by Günes Koç (Istanbul, Piazza
Taksim)
Il movimento
universalmente noto come #Resistgezi (in turco Direngezi) aveva chiuso da poco
la sua seconda settimana di vita, quando nella notte del diciottesimo giorno,
il 15 giugno, è stato brutalmente attaccato e disperso con una grande
operazione di polizia che ha usato centinaia di lacrimogeni, idranti e gas chimici. Le strade di Istanbul
sono state chiuse, il trasporto pubblico fermato. I manifestanti in fuga sono
stati rincorsi fin dentro il grande albergo di Piazza Taksim, l’Hotel Divan, ed
è stato attaccato finanche l’ospedale tedesco che sorge nelle vicinanze dove
erano stati soccorsi alcuni feriti. Secondo alcune testimonianze, frammista
all’acqua sparata dagli idranti ci sarebbe stato anche dell’acido che avrebbe
ustionato diversi manifestanti, ma si tratta di una informazione da verificare.
Almeno dall’11
giugno, da quando cioè al Parco Gezi e in altre città della Turchia si sono
registrati forti scontri tra polizia e manifestanti, è stato chiaro a tutti che
non si poteva avere più fiducia nel governo di Ankara, nelle sue promesse e
dichiarazioni.
Il governo,
infatti, fin dall’inizio della protesta ha fatto della disinformazione e del
silenzio imposto a gran parte della stampa un’arma politica, manipolando le
poche notizie che filtravano sui motivi della resistenza. Si tratta di un punto
importante sul quale è bene soffermarsi. La manipolazione dell’informazione,
infatti, ha ottenuto almeno inizialmente un grande impatto sull’opinione
pubblica ed è divenuta una costante nelle strategie comunicative di Erdogan e
della sua parte politica, il Partito della Giustizia e lo Sviluppo (Adalet
ve Kalkınma Partisi- d’ora in poi AKP). Al
punto che l’esecutivo è stato ribattezzato sui social-network e sui principali
organi di informazione indipendenti “il governo delle bugie di Erdogan”. Per
capire il grado di manipolazione messo in atto dall’AKP attraverso i suoi
slogan: “Noi siamo il Partito del Popolo” e “Noi rappresentiamo la
maggioranza”, vediamo quali sono state, fino ad oggi, le principali falsità
diffuse attraverso i mezzi di comunicazione.
La prima
evidente menzogna di Erdogan è stata la dichiarazione che un gruppo di
manifestanti, attaccati e feriti durante uno dei primi scontri, rifugiatisi
nella moschea di Dolmabahce,
avrebbero portato con sé bevande alcoliche, consumate poi all’interno
del luogo sacro. “Questi marginali – recitava uno slogan del governo – sono
contro le nostre tradizioni e la nostra religione”. Per compattare la parte
conservatrice dell’elettorato e porre in pessima luce i dimostranti, Erdogan ha
insistito molto su questo punto, sottolineando più volte che “hanno bevuto
alcolici nella nostra moschea”. Una seconda bugia del partito di governo, che
ha avuto in grande impatto sulla parte dell’opinione pubblica più nazionalista,
è stata quella secondo la quale i manifestanti di Gezi avrebbero bruciato la
bandiera turca. Il sindaco di Ankara, Melih Gökcek, ha poi affermato che
all’interno delle tende del Parco Gezi “accadeva ogni sconcezza” e che i manifestanti
erano persone senza morale. A questa serie di dichiarazioni si è aggiunta la
notizia di presunti pestaggi da parte dei manifestanti contro donne con il velo
passate casualmente nei pressi del parco. Infine, la menzogna più consistente,
riguardante l’attesa del pronunciamento dell’Alta corte di giustizia e
l’indizione di un referendum sul destino del Paco Gezi.
La reazione a
queste provocazioni è stata forte, anche se i gli occupanti del Parco sono
stati costretti sulla difensiva per cercare di dimostrare l’infondatezza delle
accuse. Un importante gruppo di donne con il velo ha diffuso un comunicato nel
quale affermano di essere parte della resistenza, mentre l’imam della moschea
di Dolmabahce ha smentito la notizia sulla profanazione del luogo e ha
affermato che lì si è solo proceduto alla cura e alla difesa dei feriti.
Si tratta di pochi esempi, che sono però indicativi
di quanto alto sia il livello dello scontro politico e sociale in atto a piazza
Taksim. Del resto, la manipolazione dell’informazione si è intensificata in
seguito agli attacchi della polizia a partire dall’11 giugno, quando si è
parlato di “trattative in corso” tra manifestanti e governo. In realtà, il
gruppo di persone che il 12 giugno si è incontrato con il governo non è stato
riconosciuto come rappresentativo da Gezi e solo la delegazione del 13 giugno,
che aveva aperto nuovi negoziati con il governo, aveva avuto mandato dalla
piazza. I negoziati, però, si sono conclusi senza che da parte del governo
venissero fatte concessioni accettabili: le richieste del movimento sono state
respinte e per questo la delegazione ha deciso di continuare con l’occupazione
e la resistenza. Nel suo intervento di sabato 15 giugno, quindi, Erdogan ha
bollato come marginali i manifestanti e dichiarato illegittima l’occupazione,
lasciando intendere che si prospettava un nuovo intervento della polizia,
sebbene non a breve. Fino ad oggi, la sua ultima mezogna.
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