martedì 1 maggio 2012

DIAZ. PER NON DIMENTICARE



Cominciamo una serie di pubblicazioni sulla scuola Diaz, la macelleria italiana del 2001. Il tema è la polizia italiana e la stampa. Come i media diedero le notizie, come si resero complici di quanto accaduto. E come la polizia fu capace offrire un altissimo grado di repressione attraverso l'uso della tortura, fisica e psicologica, sugli arrestati.

Quello che segue è un articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 31 luglio 2001. Parla l'agente "accoltellato". Fatto mai accaduto, montatura della polizia per melodrammatizzare la selvaggia irruzione e il ferimento di decine di persone inermi.

ABBIAMO SFONDATO LE PORTE DELLA SCUOLA POI CI SIAMO COMPORTATI DA PROFESSIONISTI. NESSUNO DI NOI HA PERSO LA TESTA.

«Altro che ragazzi o agenti alle prime armi. Eravamo tutti poliziotti ben addestrati, preparati all' emergenza. Professionisti». Massimo N., 28 anni, romano, l' agente scelto che è stato colpito con una coltellata durante l' irruzione notturna alla scuola Diaz, alza la voce. Proprio non ci sta a essere messo sul banco degli imputati. Sotto accusa. Lui e i suoi colleghi del primo Reparto mobile di Roma e del Nucleo sperimentale antisommossa. «Al nostro arrivo siamo stati attaccati con sassi, pietre, bottiglie. E per entrare abbiamo dovuto sfondare le porte dei due ingressi». Poi tutto si è svolto così rapidamente all' interno della sede del Genoa Social Forum «che ho ricordi in gran parte confusi. So solo che un ragazzo mi ha colpito. Di sorpresa». Con un' arma da taglio, un coltello a serramanico, marca Quttin Horse Smith & Wesson, come si legge nella relazione dell' ispettore capo di Ps Maurizio Panzieri e aggregato per il summit di Genova al Nucleo Antisommossa. «Un colpo preciso, alla parte sinistra del torace, come si può vedere dal taglio del giubbotto. All' altezza del cuore, con la chiara intenzione di uccidermi. Quel giubbotto speciale, da poco in nostra dotazione, molto simile a quelli usati dai giocatori di hockey, mi ha salvato la vita». L' agente scelto è stato sentito ieri pomeriggio dal procuratore aggiunto Francesco Lalla. Come testimone. Il primo di una lunga serie. Sono le 17.30 quando Massimo esce dall' ufficio del magistrato, dopo un colloquio di circa mezz' ora, «durante il quale ho spiegato la verità su quanto accaduto quella notte. Non le bugie che ho sentito in questi giorni». Cammina aiutandosi con due stampelle «per la sospetta frattura del ginocchio sinistro», spiega. Conseguenza degli scontri con gli antiglobal «durante la manifestazione di venerdì, e non nell' operazione della notte tra sabato e domenica alla Diaz», si affretta a precisare. In quell' occasione «non ho riportato neppure un graffio. La lama del coltello si è fermata prima, grazie alla protezione speciale». Nel racconto di Massimo si legge la drammaticità di quelle ore. «Nonostante la sospetta frattura al ginocchio sono rimasto a Genova. Per continuare nel mio lavoro», sottolinea. Sempre in prima linea. Anche sabato notte. «Erano da poco passate le 22 e stavo cenando con altri colleghi, quando è arrivata la richiesta dell' intervento. Una nostra pattuglia era stata presa di mira da alcuni dimostranti», aggiunge. Confermando la versione fornita nell' annotazione a firma di Spartaco Mortola, dirigente della Digos di Genova. «Erano le 23.30 quando siamo arrivati sul posto. Quanto a quello che è accaduto all' interno, l' ho detto al magistrato». Massimo ha ben impresso nella memoria le modalità dell' intervento. «Per quanto mi riguarda non ho mai perso il controllo». Ed evidenzia il mese di addestramento tecnico, «ma anche psicologico. Nessuno di noi ha perso la testa quella notte». Proprio nessuno? «Sono quasi sicuro. E se qualcuno l' ha fatto è stata la conseguenza di una situazione allucinante. Certo, non è una giustificazione. Chi ha sbagliato, se qualcuno ha sbagliato davvero alla Diaz, si assumerà le sue responsabilità. Spetta al magistrato appurarle. «Mai e poi mai mi sarei aspettato che ci saremmo trovati di fronte a tutto questo», continua Massimo. Le manifestazioni, le cariche, gli scontri, i feriti e un ragazzo morto. «Eravamo pronti all' emergenza. Ma si è andati oltre. Quarantott' ore così non le dimenticherò mai più». Come non dimenticherà più quella coltellata. Dopo l' aggressione nella scuola del Gsf, l' agente scelto è stato soccorso, portato nel suo reparto e quindi ricondotto a Roma. Dopo l' aggressione «non avevo più rivisto il mio giubbotto». Lo ha fatto ieri pomeriggio, nell' ufficio del procuratore. «Me lo sono ritrovato tra le mani e mi ha fatto una grande impressione. Ho pensato a cosa sarebbe potuto accadere se quella lama avesse centrato l' obiettivo». Ha avuto paura? «Direi una bugia se dicessi il contrario». Era pronto a difendersi. Allora. Perché adesso, invece, «non riesco a difendermi dal fango che ci stanno gettando addosso». Accuse, pesanti. Indagini, inchieste. «E mi chiedo il perché. Noi abbiamo fatto il nostro dovere. Sino in fondo». 

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