Ottant'anni
e ancora non ti stancheresti di guardarla. Il viso parla di una
bellezza passata da urlo. L'ovale del viso incorniciato dalle onde
argentee dei capelli ancora folti, gli zigomi alti, la bocca dal
disegno preciso e pieno, l'arco delle sopracciglia un semicerchio
perfetto, gli occhi verdi appena scuriti dall'età, la pelle liscia
dal colore d'alabastro senza neppure una macchia, liscia che è un
piacere darle una carezza... una carezza per calmare quello sguardo
spaventato e inquieto, come fosse un animale braccato.
Incontro
E* nell' ospedale dove siamo entrambe ricoverate. Veramente non
dovrebbe essere nel mio reparto, ma il personale è poco e hanno
unito temporaneamente il mio e il suo. Ora sta di fronte a me. Si
passa una mano sul viso a intervalli regolari, a controllare che sia
tutto in ordine, a controllare di esserci ancora. A volte si guarda
le mani, i palmi, i dorsi. Le mani deformate dall'artrosi, i palmi
piatti come una tavola e gli indici storti che si guardano. L'unico
arto che muove, le mani. E* non parla, non comunica realmente con
nessuno.
Conosce
solo il letto qua dentro. Giorni come la notte e notti come il
giorno. Una finestra che non cambia mai panorama. Il cibo unico
diversivo. Non c'è musica, né ballo. Solo il letto. O asciutto o
bagnato. E mani che la rivoltano.
Le
braccia bucate dagli aghi per le flebo e la trasfusione.
Adesso
facciamo un altro sacco, così sei bella carica principessa!
Questa
è la terza sacca di sangue che le somministrano. Goccia, goccia,
goccia, goccia, goccia, goccia, goccia... è lentissima.
L'infermiera, la sua profonda pena per quell'essere indifeso è
palpabile, non dovrebbe, ma ci fa capire che E* è qui per via del
marito.
Ma
cosa ha fatto?! Infermiera!!! Mmmaariavvergine!!! Si è strappata
tutti gli aghi!
Da
E* non un suono.
La
mattina ricomincia la litania che le avevamo sentito cantare la notte
precedente:
Mariiiiaaa.
Ci sei?
No,
E*, Maria arriva dopo.
Ah,
va bene, grazie... Maria, andiamo?
Non
c'è ancora Maria signora E*, viene più tardi.
Ah,
più tardi... scì, scì... Maria, siamo a posto?
….....................................................
!
Eccola
Maria. Rumena, formosa, labbra carnose sempre in una piega triste.
Parla piano, sottovoce, dolcemente.
Poi
arriva lui. Arriva col passo strascicato, un panama in testa.
Ah,
sei arrivato... il cappello...
Con
questo tutti mi rispettano, mi salutano tutti! Come va... eh, come
stai
Le
agita accanto al viso la mano indurita dalla vecchiaia, minaccia come
si minaccia un bimbo quando ha fatto una marachella, poi l'appoggia
pesante sul suo viso, le dà piccoli schiaffetti. Non sa accarezzare,
sembra non l'abbia mai fatto.
Allora?
Eh? Come stai...
Bene.
Dici
sempre bene tu... eh, ma non capisci mica, non capisci niente... hai
male?
No.
E
come faccio io, ho solo te, mi capisci? Siamo solo noi due... come
faccio? Mi capisci? Sto male io, sai che sono malato, mi gira la
testa, sto male, siamo solo io e te. Ma capisci cosa dico? Ecco, ma
io ho bisogno di parlare con qualcuno, signora, e invece... la guardi
lì... è così, non capisce mica niente... e io devo parlare con
qualcuno, tutto il giorno... così...
Alto,
spalle larghe, curato nel vestire, gli occhi sempre nascosti da lenti
scure. Doveva essere un bell'uomo da giovane. Sapeva parlare, forse
incantava. E lei gli hai creduto. Quando ha capito era tardi e allora
ha continuato a fingere di credergli.
Le
dà da mangiare come si nutre un'oca all'ingrasso, le cola tutto sul
collo, le riempie la bocca che quasi non riesce a chiuderla, e lei
non dice nulla.
Ma
glielo ho detto, eh... a casa alle otto, altrimenti parte!
Hai
fatto bene.
Perché
quelle lì... prima in casa e poi sulla strada la notte... eh, no...
che schifo, tutte puttane!
Hmmh.
Ma
tu sai leggere?
Scì.
Ma
sai scrivere? Non firmare se non ci sono io eh... e perché devi
lasciare il 30% a N*? Non bisogna lasciarlo, hai capito?
Scì.
Ma
sai leggere? Scrivere? Eh? Il notaio, due righe di testamento e tu
poi firmi, sei capace? Così poi ti porto i fiori con la macchina.
Scì,
come vuoi tu.
Dici
sempre sì, ma hai capito quello che ho detto? Eh? Che cosa ho detto?
Cosa?
Cosa
ho detto?
Non
so.
Non
capisci niente. Vado.
Dopo
quarant'anni ancora prende le botte e non un lamento. Solo lo sguardo
spaventato e “non so, non ricordo, così”. Quarant'anni di
silenzio, quarant'anni di solitudine, perché anche chi sa non parla,
ha paura. Paura! Paura?!
Vado.
Scì,
vai, vai. Ciao
Torno
domani.
Scì,
scì, ciao.
Gli
occhi di solito persi in qualche pensiero, si spostano inquieti per
la stanza e su di noi. Notte. Non riesce a dormire. Mi avvicino al
letto col dito sulle labbra a dirle che bisogna fare piano. Imita il
mio gesto. Maria! Non sono Maria signora E*. Le accarezzo la guancia.
Maria torna domattina. Ah, scì. Le do una mano che lei stringe con
la sua, nodosa, arsa dal tempo. Con l'altra continuo ad accarezzarla
piano, sulla guancia poi sulla fronte. E' tranquilla? Scì. Allora
adesso bisogna dormire un po', è tardi... Scì. Bene, buon riposo.
Scì, grazie, grazie tante. Ti sorrido e vorrei dirti tanto di più,
ma non ne ho il coraggio.
Chiudi
gli occhi e dal mio letto mi accorgo che scivoli nel sonno.
Maria!
Andiamo...
Dove
andiamo, E*?
A
casa...
A
casa?
Scì.
Maria... ci sei?
Sì
E*sono qvi. Come stai?
Bene.
Hai
sete?
Scì.
Cos'è là? Maria andiamo là?
No,
non si può.
Non
si può. Nooo. Maria... andiamo?
Dove
E*?
Dove
vuoi tu.
Il
giorno della sua dimissione passo a salutarla nella stanza dove
l'hanno trasferita. Le racconto che proprio quella mattina ho visto
uno scoiattolo correre su per il tronco dell'abete accanto la sua
finestra. Lei si illumina, mi guarda con uno sguardo attento, vivo,
per nulla spento. Ah sì, sono belli! Mi dice sorridendo. Io resto di
stucco. Capisco che quel suo essere-fingersi ottenebrata, lontana da
tutto è l'unica difesa che le sia rimasta.
Ah,
Ah, Ah!!!! Brava E*! Così si fa, ben fatto! Che colpo togliere tutti
i soldi dalla banca e darli a tuo nipote che si compri la casa! E
passare tutte le proprietà a tuo fratello! Se lo sa G* ti ammazza.
A.Z.
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