lunedì 9 settembre 2013

FUORI DAL CORO

Dopo il Forum. Discussione su cosa fare domani. Besiktas
Istanbul, agosto 2013
LO SCRITTORE turco premio Nobel Orhan Pamuk ha ripetutamente manifestato la propria solidarietà con i manifestanti di Piazza Taksim e con quanti sono scesi per le strade in altre città turche durante le manifestazioni di questa estate. Lo ha fatto con dichiarazioni pubbliche, riportate con una certa enfasi anche sui maggiori quotidiani italiani.


Ecco quanto ha dichiarato, ancora in giugno:
“Per dare un senso agli eventi di Istanbul, e per capire quei coraggiosi che scendono in strada e si scontrano con la polizia soffocando tra i fumi velenosi dei gas lacrimogeni, vorrei cominciare con una storia personale. Nel mio libro di memorie Istanbul, ho scritto su come tutta la mia famiglia abitasse negli appartamenti che componevano il palazzo Pamuk a Nisantasi. Di fronte a questo edificio si trovava un castagno che aveva circa cinquant’anni, che per fortuna è ancora lì. Un giorno, però, nel 1957, il comune decise di tagliare quell’albero per allargare la strada. Burocrati presuntuosi e amministratori autoritari ignoravano l’opposizione del quartiere. Così, il giorno in cui l’albero doveva essere abbattuto, mio zio, mio padre, e tutta la famiglia rimasero in strada giorno e notte, facendo a turno per fare la guardia. In questo modo, abbiamo protetto il nostro albero, ma abbiamo anche creato una memoria condivisa che l’intera famiglia ricorda ancora con piacere, e che ci lega l’un l’altro.
Oggi, piazza Taksim è il castagno di Istanbul e deve continuare a esserlo. Ho vissuto a Istanbul per sessant’anni e non riesco a immaginare che possa esistere una sola persona che viva in questa città e non abbia almeno un ricordo legato in qualche modo a piazza Taksim. Negli anni Trenta, nella vecchia caserma di artiglieria che ora vogliono trasformare in un centro commerciale, c’era un piccolo stadio di calcio che ospitava delle gare ufficiali. Il famoso Gazino di Taksim, che fu il centro della vita notturna di Istanbul pertutti gli anni Quaranta e Cinquanta, sorgeva un tempo in un angolo del parco Gezi. In seguito, tutti quegli edifici vennero abbattuti, gli alberi furono tagliati, piantarono nuovi alberi, e lungo un lato del parco costruirono una serie di negozi e la più famosa galleria d’arte di Istanbul.
Negli anni Sessanta, sognavo di diventare pittore e di poter esporre le mie opere in questa galleria. Negli anni Settanta, la piazza fu sede delle entusiastiche celebrazioni dei sindacati di sinistra e delle Ong per il Primo Maggio e, una volta, partecipai anch’io a una di queste celebrazioni. (Nel 1977, quarantadue persone furono uccise in un’esplosione di violenza provocata e nel caos che ne seguì). Da giovane, assistevo con curiosità e con piacere alle manifestazioni che tutti i partiti politici  -  partiti di destra e di sinistra, nazionalisti, conservatori, socialisti, socialdemocratici – tenevano a Taksim.
Quest’anno, il governo ha vietato di celebrare in questa piazza la Festa del Lavoro. E in quanto alla caserma che avrebbe dovuto essere ricostruita, a Istanbul tutti sanno che alla fine ci costruiranno un altro centro commerciale al posto dell’ultimo spazio verde rimasto nel centro della città. Il fatto che dei cambiamenti così significativi, in una piazza e in un parco che custodiscono i ricordi di milioni di persone, siano stati progettati e messi in atto, per quanto riguarda la fase dell’abbattimento degli alberi, senza prima consultare gli abitanti di Istanbul, è stato un grave errore per il governo di Erdogan.
Questo atteggiamento insensibile è chiaramente dovuto a una crescente deriva del governo verso l’autoritarismo. (L’ultimo rapporto sui diritti umani in Turchia è il peggiore degli ultimi dieci anni). Mi riempie, tuttavia, di speranza e di fiducia vedere che la gente di Istanbul non rinuncerà né al suo diritto di tenere manifestazioni politiche in piazza Taksim, né ai suoi ricordi, senza combattere”.
Il dissenso di Pamuk è considerato una cosa normale in Turchia. Un intellettuale di primo piano deve prendere posizione su uno scontro sociale di questa portata, ne ha il dovere. 
In Italia, però, la cosa non funziona. Tolti Vattimo e Erri De Luca, nessuno degli intellettuali più esposti mediaticamente ha mai osato dire una sola parola, di condanna o di solidarietà, con il corrispondente italiano di Taksim - La Valsusa. Mi interessa meno la valanga di critiche piovuta su Erri (nato 1950) e Gianni (nato 1936) anche dalle colonne di quegli stessi giornali che pubblicarono con grande evidenza le dichiarazioni di Pamuk. Penso, invece, che sotto ai 63 anni (tanti ne ha De Luca), non esista una voce fuori dal coro. Perché il silenzio-assenzo in questo paese paga. Perché l'intellettuale di carriera fa, appunto, una carriera. E con lui il giornalista ormai precarizzato, che è terrorizzato dal sottoscala in cui, forse, lo si potrebbe relegare se provasse a tenere la schiena diritta e cercare di mettere insieme due parole: notav e gentrificazione, che in coppia - per il momento - non sono ancora uscite sui mezzi di comunicazione di massa italiani. A Taksim, tra i giovani che discutono, anche in pieno agosto, di cosa fare adesso, il concetto di gentrificazione è scontato. Ne parlano anche di fronte a persone meno istruite e di altra generazione: si capiscono. Vedremo in un prossimo post la connessione che porta direttamente da Taksim e Tahrir a Damasco, passando per la gentrificazione violenta delle grandi aree urbane. E restando a guardare, ancora di più, gli inutili intellettuali che occupano le sedie dei festival di politica, letteratura e arti per parlare del nulla o, come spesso gli accade, del proprio pisello. 







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