ventre. Ho osservato il corpo di Lara muoversi nella penombra chiara, tornare dalla cucina con due caffè e stendersi di nuovo accanto alle mie braccia. Dopo qualche minuto mi ha fatto alzare in piedi, si è rivestita, mi ha condotto davanti alla porta, mi ha baciato ancora ed è scomparsa.
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