martedì 10 settembre 2013

LA LEGGE 190


foto Marconista















Il commento del giurista Davide Steccanella alla legge Severino [l'originale in http://davidesteccanella.postilla.it/2013/09/09/la-decadenza-severino-incostituzionale-e-perche-mai/]. Davide affronta il problema della sua costituzionalità. Forse andrebbe anche affrontato quello della sua assurdità. Si tratta, infatti, di una norma strappata al parlamento sull'onda dell'indignazione popolare contro la casta. Una legge da esame di coscienza, per riparare in qualche modo ai danni pregressi. Un castigo da pagare per mostrare agli italiani che ci siamo rinnovati e non ci corrompiamo più. E come tutte le cose pasticciate, ora si ritorce contro tutto il quadro politico, rischiando di far saltare un piatto già precario di suo.



Come era prevedibile l’interminabile saga paesana che coinvolge il fondatore del partito con cui da ben due esecutivi (e senza soluzione di continuo) il Pd governa non si placa neppure di fronte agli allarmi di una guerra e tiene banco su tutti i media, e trattandosi di vicenda sorta come noto da una sentenza e non già da fisiologici rovesci di natura politica, le questioni alla apparenza giuridica la fanno da padrone.
L’ultima querelle riguarda l’asserita illegittimità costituzionale della norma che impone la immediata decadenza al parlamentare colpito da condanna definitiva superiore agli anni due, una norma voluta e votata non più di qualche mesetto fa sostanzialmente dalla attuale maggioranza, seppur diversamente vestita, il che già rende tale singolare opinione di una parte della stessa ai limiti del paradosso.
Eppure, si legge di illustri giuristi che ne avrebbero individuato il costituzionale difetto nella, sempre si legge, inaccettabile irretroattività da sempre come noto insuperabile ossimoro al fondamento minimale del diritto penale.
Nel mio scarso rudimento dello studio della Suprema carta nostrana dei diritti e dei doveri fatico assai a cogliere non dico la non manifesta infondatezza ma persino la astratta congruità sistematica del citato appunto, risultandomi di solare evidenza che nulla c’entra con il diritto penale siffatto recente regolamento di esclusione.
Parmi ravvisarsi infatti una certa quale analogia con la previsione di esclusione dalle pubbliche gare per quelle imprese il cui rappresentante risulti giudizialmente censurato da condanne per taluni reati, previsione tranquillamente operante da anni, ed avverso la quale nessuno fino ad oggi ebbe a mai ridire alcunchè, e tanto meno sotto il profilo costituzionale, che nulla c’entra.
Peraltro non dovrebbe sfuggire anche la assoluta irrilevanza (oltre che la manifesta infondatezza) della questione proposta che non solo non pregiudica alcun giudiziale accertamento in corso, ma che appare, nei suoi effetti pratici, persino inutile e ripetitiva, stante la previsione della specifica ed omologa pena accessoria sulla quale dovrà solo riadeguarsi, da parte della Corte di Appello, la giusta durata, ma non certo la sua prossima operatività.
E’ di tutta evidenza quindi che stiamo parlando da giorni di una questione giuridicamente inesistente e sulla quale si sta giocando una partita tutta politica per trovare una soluzione a quel che è da tempo sfuggito di mano, magari al fine di sospendere una scomoda pronuncia della Giunta competente che tuttavia, essendo palesemente infondata la citata questione, sarebbe giuridicamente del tutto ingiustificata.
Chi scrive non è mai stato tenero con certe strumentalizzazioni di certi processi dall’ampia valenza politica ma mi fa specie che persone anche molto competenti si prestino a sostenere pubblicamente e con impegnativi termini giuridici, questioni che faticherebbero ad essere tollerate in sede di primo esame universitario.

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