venerdì 4 maggio 2012

Quando i Black Bloc andavano a Roma

Così apriva "il Messaggero" di Roma il 23 luglio 2001

Il presidente Berlusconi SUL G8: «E’ stato un incontro positivo dal punto di vista del dialogo e sono state prese importanti decisioni. I violenti scontri hanno però appannato il significato e il valore del summit». Per quanto riguarda la guerriglia il Premier ha indicato le responsabilità del Social Forum che, secondo il Viminale, avrebbe protetto i violenti. Sempre secondo il ministero degli Interni il blitz notturno di Genova si è reso indispensabile per fermare i Black Bloc che si stavano preparando per trasferirsi a Roma e manifestare contro Bush. Dal canto suo il vice capo della policia precisa: abbiamo preso gli anarchici armati.


IL FONDO TRACCIAVA UN BILANCIO DEL VERTICE:




NUOVI VANDALI
INCHIODATI
DA FOTO E TV

di ROBERTO MARTINELLI
L’OCCHIO delle telecamere, quelle fisse e quelle mobili, quelle che servono a fare cronaca e quelle più sofisticate dei satelliti spia, rischiano davvero di vanificare le vecchie regole del processo penale fatto di rapporti di polizia, verbali scritti in stile preistorico e di inutili e prolisse requisitorie ed arringhe difensive? A Genova, non è stata filmata solo la morte in diretta di Carlo Giuliani, ma i cento, i mille assalti dei guerriglieri dell’antiglobalizzazione, i corpo a corpo tra polizia e manifestanti, le botte date e quelle ricevute, gli atti di inutile vandalismo. Tutto, e non solo dai cineoperatori delle Tv pubbliche e private, ma anche e soprattutto dalle barbe finte tecnologiche che i servizi segreti di almeno due degli otto "Grandi" hanno tenuto accese sulla città ligure, prima, durante e dopo il summit.
Gran parte di questo materiale finirà nella maxinchiesta che la Procura genovese è stata costretta ad aprire per fare giustizia e verità. Ma laddove era presente una telecamera o un fotoreporter, e a Genova ce ne erano a centinaia, nessun rapporto di polizia giudiziaria potrà rendere altrettanto bene la realtà delle immagini crude, drammatiche e a volte tragiche che l’occhio telematico ha fissato su nastro. E laddove non c’era il cronista o il fotografo di turno, telecamere fisse di banche, strutture portuali, e quelle dei satelliti spia hanno memorizzato dove e come sono nati i focolai di violenza, quali sono state le vie di fuga dell’ala dura dei contestatori, le strategie di attacco poste in essere per tentare di forzare la cosiddetta zona rossa ed anche eventuali ingenuità od errori commessi dalle forze dell’ordine, ammesso che ve ne siano stati.
Una parte del materiale è stato acquisito, un’altra parte richiesto e promesso, un’altra ancora, la registrazione satellitare, dipenderà dalla volontà politica di chi la vuole e di chi la possiede. Se tutte le immagini memorizzate dovessero davvero finire sul tavolo del magistrato, Genova sarebbe in grado di processare centinaia, forse migliaia di persone. Non sarebbe affatto impossibile passare al computer un fotogramma alla volta ed identificare tutti o quasi tutti i violenti dopo averli "denudati" dei passamontagna e di tutti gli altri indumenti usati per nascondere i loro volti. In sedicesimo, questo strumento è stato già usato in passato per individuare i facinorosi degli stadi, i rapinatori di banche e chiunque abbia commesso reati sotto l’occhio freddo e discreto ma sempre vigile delle telecamere fisse disseminate agli angoli delle nostre strade.
E l’aiuto che magistratura e polizia ne hanno avuto è stato spesso determinante, non solo per dare un nome e un volto ad un colpevole, ma anche per smascherare, come è accaduto di recente, persino la simulazione di un sequestro di persona. Basta tutto questo per dire che il processo penale volta pagina e passa dall’era cartacea a quella informatica? Molti passi in questa direzione sono stati fatti, ma i tempi di attesa sono ancora lunghi. Nel settore civile il processo telematico è assai più vicino alla sua realizzazione pratica. Esiste già una normativa che autorizza l’uso della documentazione informatica e a Roma è stata addirittura tentata con successo la simulazione di una udienza via filo con magistrati e avvocati lontani decine di chilometri gli uni dagli altri. Nel processo penale l’unica eccezione al principio dell’oralità del dibattimento è stata fatta per le teleconferenze, un favore fatto ai pentiti per consentire loro di testimoniare lontano dai loro giudici col pretesto di garantire la sicurezza e far risparmiare allo Stato le spese del trasferimenti.
E’ difficile quindi immaginare cosa accadrebbe se tutto, veramente tutto, il materiale filmato sui due giorni di violenze piovesse come d’incanto sulla Procura di Genova. In primo luogo provocherebbe uno sconquasso notevole per la mole delle immagini da catalogare, decrittare, scomporre e leggere nella maniera giusta. In secondo luogo comporterebbe un lunga serie di adempimenti formali per la identificazione dei soggetti incriminabili e la contestuale notifica di informazioni di garanzia o di altri adempimenti previsti dalla legge. In positivo si arriverebbe alla individuazione di un gran numero di soggetti, probabilmente anche di stranieri e alle loro complicità nel nostro paese ed altrove di un movimento pseudorivoluzionario di cui si conoscono ancora poco le origini e gli ispiratori. In negativo si provocherebbe un ingigantimento del processo che le strutture giudiziarie non sono in grado di sostenere.
Ma a complicare le cose ci si metterebbe il principio del libero convincimento del giudice, al quale la magistratura italiana è, a ragione, fortemente legata per tradizione culturale e storica. Esso consiste nella piena libertà del collegio giudicante di valutare anche la più evidente delle prove, quale può essere la foto di chi ha in mano una pistola e viene ripreso nel momento di sparare a quella che viene indicata come la sua vittima. E tale libertà è sovrana non solo nell’interpretazione del fatto storico, ma nella sua configurazione giuridica. L’arma puntata contro Carlo Giuliani può giustificare in astratto tante ipotesi di reato: dall’improbabile omicidio volontario contestato nell’immediatezza del fatto dalla Procura di Genova, al più realistico ma impolitico eccesso colposo di legittima difesa. Tra le due soluzioni giuridiche c’è l’abisso e il magistrato italiano vuole esserne giudice ed arbitro. Ben vangano i centomila fotogrammi delle violenze contro il G8 ma si sappia che la macchina giudiziaria italiana cammina ancora a vapore e molti nostri giudici non sono ancora entrati nel mondo dell’informatica.

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