Marconista ringrazia
Di Mario Cervi
Il libro di Marco Clementi Camicie nere sull'Acropoli (DeriveApprodi editore, pagg. 365, euro 23) rievoca l'occupazione italiana della Grecia dopo la guerra che Mussolini aveva scatenato e che s'era messa male a tal punto da richiedere il risolutivo intervento tedesco. Il racconto di Clementi, sorretto da una documentazione impeccabile, prende le mosse dai mesi in cui il Duce, angustiato e inebriato insieme dalle vittorie hitleriane, cercava un nemico che potesse consentirgli di rivaleggiare, in glorie militari, con l'invasato di Berlino. La sensatezza avrebbe richiesto che lo sforzo italiano fosse esercitato in un nostro territorio e contro un avversario importante, ossia in Africa settentrionale. Ma quell'operazione non appariva «utile e facile» come invece apparve, nell'avventata diagnosi di Ciano, l'attacco alla Grecia. Scagliato, paradossalmente, contro un Paese retto dalla dittatura del generale Ioannis Metaxas che dal fascismo aveva mutuato ideologia e rituali. Ma non c'era nessun altro obbiettivo che avesse una comoda contiguità territoriale come quella tra l'Albania - proconsolato di Ciano - e appunto la Grecia.
Anche un'avventura futile e tragica come quella greca, che ci costò quasi 14mila morti e 25mila dispersi - da ritenere morti - assume, se rivista nelle carte, un'ombra di logica. Compito e merito degli storici è di chinarsi su quelle carte. Ma le mosse di Mussolini, che aspirava ad essere ricordato come condottiero - dovendo scegliere un predecessore preferì Cesare ad Augusto - hanno secondo me piena spiegazione in un calcolo e in una smargiassata, l'uno e l'altra clamorosamente sbagliati. Il calcolo fu quello di entrare nel conflitto mondiale, mentre la Wehrmacht irrompeva verso Parigi, nella convinzione che le sorti del conflitto stesso fossero già decise. La smargiassata fu quella d'assalire uno Stato ritenuto debole per acquisire facili allori. Lo smargiasso fu umiliato.
Spettò principalmente agli italiani - i tedeschi avevano il comando effettivo ma per le basse incombenze si tenevano in disparte - il compito di gestire il Paese occupato. Non avevano la capacità di gestirlo, e il risultato fu il terribile inverno 1941-1942 durante il quale in tutta la Grecia, ma in particolare nelle grandi città come Atene e Salonicco, la gente moriva di fame per strada. Furono particolarmente colpiti, com'era logico, gli anziani e i bambini, ad Atene la mortalità infantile passò dal 7 al 35-40 per cento. Ma il ministro degli Scambi e Valute, Oreste Bonomi, lamentava che i tedeschi procedessero a una metodica spoliazione della Grecia, mentre «noi relativamente quasi nulla».
Clementi si occupa largamente della resistenza greca - divisa tra filo-occidentali e filo-sovietici, con tremende lotte fratricide - e indugia, giustamente, su una rappresaglia italiana che assunse connotazioni non lontane da quelle di Marzabotto o di Sant'Anna di Stazzema. Il nome di Domenikon, un villaggio della Tessaglia, ci dice poco. Ma fu teatro di un evento spaventoso. Una formazione partigiana attaccò, il 16 febbraio 1943, un'autocolonna militare italiana. I caduti furono 9, i feriti 26. Il generale Cesare Benelli ordinò al tenente colonnello Antonio De Paola dei lancieri «Milano» di procedere alla ritorsione. Il villaggio fu raso al suolo dall'aviazione, 20 ostaggi vennero abbattuti immediatamente, 118 abitanti di Domenikon, oltre a 17 di Damasios e Mesochorio, furono abbattuti poco dopo. Qualche ferito riuscì a salvarsi fingendosi morto. Al tenente colonnello De Paola fu conferito un encomio solenne per avere «con calma, implacabile energia e intelligente azione di comando assolto perfettamente e completamente i compiti che gli erano stati affidati».
Mi rendo conto della crudeltà che una guerra inevitabilmente comporta. Ma tra Domenikon e le Fosse Ardeatine non vedo molta differenza, anche se Kappler è ricordato come un mostro. Poi da occupanti e rastrellatori che erano, gli italiani divennero rastrellati a opera dei tedeschi, la divisione Acqui fu sacrificata, chi volle unirsi agli andartes (partigiani greci) salvò talvolta la vita ma patì sofferenze disumane. Non fummo «buoni», e gli altri non furono buoni con noi.
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