martedì 25 novembre 2014

Storia di E*



Ottant'anni e ancora non ti stancheresti di guardarla. Il viso parla di una bellezza passata da urlo. L'ovale del viso incorniciato dalle onde argentee dei capelli ancora folti, gli zigomi alti, la bocca dal disegno preciso e pieno, l'arco delle sopracciglia un semicerchio perfetto, gli occhi verdi appena scuriti dall'età, la pelle liscia dal colore d'alabastro senza neppure una macchia, liscia che è un piacere darle una carezza... una carezza per calmare quello sguardo spaventato e inquieto, come fosse un animale braccato.
Incontro E* nell' ospedale dove siamo entrambe ricoverate. Veramente non dovrebbe essere nel mio reparto, ma il personale è poco e hanno unito temporaneamente il mio e il suo. Ora sta di fronte a me. Si passa una mano sul viso a intervalli regolari, a controllare che sia tutto in ordine, a controllare di esserci ancora. A volte si guarda le mani, i palmi, i dorsi. Le mani deformate dall'artrosi, i palmi piatti come una tavola e gli indici storti che si guardano. L'unico arto che muove, le mani. E* non parla, non comunica realmente con nessuno.
Conosce solo il letto qua dentro. Giorni come la notte e notti come il giorno. Una finestra che non cambia mai panorama. Il cibo unico diversivo. Non c'è musica, né ballo. Solo il letto. O asciutto o bagnato. E mani che la rivoltano.
Le braccia bucate dagli aghi per le flebo e la trasfusione.
Adesso facciamo un altro sacco, così sei bella carica principessa!
Questa è la terza sacca di sangue che le somministrano. Goccia, goccia, goccia, goccia, goccia, goccia, goccia... è lentissima. L'infermiera, la sua profonda pena per quell'essere indifeso è palpabile, non dovrebbe, ma ci fa capire che E* è qui per via del marito.
Ma cosa ha fatto?! Infermiera!!! Mmmaariavvergine!!! Si è strappata tutti gli aghi!
Da E* non un suono.
La mattina ricomincia la litania che le avevamo sentito cantare la notte precedente:
Mariiiiaaa. Ci sei?
No, E*, Maria arriva dopo.
Ah, va bene, grazie... Maria, andiamo?
Non c'è ancora Maria signora E*, viene più tardi.
Ah, più tardi... scì, scì... Maria, siamo a posto?
…..................................................... !
Eccola Maria. Rumena, formosa, labbra carnose sempre in una piega triste. Parla piano, sottovoce, dolcemente.
Poi arriva lui. Arriva col passo strascicato, un panama in testa.
Ah, sei arrivato... il cappello...
Con questo tutti mi rispettano, mi salutano tutti! Come va... eh, come stai
Le agita accanto al viso la mano indurita dalla vecchiaia, minaccia come si minaccia un bimbo quando ha fatto una marachella, poi l'appoggia pesante sul suo viso, le dà piccoli schiaffetti. Non sa accarezzare, sembra non l'abbia mai fatto.
Allora? Eh? Come stai...
Bene.
Dici sempre bene tu... eh, ma non capisci mica, non capisci niente... hai male?
No.
E come faccio io, ho solo te, mi capisci? Siamo solo noi due... come faccio? Mi capisci? Sto male io, sai che sono malato, mi gira la testa, sto male, siamo solo io e te. Ma capisci cosa dico? Ecco, ma io ho bisogno di parlare con qualcuno, signora, e invece... la guardi lì... è così, non capisce mica niente... e io devo parlare con qualcuno, tutto il giorno... così...
Alto, spalle larghe, curato nel vestire, gli occhi sempre nascosti da lenti scure. Doveva essere un bell'uomo da giovane. Sapeva parlare, forse incantava. E lei gli hai creduto. Quando ha capito era tardi e allora ha continuato a fingere di credergli.
Le dà da mangiare come si nutre un'oca all'ingrasso, le cola tutto sul collo, le riempie la bocca che quasi non riesce a chiuderla, e lei non dice nulla.
Ma glielo ho detto, eh... a casa alle otto, altrimenti parte!
Hai fatto bene.
Perché quelle lì... prima in casa e poi sulla strada la notte... eh, no... che schifo, tutte puttane!
Hmmh.
Ma tu sai leggere?
Scì.
Ma sai scrivere? Non firmare se non ci sono io eh... e perché devi lasciare il 30% a N*? Non bisogna lasciarlo, hai capito?
Scì.
Ma sai leggere? Scrivere? Eh? Il notaio, due righe di testamento e tu poi firmi, sei capace? Così poi ti porto i fiori con la macchina.
Scì, come vuoi tu.
Dici sempre sì, ma hai capito quello che ho detto? Eh? Che cosa ho detto?
Cosa?
Cosa ho detto?
Non so.
Non capisci niente. Vado.
Dopo quarant'anni ancora prende le botte e non un lamento. Solo lo sguardo spaventato e “non so, non ricordo, così”. Quarant'anni di silenzio, quarant'anni di solitudine, perché anche chi sa non parla, ha paura. Paura! Paura?!
Vado.
Scì, vai, vai. Ciao
Torno domani.
Scì, scì, ciao.
Gli occhi di solito persi in qualche pensiero, si spostano inquieti per la stanza e su di noi. Notte. Non riesce a dormire. Mi avvicino al letto col dito sulle labbra a dirle che bisogna fare piano. Imita il mio gesto. Maria! Non sono Maria signora E*. Le accarezzo la guancia. Maria torna domattina. Ah, scì. Le do una mano che lei stringe con la sua, nodosa, arsa dal tempo. Con l'altra continuo ad accarezzarla piano, sulla guancia poi sulla fronte. E' tranquilla? Scì. Allora adesso bisogna dormire un po', è tardi... Scì. Bene, buon riposo. Scì, grazie, grazie tante. Ti sorrido e vorrei dirti tanto di più, ma non ne ho il coraggio.
Chiudi gli occhi e dal mio letto mi accorgo che scivoli nel sonno.
Maria! Andiamo...
Dove andiamo, E*?
A casa...
A casa?
Scì. Maria... ci sei?
Sì E*sono qvi. Come stai?
Bene.
Hai sete?
Scì. Cos'è là? Maria andiamo là?
No, non si può.
Non si può. Nooo. Maria... andiamo?
Dove E*?
Dove vuoi tu.

Il giorno della sua dimissione passo a salutarla nella stanza dove l'hanno trasferita. Le racconto che proprio quella mattina ho visto uno scoiattolo correre su per il tronco dell'abete accanto la sua finestra. Lei si illumina, mi guarda con uno sguardo attento, vivo, per nulla spento. Ah sì, sono belli! Mi dice sorridendo. Io resto di stucco. Capisco che quel suo essere-fingersi ottenebrata, lontana da tutto è l'unica difesa che le sia rimasta.

Ah, Ah, Ah!!!! Brava E*! Così si fa, ben fatto! Che colpo togliere tutti i soldi dalla banca e darli a tuo nipote che si compri la casa! E passare tutte le proprietà a tuo fratello! Se lo sa G* ti ammazza.

A.Z.

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