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martedì 8 maggio 2012

Scuola DIaz. Prima dei noti fatti.

Scriveva "Repubblica" il 22 luglio 2001.



Tra i feriti alla scuolaospedale

genova - Peter arriva a torso nudo. Ha ematomi sui reni, ferite come frustate sulle spalle. Un occhio insaguinato. Zoppica e piange. «Mi hanno caricato vicino a Corso Italia. Ero entrato in una strada laterale e ho incrociato la celere. Mi hanno preso a calci in sei, credo fossero sei». Ha 28 anni, cappelli lunghi e spettinati. Lo ha portato in macchina un' amica. Non all' ospedale però. E' venuto al pronto soccorso del Genoa Social Forum, nella scuola Diaz. Enrico Cordano, dottore quarantenne di Genova, è il coordinatore sanitario del servizio: una piccola stanza, una brandina, un mucchio di scatole di farmaci in terra, secchiate di limone e bicarbonato. Molti manifestanti feriti durante le cariche vengono portati qui. Per paura, per prudenza, per sfuggire agli arresti. «La regola è arrestare tutti i feriti» dice Francesco, 32 anni. Ha preso 12 manganellate sul corpo, ha un occhio livido. E' andato in piazza Alimonda, subito dopo l' uccisione di Carlo Giuliani. «Ho gridato assassini, ero da solo e disarmato. Mi hanno preso e al primo colpo ho perso conoscenza. Appena mi sono risvegliato ho supplicato una ragazza: "ti prego non mi portare in ospedale"». I feriti salgono qui a medicarsi. I più gravi sono stesi sui lettini nella palestra al pianterreno. Verso le cinque viene chiamata un' ambulanza. Una ragazza ha piede fratturato e trauma cranico. Sembra terrorizzata. «Non possiamo occuparcene noi» spiega Enrico. I medici in prima fila sono un centinaio dentro al corteo. I feriti curati in strada dal Gsf sono stati ieri più di 80. La metà è stata portata al riparo nella scuola. (a.g.)

sabato 5 maggio 2012

NESSUNA TV VUOLE TRASMETTERE "DIAZ"?



Dal sito di Kataweb:



Perché nessuno vuole trasmettere Diaz in televisione? Un appello del Tg3 prova a smovere le acque dell’indifferenza che rischiano di soffocare la diffusione del film di Daniele Vicari, premiato alla Berlinale e acquistato anche all’estero. Il senso dell’iniziativa è: comunque la pensiate, Diaz dovrebbe andare in Tv.
La redazione web del Tg3, ha agito tramite la Rete  lanciando il suo appello e un ashtag alle 9 di ieri mattina, 4 maggio. Alle 10:30 l’argomento #diazintv era già al primo posto dei TT italiani, ovvero gli argomenti più discussi dagli utenti di Twitter nel nostro Paese.
“Perché nessuna televisione italiana ha voluto partecipare alla produzione del film? E soprattutto, perché nessun network (pubblico o privato) sembrerebbe interessato all’acquisizione dei diritti per la trasmissione di Diaz sul piccolo schermo?”, si legge nell’appello del Tg3, pubblicato sul sito.
“Anche il Parlamento Europeo ha invitato gli autori il 15 maggio per una proiezione del film, perché le drammatiche vicende di quei giorni a Genova non furono solo una ‘cosa italiana’. – prosegue l’appello -  Comunque la si pensi Diaz racconta una dolorosa pagina della storia recente del nostro Paese e lo fa basandosi sugli atti processuali e sulle testimonianze di persone che hanno avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. E tutto questo, in televisione, speriamo di vederlo. Prima o poi ”
L’iniziativa ha avuto una immediata eco. Ieri sera alle 20 il direttore di Raitre, Antonio Di Bella, ha tweettato “Oggi David a Savona per “Tahir liberation square”.ieri in onda C.Bachsmidt con Black block. rai3 e’interessata anche a Diaz di s.vicari.”
L’interesse dell’iniziativa del Tg3 è riflesso anche nelle oltre 10.000 visualizzazioni per la videochat realizzata nei giorni scorsi con il regista del film Daniele Vicari, che ha dichiartato: “La cosa importante per me è che ciascuno faccia una esperienza vera guardando il film, amandolo o anche rifiutandolo, ma interrogandosi a fondo. Io non ho risposte in merito a quegli avvenimenti, mi dispiace, ho solo domande”.

(5 maggio 2012)

venerdì 4 maggio 2012

Quando i Black Bloc andavano a Roma

Così apriva "il Messaggero" di Roma il 23 luglio 2001

Il presidente Berlusconi SUL G8: «E’ stato un incontro positivo dal punto di vista del dialogo e sono state prese importanti decisioni. I violenti scontri hanno però appannato il significato e il valore del summit». Per quanto riguarda la guerriglia il Premier ha indicato le responsabilità del Social Forum che, secondo il Viminale, avrebbe protetto i violenti. Sempre secondo il ministero degli Interni il blitz notturno di Genova si è reso indispensabile per fermare i Black Bloc che si stavano preparando per trasferirsi a Roma e manifestare contro Bush. Dal canto suo il vice capo della policia precisa: abbiamo preso gli anarchici armati.


IL FONDO TRACCIAVA UN BILANCIO DEL VERTICE:




NUOVI VANDALI
INCHIODATI
DA FOTO E TV

di ROBERTO MARTINELLI
L’OCCHIO delle telecamere, quelle fisse e quelle mobili, quelle che servono a fare cronaca e quelle più sofisticate dei satelliti spia, rischiano davvero di vanificare le vecchie regole del processo penale fatto di rapporti di polizia, verbali scritti in stile preistorico e di inutili e prolisse requisitorie ed arringhe difensive? A Genova, non è stata filmata solo la morte in diretta di Carlo Giuliani, ma i cento, i mille assalti dei guerriglieri dell’antiglobalizzazione, i corpo a corpo tra polizia e manifestanti, le botte date e quelle ricevute, gli atti di inutile vandalismo. Tutto, e non solo dai cineoperatori delle Tv pubbliche e private, ma anche e soprattutto dalle barbe finte tecnologiche che i servizi segreti di almeno due degli otto "Grandi" hanno tenuto accese sulla città ligure, prima, durante e dopo il summit.
Gran parte di questo materiale finirà nella maxinchiesta che la Procura genovese è stata costretta ad aprire per fare giustizia e verità. Ma laddove era presente una telecamera o un fotoreporter, e a Genova ce ne erano a centinaia, nessun rapporto di polizia giudiziaria potrà rendere altrettanto bene la realtà delle immagini crude, drammatiche e a volte tragiche che l’occhio telematico ha fissato su nastro. E laddove non c’era il cronista o il fotografo di turno, telecamere fisse di banche, strutture portuali, e quelle dei satelliti spia hanno memorizzato dove e come sono nati i focolai di violenza, quali sono state le vie di fuga dell’ala dura dei contestatori, le strategie di attacco poste in essere per tentare di forzare la cosiddetta zona rossa ed anche eventuali ingenuità od errori commessi dalle forze dell’ordine, ammesso che ve ne siano stati.
Una parte del materiale è stato acquisito, un’altra parte richiesto e promesso, un’altra ancora, la registrazione satellitare, dipenderà dalla volontà politica di chi la vuole e di chi la possiede. Se tutte le immagini memorizzate dovessero davvero finire sul tavolo del magistrato, Genova sarebbe in grado di processare centinaia, forse migliaia di persone. Non sarebbe affatto impossibile passare al computer un fotogramma alla volta ed identificare tutti o quasi tutti i violenti dopo averli "denudati" dei passamontagna e di tutti gli altri indumenti usati per nascondere i loro volti. In sedicesimo, questo strumento è stato già usato in passato per individuare i facinorosi degli stadi, i rapinatori di banche e chiunque abbia commesso reati sotto l’occhio freddo e discreto ma sempre vigile delle telecamere fisse disseminate agli angoli delle nostre strade.
E l’aiuto che magistratura e polizia ne hanno avuto è stato spesso determinante, non solo per dare un nome e un volto ad un colpevole, ma anche per smascherare, come è accaduto di recente, persino la simulazione di un sequestro di persona. Basta tutto questo per dire che il processo penale volta pagina e passa dall’era cartacea a quella informatica? Molti passi in questa direzione sono stati fatti, ma i tempi di attesa sono ancora lunghi. Nel settore civile il processo telematico è assai più vicino alla sua realizzazione pratica. Esiste già una normativa che autorizza l’uso della documentazione informatica e a Roma è stata addirittura tentata con successo la simulazione di una udienza via filo con magistrati e avvocati lontani decine di chilometri gli uni dagli altri. Nel processo penale l’unica eccezione al principio dell’oralità del dibattimento è stata fatta per le teleconferenze, un favore fatto ai pentiti per consentire loro di testimoniare lontano dai loro giudici col pretesto di garantire la sicurezza e far risparmiare allo Stato le spese del trasferimenti.
E’ difficile quindi immaginare cosa accadrebbe se tutto, veramente tutto, il materiale filmato sui due giorni di violenze piovesse come d’incanto sulla Procura di Genova. In primo luogo provocherebbe uno sconquasso notevole per la mole delle immagini da catalogare, decrittare, scomporre e leggere nella maniera giusta. In secondo luogo comporterebbe un lunga serie di adempimenti formali per la identificazione dei soggetti incriminabili e la contestuale notifica di informazioni di garanzia o di altri adempimenti previsti dalla legge. In positivo si arriverebbe alla individuazione di un gran numero di soggetti, probabilmente anche di stranieri e alle loro complicità nel nostro paese ed altrove di un movimento pseudorivoluzionario di cui si conoscono ancora poco le origini e gli ispiratori. In negativo si provocherebbe un ingigantimento del processo che le strutture giudiziarie non sono in grado di sostenere.
Ma a complicare le cose ci si metterebbe il principio del libero convincimento del giudice, al quale la magistratura italiana è, a ragione, fortemente legata per tradizione culturale e storica. Esso consiste nella piena libertà del collegio giudicante di valutare anche la più evidente delle prove, quale può essere la foto di chi ha in mano una pistola e viene ripreso nel momento di sparare a quella che viene indicata come la sua vittima. E tale libertà è sovrana non solo nell’interpretazione del fatto storico, ma nella sua configurazione giuridica. L’arma puntata contro Carlo Giuliani può giustificare in astratto tante ipotesi di reato: dall’improbabile omicidio volontario contestato nell’immediatezza del fatto dalla Procura di Genova, al più realistico ma impolitico eccesso colposo di legittima difesa. Tra le due soluzioni giuridiche c’è l’abisso e il magistrato italiano vuole esserne giudice ed arbitro. Ben vangano i centomila fotogrammi delle violenze contro il G8 ma si sappia che la macchina giudiziaria italiana cammina ancora a vapore e molti nostri giudici non sono ancora entrati nel mondo dell’informatica.

VERBALE DELLA POLIZIA DOPO L'ASSALTO ALLA DIAZ


Un quadro del film "Diaz".

















La Stampa del 27 luglio 2001 pubblicava il 

seguente articolo. La voce delle forze repressive. 


«Siamo entrati, lanciavano zaini ovunque»



IL RACCONTO DELLA NOTTE DEL 22 LUGLIO: «SIAMO INTERVENUTI PERCHE' LORO AVEVANO AGGREDITO UN NOSTRO CONTINGENTE» 
«Siamo entrati, lanciavano zaini ovunque». «Lì studiavano gli attentati che hanno devastato la città». Di seguito pubblichiamo ampi stralci del verbale che la polizia ha inviato alla Procura della Repubblica di Genova dopo i fermi nella scuola Diaz.
Il 22 luglio, alle ore 3, nell'ufficio «trattazione atti presso il VI Reparto Mobile della Polizia di Genova, noi sottoscritti Ufficiali e Agenti di Polizia Giudiziaria, al Servizio Centrale Operativo di Roma, alle Squadre Mobili di Roma, Napoli, Genova, La Spezia e Nuoro [...], diamo atto che all'1,30 circa, in via Cesare Battisti nell'istituto scolastico Diaz al termine di una perquisizione domiciliare, abbiamo proceduto all'arresto» delle 93 persone in elenco perché «responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio nonché, in concorso tra loro, di detenzione abusiva di arma da guerra (bombe molotov). Si è resa necessaria l'adozione della misura pre-cautelare (il fermo n. d. r.) per i fatti di seguito elencati». «Alle 22,30 circa un contingente della Polizia» mentre transitava «in via Cesare Battisti, davanti alla scuola Diaz, veniva fatto oggetto di un violento lancio di oggetti contundenti da parte di numerose persone, verosimilmente appartenenti alle cosiddette "Tute Nere"», attuando «un tentativo di aggressione» agli agenti «Alla luce dei gravissimi disordini che il 20 e 21 luglio» c'erano stati in centro città, «e determinati dalla condotta eversiva delle cosiddette "Tute Nere", responsabili di gravissimi episodi di devastazione e saccheggio e di atti di violenza verso le Forze dell'Ordine», gli agenti «erano costretti ad allontanarsi immediatamente dal luogo, anche per far convergere sul posto contingenti di rinforzo. Esemplificative sono le drammatiche immagini che le tv» di tutto il mondo «hanno mandato in onda e che hanno consentito di percepire nei termini adeguati le difficoltà incontrate dalle Forze dell'Ordine nel contenere la violenza dei citati manifestanti sia contro le persone che verso i beni materiali. Nel dettaglio, le riprese tv hanno evidenziato i ripetuti e violenti lanci di molotov che hanno causato incendi in diversi punti della città coinvolgendo autoveicoli, esercizi commerciali ed arredi urbani». Ciò premesso «e in considerazione della concreta possibilità che la scuola Diaz fosse rifugio delle frange estreme delle "Tute Nere"» veniva organizzato «un adeguato programma d'intervento finalizzato 1) alla ricerca di armi o materiale» esplosivo «che in quel luogo poteva essere occultato, 2) all'identificazione dei responsabili dell'aggressione che poco prima aveva coinvolto gli agenti di Polizia, 3) all'identificazione dei responsabili dei gravissimi disordini citati. Appena giunti sul luogo, gli agenti notavano un gruppo di giovani che alla loro vista» ed eravamo «chiaramente riconoscibili dall’uniforme o per le casacche», con l'obbiettivo «di compromettere lo svolgimento dell'operazione di polizia giudiziaria», chiudevano la scuola dall'interno «impedendo che gli agenti vi potesse entrare». [...] In questo modo - scrive chi ha redatto il verbale - i ragazzi hanno avuto «il tempo necessario per occultare armi e per organizzare un'attiva resistenza». Gli agenti, «dopo aver forzato il cancello d'ingresso utilizzando un furgone» ed essere entrati dell'edificio «subivano un fittissimo lancio di oggetti di ogni genere» [TROVATI DOVE IN SEGUITO?]. Tutto questo «rafforzava il profondo convincimento che effettivamente nella scuola i giovani manifestanti» avessero « armi di ogni genere. Pertanto appena riusciti a forzare il portone d'ingresso, veniva effettuata una perquisizione ai sensi dell'articolo 41 del Testo Unico di Pubblica Sicurezza. I giovani presenti all'interno, resisi conto» dell'arrivo della polizia «cercavano di resistere ulteriormente: prima ingaggiando colluttazioni con gli agenti, poi disperdendosi per i vari piani dell'edificio, anche per poter tendere inaspettatamente ogni sorta d'agguato». «Quanto segnalato trova conferma nell'accoltellamento al torace dell'agente Nucera Massimo, in forza al Nucleo Antisommossa del I Reparto Mobile di Roma, episodio che non aveva ulteriori e drammatiche conseguenze solo grazie all'utilizzo da parte dell'agente di un giubbotto protettivo [GUARDA IL CASO!]. La resistenza» dei ragazzi era vinta «solo grazie alla presenza di un nutrito contingente di poliziotti». Nel referto, a questo punto, si racconta che «nelle concitate fasi d'ingresso e durante la colluttazione, i giovani provvedevano intenzionalmente a lanciare verso ogni luogo i propri zaini, ciò, evidentemente, per rendere impossibili le operazioni di attribuzione delle responsabilità penali relative all'eventuale rinvenimento di armi. La cui ricerca, resa ancor più complessa proprio in considerazione dell'atteggiamento di questi giovani, consentiva di trovare e sequestrare, i seguenti oggetti: 2 bottiglie contenenti liquido infiammabile e innesco, cosiddette «molotov» [FALSE]; 7 coltelli a serramanico, con manico in legno di varie dimensioni; 10 coltelli, tipo svizzero [OSSIA I COLTELLINI ROSSI CON LA CROCE BIANCA MULTIUSO], manico in plastica, di varie dimensioni; 1 coltello multiuso in acciaio; 1 coltello multiuso con manico in plastica nero; 2 coltelli da cucina in acciaio; 1 coltello da cucina con manico in legno; 1 coltello da cucina con manico in plastica nero; 1 paio di forbici da cucina; 1 set da tasca di chiavi esagonali e cacciavite; 2 mazze da carpentiere con manici in legno; 1 piccone con manico in plastica dura; 1 pala da carpentiere con manico in legno; 1 mezza bottiglia di plastica con chiodi; 1 tubo Innocenti ricurvo; 1 Kriptonite, con due chiavi; 3 mazze di ferro; 6 mazzette in alluminio ricurve; 2 spuntoni di ferro; 5 bombolette di vernice spray; 2 thermos; 2 dadi in alluminio; 1 scatolato in ferro; 1 lastra in porfido; 2 cinghie borchiate; 1 cinghia metallica; 1 cinta in tela; 1 bracciale cuoio borchiato; 1 catena in ferro legata ad una camera d'aria; 1 elastico di gomma; 4 contenitori per sostanze lacrimogene del tipo usato dalla polizia; 1 capsula spray urticante usata; 1 manetta in ferro; 15 maschere antigas; 8 maschere da sub; 13 occhialetti da piscina; 1 filtro maschera antigas; 3 caschi da motociclista; 2 caschi da cantiere; 1 brandello di bandiera rossa; 1 parrucca color castano; 1 rotolo di imballaggio; 5 passamontagna modello Mefisto; 1 cappello lana nero; 3 mascherine paraocchi da lavoro; 6 parastinchi di plastica uso sportivo; 4 ginocchiere di tipo sportivo; protezioni fisiche artigianali di plastica resistente; 1 paio di guanti di lana nera; 2 minidisk di marca Sony; 6 rullini; 3 cassette audio; 1 floppy disk privo di etichetta; 3 cellulari; 17 macchine fotografiche; 2 walkman; 1 agendina di colore rosso e nero; una bustina trasparente contenente 14 pasticche di colore bianco; 4 capsule con polvere marrone una capsula vuota; 1 bandiera rossa con effigie riportante pugno chiuso di colore giallo; 1 striscione di 10 metri di lunghezza con sfondo nero ed effigie in giallo con su scritto «you can't forbit it and you can't ignore it you try to fright but you will not stop it» seguita da una stella a cinque punte; 60 magliette nere, alcune con scritte inneggianti alla resistenza, alla violenza e contro lo Stato; 15 pantaloni neri; 16 giacche nere; 17 giubbotti neri; 5 sciarpe nere; 4 cappelli neri; una pettorina gialla con la scritta «giornalista»; un'agenda blu con la cartina topografica di Genova con riportate a penna indicazioni sulle zone della città interessate ai cortei; vario materiale cartaceo e striscioni di cartone». «A carico del cittadino tedesco Szabo Jones, 24 anni, sono stati sequestrati 2 coltelli multiuso; 1 coltello a serramanico e 8 fogli dattiloscritti in lingua inglese, numerati da pagina 3 a pagina 11 e privi della pagina 10.1...1 Quanto sequestrato sostiene l'ipotesi investigativa relativamente alla localizzazione del luogo destinato dai vertici dell'organizzazione delle "Tute Nere" ad accogliere i militanti provenienti da tutta Europa per il G8. Tale luogo era evidentemente indispensabile per il necessario supporto logistico e per attuare l'obbiettivo, attraverso devastazioni e saccheggi, attentati a impianti di pubblica incolumità, detenzione ed uso di armi anche da guerra. La certa appartenenza dei citati giovani all'organigramma delle "Tute Nere" è, peraltro, pienamente confermata dal ritrovamento e dal sequestro di numerosissimi capi di abbigliamento proprio di quel colore. Non sarebbe altrimenti spiegabile la presenza nella Diaz di numerosissimi giovani di diversi paesi europei. Quanto accertato consente di stabilire che il sodalizio in oggetto si sia palesemente interessato di reperire sia i mezzi per raggiungere il luogo convenuto che le armi indispensabili per realizzare i delitti indicati». «Il contenuto di un manoscritto trovato fra gli effetti personali di Szabo Jonas, consente, inoltre di stabilire che egli è uno degli esponenti di maggior rilievo» delle "Tute nere", perché il testo «descrive nei dettagli la preparazione di un giubbotto speciale da usarsi in occasione di contatti con le forze dell'ordine» [...]. Questo «conferma la posizione di rilievo di Jonas nell'organizzazione, e dimostra che la Diaz era il luogo destinato alla pianificazione strategica e al materiale confezionamento degli strumenti destinati all'offesa delle forze dell'ordine. I...] «Dai fatti narrati» si intuisce «anche il programma criminoso dell'organizzazione» che voleva compiere «una serie non determinata di delitti». Pare ovvio, anche, che [...] «ogni componente dell'associazione avesse la consapevolezza che il suo atteggiamento contribuiva in maniera determinante alla realizzazione delle comuni finalità». [...] Nel corso della perquisizione, sono stati feriti numerosi giovani presenti nella scuola, alcuni dei quali ancora ricoverati in ospedale, e molti agenti di polizia...». «Si sono chiusi dentro e abbiamo dovuto sfondare la porta Poi hanno fatto di tutto per ostacolarci» «Gli abiti neri e un testo sequestrato a un giovane cittadino tedesco sono le prove che ospitavano i Black Block» «Quell'edificio era il luogo destinato alla pianificazione strategica degli attacchi e al confezionamento dei necessari strumenti».

mercoledì 2 maggio 2012

DIAZ. RIMORSI? NO. "LA STAMPA"

Jennifer Ulrich durante una scena del film "Diaz"




Parla un celerino che ha partecipato all'assalto della Diaz (o Sandro Pertini, com'era stata ribattezzata). E' di Genova. L'articolo appare sulla "Stampa" del 27 luglio, quando tutto il mondo conosce ormai lo svolgimento dei fatti e le violenze inferte ai giovani che stavano dormendo nella scuola in attesa di ripartire il giorno dopo. Era già più difficile nascondere gli accadimenti.




ERO dentro la scuola, ho partecipato all'inferno di Genova. Adesso siamo finiti noi sulla graticola, accusati per tutto quello che è successo a Genova. A che serve parlare? Vuoi sapere delle nostre violenze? Sì, ci sono state, ma perché vi siete dimenticati di quello che hanno fatto le tute nere? Ormai a difenderci c'è solo il capo della Polizia e il ministro dell'Interno. Voi non avete capito che a Genova c'è stata una guerra». Che brutto clima si respira in questura e nei suoi paraggi. Nessuno vuole parlare, persino nella forma anonima, preoccupato di diventare «vittima» di una «caccia alle streghe». I poliziotti che hanno garantito lo svolgimento del GB si sentono stretti dalla morsa di una tenaglia: da una parte il Gsf e l'opposizione, dall'altra i «colleghi». Il poliziotto ha riflettuto a lungo se parlare o meno, se raccontare la perquisizione all'interno della scuola Pertini, ex Diaz. E alla fine si è fatto vivp. L'incontro avviene in un bar, nei paraggi della rianimata piazza De Ferrari, ex zona rossa. «Io c'ero quando siamo entrati nella scuola Pertini, che voi signori della stampa chiamate Diaz, che non era la sede del centro stampa del Genoa Social Forum. Il Gsf si trovava, invece, nella scuola di fronte, la vera Diaz. Ma prima di parlare della scuola e di quello che è accaduto - sì, abbiamo picchiato, è volata qualche manganellata di troppo - vorrei gridare che noi venivamo da due giorni d'inferno». Mastica rabbia il poliziotto: «Qualcuno ha scritto che avevamo l'infiltrato nella scuola, che ci eravamo preparati nei giomi precedenti per fare questo blitz. Questo non lo so, ma dubito che sia andata cos'i». Fa una smorfia che sembra un sorriso: «Perché non avete scritto che i miei capi vi avevano convocati per assistere alla perquisizione? Se volevamo picchiare l'avremmo fatto alle tre di notte, senza testimoni». Ricorda: «Respiravo lacrimogeni e mi difendevo dagli assalti delle tute nere da due giomi. C'era l'inferno a Genova e adesso ve la prendete con noi». Sabato sera, gli scontri erano finiti, il corteo del Gsf (200.000 persone) stava defluendo, migliaia di ragazzi cercavano di entrare nella stazione di Brignoie per prendere il treno e tomare a casa. «Verso le undici, il mio dirigente ci avvisa di stare pronti: "li andiamo a beccare". Noi di Genova eravamo pochi, si aggregano il reparto mobile di Roma e i carabinieri, che ci dovevano coprire le spalle. Se l'operazione fosse stata pianificata un giorno o due giomi prima, ci saremmo organizzati diversamente. E invece ci portano su come quando arriva la chiamata d'emergenza al 113». Il «celerino» sorseggia una birra. Non è testimone o protagonista di quello che è accaduto prima dell'irruzione alla Pertini. La versione ufficiale parla di un «pattuglione» di quattro auto, due in borghese e due volanti, che intomo alle dieci si trovano a passare tra le due scuole, non erano di Genova e avevano avuto la segnalazione che in via Trento, e non alla Diaz o alla Pertini, c'era un gruppo di tute nere. Passano tra le due scuole e vengono bersagliati da pietre e bottiglie. E' stato allora che in questura si è pianificato l'intervento. «Nel cellulare il capo ci dice di stare attenti, che nostri colleglli erano stati assaliti, che ci dovevamo aspettare il lancio di pietre, di bottiglie incendiarie. Che erano tanti. Eravamo nervosi, stanchi e l'adrelina ci teneva svegli. Ero lucido? Non lo so. L'importante, in questi casi, è che i nostri dirigenti lo siano. Arriviamo sul posto. In testa ci sono funzionari in borghese. Si mettono da parte, un nostro mezzo sfonda il cancello. E' buio, sentia- ino grida. Entriamo in quella palestra, accolti da una pioggia di pietre. Non si capisce più nulla. In quegli attimi - non so dire se dopo un minuto o un'ora, non so quanto tempo siamo stati dentro - sento i colleghi che' dicono che uno dei nostri era stato accoltellato. Il primo che mi capita sotto tiro è un ragazzo. Impugno il manganello». Si ferma, i suoi occhi sono come dei laser: «Vuoi sapere se ho picchiato? Sì, l'ho fatto. Nessuno mi ha fermato». Perché lo hai fatto? Cosa ti aveva fatto quel ragazzo? Un sospiro profondo prima della risposta: «Non lo so. Sentivo gridare, vedevo che loro si difendevano, che cercavano di darcele. E io sono stato più veloce di lui». Ma è vero che i ragazzi dormivano? «Quando sono entrato nella palestra, no. Non so se prima o nelle aule dei piani superiori c'era chi dormiva». Quando tutto finisce, e si può entrare nella scuola, il sangue sulle pareti della palestra documenta quello che è successo. Il bilancio ufficiale dell'operazione: su 93 presenti nella scuola, 68 devono far «ricorso alle cure mediche». Rimangono feriti anche 17 poliziotti. Sei giomi dopo quella perquisizione, hai qualche rimorso? Il poliziotto risponde fulmineo: «Rimorso no, rabbia tanta». «Respiravo lacrimogeni e mi difendevo dalle tute nere da due giorni»

AGNOLETTO


Don Vitaliano della Sala

Il 23 luglio 2001 "il Corriere" pubblicava questo pezzo, costruito sulle parole di Agnoletto. Il giornale non prende posizione. Riporta le parole del rappresentante del Genova Social Forum e le repliche del sindacato di polizia, con le quali si chiude il pezzo. Pretendere una posizione da un giornalista del "Corriere" su un caso così complesso, a poche ore di distanza dai fatti, significa essere ingenui. Non c'è altro da aggiungere. 

«Gli agenti hanno fatto una carneficina» Il Social Forum: ecco le foto delle forze dell' ordine vestite da tute nere. La replica: solo calunnie DA UNO DEI NOSTRI INVIATI GENOVA - «Il blitz di mezzanotte, il massacro dei ragazzi che dormivano nelle aule della scuola Diaz è il biglietto da visita di un governo, che non solo nega il dissenso e cancella le regole democratiche, ma vuole instaurare uno stato di polizia...». L' ira di Vittorio Agnoletto, piccolo condottiero del Genoa Social Forum, si avverte prima dal tono - uno strillo strappato con forza alla sua esile voce -, poi dalle parole. Diluvio di denunce, accuse pesanti, brevi racconti dell' orrore, appelli ad Amnesty International, richieste di decapitazione dei vertici della Polizia e del ministerno degli Interni, annuncio di controinchieste giudiziarie sui fatti di Genova. Definiti «un attacco scientifico, preordinato del governo contro un movimento di massa, che ha portato in piazza 200 mila persone». «L' operazione compiuta alla Diaz - tuona Agnoletto - mira a distruggere il dato politico della manifestazione. Il nostro movimento, sia pure a caro prezzo, ha vinto». Pausa. «Il Genoa Social Forum lancia per martedì una mobilitazione generale in tutta Italia sul tema della democrazia e il diritto al dissenso». Applausi. Genova, domenica pomeriggio. Giardini «Gilberto Govi» di Punta Vagno: accalcati come acciughe in scatola, sotto i tendoni bianchi, contestatori, cronisti e, nelle ultime file, un grappolo di genovesi che hanno deviato dalla passeggiata a mare per curiosare e orecchiare. E' l' ultimo appuntamento del Public Forum; ma nessuno avrebbe scommesso che lo spazio aperto dal Gsf per dare voce ai big dell' anti-globalizzazione internazionale, alla fine sarebbe diventato il vulcano ribollente di umori esasperati. Parla Agnoletto, parlano gli avvocati del Gsf, i medici di piazza, la Tuta Bianca numero Uno, Casarini, il tostissimo Piero Bernocchi dei Cobas, Francesco Caruso di No Global, don Vitaliano della Sala... I riferimenti al Sud America, al Cile di Pinochet scandiscono molti interventi. Sicchè, la Genova del governo Berlusconi, vista da Punta Vagno, ricorda la Santiago degli anni Settanta. E' un fiume in piena, Agnoletto. Respinge al mittente le accuse di complicità Gsf-Tute nere, e manda a dire al premier: «Siamo certi che si tratta di una montatura; ma anche nel caso in cui nella scuola Diaz si fosse infilato qualche "irregolare", la carneficina compiuta dagli agenti sarebbe comunque inammissibile. Se la caccia ai sospettati deve avvenire con quei modi e con quei mezzi, ciò significa che nessun cittadino italiano può sentirsi al sicuro». Le parole forti del portavoce del Genoa Social Forum diventano fatti nelle testimonianze di chi ha vissuto il blitz di sabato notte. Dario Rossi, uno dei cento avvocati mobilitati per tutelare i diritti dei contestatori racconta come la perquisizione nella stanza del «servizio legale», al secondo piano, sia avvenuta al di fuori di ogni regola. «E non è tutto - denuncia Rossi -. Hanno rovistato come furie, rotto computer, asportato hard-disc, che contenevano i dati e le denunce degli arrestati». Tocca invece a uno dei 150 medici del Pronto intervento sanitario spiegare come sono andate le cose in piazza. Prendiamo il caso della ragazza malmenata a più riprese. «E' successo durante la manifestazione di venerdì - dice il dottore -. La giovane sta chiacchierando con un' amica; parte la carica, e lei non ha la prontezza di allontanarsi subito ... Un agente le si avvicina, la picchia col manganello, la prende a calci. La ragazza cade; poi, si rialza. Pochi passi, e di nuovo viene riacciuffata e picchiata. La raccolgo poco dopo, è sotto choc. La testa rotta (suturata con 14 punti), le gambe sanguinanti. Un massacro». La lista delle «malefatte» delle forze dell' ordine contro gli anti-G8 si allunga. I testimoni implacabili si passano il microfono, mentre in sala grondano gli applausi, misti alle urla («assassini, assassini!»). Il loro «asso nella manica» sono i documenti - foto, filmati - sulla battaglia di Genova. Viene diffusa una foto di un gruppo di persone davanti alla caserma dei carabinieri di corso De Gasperi: c' è un carabiniere in divisa. E poi due uomini con magliette nere e bastoni. Una ha il viso coperto. «E' la prova di infiltrazioni di carabinieri tra i Black bloc», dice Casarini. Il regista Davide Ferrario racconta di aver «inchiodato» due poliziotti travestiti da Tute nere; Luca Casarini, leader delle Tute bianche, spiega che il Gsf si sta impegnando nell' attività di «controinformazione», con la raccolta di materiale utile. «Se avete scattato foto, filmato espisodi di abusi, illegalità, dateli a noi. Alcune foto interessanti le abbiamo; e le useremo. Ma, attenti: un fotografo è già stato perquisito. La repressione è durissima». Piero Bernocchi, portavoce dei Cobas, va giù durissimo. Il j' accuse contro il governo è una bordata. «È stata una mattanza organizzata. Si voleva non un morto, più morti. Ogni domenica i teppisti del calcio devastano gli stadi, sfasciano i treni, ma non vengono massacrati». Salta su il napoletano Francesco Caruso di No Global, e avverte i compagni che invierà un bossolo a Scajola, affinché il ministro dell' Interno «possa riflettere su ciò che è successo». «E' lui il responsabile e il mandante politico dell' omicidio di Carlo Giuliani». E don Vitaliano della Sala, «contestatore in nome di Dio», condanna ecumenicamente ogni violenza. E racconta di aver visto scendere da una camionetta della polizia tre persone vestite di nero con caschi e maschere antigas. «A osservare la scena, con me c' era anche un frate», precisa. Replica del Siulp: «Gli operatori di polizia, per tre giorni, con abnegazione hanno tenuto testa a migliaia di criminali organizzati». Il Comando generale dell' Arma, interviene respingendo le calunnie circa «i contatti con elementi del Black Bloc, sostenuti dal Gsf». E contrattacca «sulla documentazione fotografica, ingannevolmente esibita. Che riguarda persone in uniforme e in borghese del Comando provinciale di Genova, predisposte a difesa della caserma, nel mirino dei manifestanti». 
Marisa Fumagalli

martedì 1 maggio 2012

DIAZ. PER NON DIMENTICARE



Cominciamo una serie di pubblicazioni sulla scuola Diaz, la macelleria italiana del 2001. Il tema è la polizia italiana e la stampa. Come i media diedero le notizie, come si resero complici di quanto accaduto. E come la polizia fu capace offrire un altissimo grado di repressione attraverso l'uso della tortura, fisica e psicologica, sugli arrestati.

Quello che segue è un articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 31 luglio 2001. Parla l'agente "accoltellato". Fatto mai accaduto, montatura della polizia per melodrammatizzare la selvaggia irruzione e il ferimento di decine di persone inermi.

ABBIAMO SFONDATO LE PORTE DELLA SCUOLA POI CI SIAMO COMPORTATI DA PROFESSIONISTI. NESSUNO DI NOI HA PERSO LA TESTA.

«Altro che ragazzi o agenti alle prime armi. Eravamo tutti poliziotti ben addestrati, preparati all' emergenza. Professionisti». Massimo N., 28 anni, romano, l' agente scelto che è stato colpito con una coltellata durante l' irruzione notturna alla scuola Diaz, alza la voce. Proprio non ci sta a essere messo sul banco degli imputati. Sotto accusa. Lui e i suoi colleghi del primo Reparto mobile di Roma e del Nucleo sperimentale antisommossa. «Al nostro arrivo siamo stati attaccati con sassi, pietre, bottiglie. E per entrare abbiamo dovuto sfondare le porte dei due ingressi». Poi tutto si è svolto così rapidamente all' interno della sede del Genoa Social Forum «che ho ricordi in gran parte confusi. So solo che un ragazzo mi ha colpito. Di sorpresa». Con un' arma da taglio, un coltello a serramanico, marca Quttin Horse Smith & Wesson, come si legge nella relazione dell' ispettore capo di Ps Maurizio Panzieri e aggregato per il summit di Genova al Nucleo Antisommossa. «Un colpo preciso, alla parte sinistra del torace, come si può vedere dal taglio del giubbotto. All' altezza del cuore, con la chiara intenzione di uccidermi. Quel giubbotto speciale, da poco in nostra dotazione, molto simile a quelli usati dai giocatori di hockey, mi ha salvato la vita». L' agente scelto è stato sentito ieri pomeriggio dal procuratore aggiunto Francesco Lalla. Come testimone. Il primo di una lunga serie. Sono le 17.30 quando Massimo esce dall' ufficio del magistrato, dopo un colloquio di circa mezz' ora, «durante il quale ho spiegato la verità su quanto accaduto quella notte. Non le bugie che ho sentito in questi giorni». Cammina aiutandosi con due stampelle «per la sospetta frattura del ginocchio sinistro», spiega. Conseguenza degli scontri con gli antiglobal «durante la manifestazione di venerdì, e non nell' operazione della notte tra sabato e domenica alla Diaz», si affretta a precisare. In quell' occasione «non ho riportato neppure un graffio. La lama del coltello si è fermata prima, grazie alla protezione speciale». Nel racconto di Massimo si legge la drammaticità di quelle ore. «Nonostante la sospetta frattura al ginocchio sono rimasto a Genova. Per continuare nel mio lavoro», sottolinea. Sempre in prima linea. Anche sabato notte. «Erano da poco passate le 22 e stavo cenando con altri colleghi, quando è arrivata la richiesta dell' intervento. Una nostra pattuglia era stata presa di mira da alcuni dimostranti», aggiunge. Confermando la versione fornita nell' annotazione a firma di Spartaco Mortola, dirigente della Digos di Genova. «Erano le 23.30 quando siamo arrivati sul posto. Quanto a quello che è accaduto all' interno, l' ho detto al magistrato». Massimo ha ben impresso nella memoria le modalità dell' intervento. «Per quanto mi riguarda non ho mai perso il controllo». Ed evidenzia il mese di addestramento tecnico, «ma anche psicologico. Nessuno di noi ha perso la testa quella notte». Proprio nessuno? «Sono quasi sicuro. E se qualcuno l' ha fatto è stata la conseguenza di una situazione allucinante. Certo, non è una giustificazione. Chi ha sbagliato, se qualcuno ha sbagliato davvero alla Diaz, si assumerà le sue responsabilità. Spetta al magistrato appurarle. «Mai e poi mai mi sarei aspettato che ci saremmo trovati di fronte a tutto questo», continua Massimo. Le manifestazioni, le cariche, gli scontri, i feriti e un ragazzo morto. «Eravamo pronti all' emergenza. Ma si è andati oltre. Quarantott' ore così non le dimenticherò mai più». Come non dimenticherà più quella coltellata. Dopo l' aggressione nella scuola del Gsf, l' agente scelto è stato soccorso, portato nel suo reparto e quindi ricondotto a Roma. Dopo l' aggressione «non avevo più rivisto il mio giubbotto». Lo ha fatto ieri pomeriggio, nell' ufficio del procuratore. «Me lo sono ritrovato tra le mani e mi ha fatto una grande impressione. Ho pensato a cosa sarebbe potuto accadere se quella lama avesse centrato l' obiettivo». Ha avuto paura? «Direi una bugia se dicessi il contrario». Era pronto a difendersi. Allora. Perché adesso, invece, «non riesco a difendermi dal fango che ci stanno gettando addosso». Accuse, pesanti. Indagini, inchieste. «E mi chiedo il perché. Noi abbiamo fatto il nostro dovere. Sino in fondo».