Chiamarla
riforma è un'autentica bestialità. Perché non dà una forma nuova,
non cambia pedagogicamente proprio nulla, rispetto ai danni già
apportati, s'intende. Perché non è altro che l'attuazione di un dovere da
parte dello stato di garantire ai suoi cittadini il lavoro, come
previsto dalla Costituzione. Peccato che questo dovere se lo siano
dimenticato e che oggi venga imposto sottoforma di sanzione
dall'Unione Europea.
Dunque
ora, nero su bianco, sono obbligati ad assumere definitivamente poco
meno di 150 mila persone. La legge prevede che le assunzioni siano
per il 50% dalle graduatorie permanenti, nelle quali, è bene
ricordarlo, gli insegnanti stazionano da almeno 15 anni, e per il 50%
dalle nuove graduatorie formatesi dopo il concorso del 2012. Siccome
però la sentenza dell'Unione Europea impone di assumere chi già
abilitato da molti anni si è visto rinnovare il contratto senza
essere mai assunto definitivamente, la legge va cambiata per poter
immettere in ruolo il 90% di chi è iscritto nelle graduatorie
permanenti. Olé.
150
mila docenti non sono pochi. Ci saranno cattedre sufficienti per
tutti? Il governo, che si è fatto due conti, ipotizza che circa 43
mila rinunceranno volontariamente all'assunzione dato che
negli ultimi 3 anni non hanno accettato supplenze (pag 27). Come è
possibile che 43 mila persone coi tempi che corrono rinuncino
a un lavoro fisso?! Devono essere pazzi. No. Per capire perché
probabilmente in molti rinunceranno, cerchiamo di spiegare come si
intende immettere in ruolo e cosa succederà nella scuola e ai
docenti. Analizziamo parte delle 136 pagine che il governo si è
affrettato a pubblicare ai primi di settembre, molto in anticipo
sulla scontata sanzione europea, tanto per dimostrare che gli
italiani sono di buona volontà. Quanto è stato scritto lascia spazio a diversi dubbi ed incertezze, ma si può evincere che la
chiamata sarà su scala nazionale e che non necessariamente sarà
nella classe di concorso per la quale si è abilitati e nella quale
già si lavora: bisogna essere flessibili e venire incontro alle
esigenze geografiche e didattiche della penisola (pag 27). Vuol dire
che, una volta esauriti i candidati iscritti in una provincia (non è
scritto a chiare lettere, ma si spera che dimostrino buon senso e
partano da lì), si passa ad offrire la cattedra con tutta probabilità, ma neanche su questo non ci sono indicazioni certe, al primo col
punteggio più alto sul territorio nazionale. Ricordo ancora che la
stragrande maggioranza dei docenti in questo paese è costituita da
donne (andate a vedere i grafici che lo stesso governo pubblica a pag
18), che nei 15 anni di precariato hanno, come penso molti colleghi maschi, probabilmente formato una
famiglia, avuto dei figli, magari hanno la fortuna di avere un marito
che lavora, magari hanno avuto l'ardire di comprare casa. Poniamo che
l'insegnante viva a Terni, insegni matematica in un liceo (ha
l'abilitazione solo per insegnare matematica alle superiori), nella
sua provincia non ci sono più posti disponibili, le offrono una
cattedra a Torino. Può capitare che la nomina non sia in un istituto
superiore, ma alle medie (perché lì c'è bisogno), dove mai avrebbe
voluto insegnare, perché coi ragazzini non ci sa stare, non li
capisce, perché i contenuti della materia sono molto meno stimolanti per lei. Ora che fa? Accetta e
lascia i figli “soli” 6 giorni su 7 (perché avere il sabato
libero è una chimera per l'ultimo arrivato)? Li sradica da scuola e
amici? Chiede al marito di cercarsi un lavoro in Piemonte? Rinuncia e
butta via laurea e abilitazione, anni di aspettative, anni in cui ha
investito le sue energie creative, le sue passioni per far crescere i
figli degli altri? Ma è un problema suo, lo stato le offre il
lavoro, se poi rinuncia...
Certamente
altri rinunceranno perché magari lavorano in una paritaria o in una
privata o hanno effettivamente cambiato lavoro. E beati loro a questo
punto.
Ma
anche così non ci saranno posti per tutti, neppure accorpando
spezzoni, neppure reintroducendo, in minimissima parte,ore di
insegnamenti eliminate dalla ristrutturazione degli indirizzi,
eliminazione che ha portato a sopprimere cattedre non più
necessarie. Dunque come risolvere? Creando una figura nuova: il
docente organico funzionale. Questi insegnanti assunti a tempo
indeterminato non avranno una loro cattedra, ma: “saranno a
disposizione delle scuole, o delle reti di scuole, sia per svolgere
gli altri compiti legati all'autonomia e all'ampliamento dell'offerta
formativia (insegnamenti extra-curricolari, predisposizione di
contenuti innovativi per la didattica [contenuti qui significa uso lo
strumento tablet piuttosto che fotocopie, non pensiate ai contenuti
in termini di conoscenze, ricordatevi che da anni i programmi
nazionali come li abbiamo conosciuti sono stati aboliti, ora ci sono
le indicazioni nazionali che fissano gli obiettivi da raggiungere,
che cosa tu ci metta dentro, ma meglio se non ci metti molto, sono
fatti tuoi], progettualità di vario tipo, affiancamento ai
tirocinanti, ecc.); sia, anche in questo caso, per coprire le
supplenze brevi.”, le quali “non apportano infatti molto dal
punto di vista della didattica e dell'apprendimento”.(pag 24) Già
perchè si tratta al massimo di poche settimane e naturalmente è
impossibile programmare qualunque cosa. È evidente che l'organico
funzionale è manodopera: oggi in quella scuola a tot chilometri
manca il prof. vacci tu, domani in quell'altra manca il tale vai
sempre tu, quell'istituto (nel quale mai hai lavorato) avrebbe
bisogno di un progettino: tu che sei bravetta pensane uno, e via di
seguito. Ma il governo si rende conto di quanto potrebbe essere
frustrante per un insegnante essere assunto e fare tutto fuorché
insegnare e pensa bene di creare mobilità interna: chi ha la
catterdra può passare ad organico funzionale e viceversa. Geniale
vero?
Come
geniale è rivedere lo status giuridico degli insegnanti (e i
sindacati firmeranno, ve lo assicuro!) per introdurre i crediti
didattici, formativi, professionali al fine di valutarli e farli
progredire nella carriera. Progredire nella carriera qui significa un
aumento di stipendio che si ottiene ancora una volta facendo molto
altro oltre che insegnare. Ma pare che entusiasmo e motivazione
derivino unicamente da incentivi di natura economica, così almeno è
ripetuto più volte ne “La buona scuola”.
E “La
buona scuola” prevede che i dirigenti tornino ad occuparsi di
scelte educative (però!), possano “scegliere i docenti che
coordinano attività di innovazione didattica, valutazione,
orientamento e premiarne, anche economicamente, l'impegno”.( pag
64) Si sta introducendo una sorta di chiamata diretta, anche se non
ancora per l'attività di didattica in aula, che potrebbe avere un
suo senso, se non fossimo in Italia, dove gli insegnanti saranno una
volta di più alla mercè del più forte. (pag 68)
Inoltre:
siccome gli organi colleggiali non devono esistere per porre veti ed
intralciare il lavoro del dirigente come oggi spesso ahimè accade,
vanno riformati (pag 71). Qui però il governo va cauto e si limita
ad una proposta.
Meno
male che puntano sulla scuola come risorsa per il futuro, per la
democrazia, che hanno a cuore gli insegnanti, che li vogliono
formati, entusiasti, felici e pagati, altrimenti chissà dove
andremmo a finire.
Ci
sarebbe ancora molto molto da dire, ma mi fermo: sono certa che il
governo in carica o chi per esso mi darà modo di scrivere ancora.
A.Z.
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