Ringrazio le compagne e i compagni che ieri hanno manifestato in maniera così forte la loro solidarietà. Che non deve andare a me, però, ma a tutti quei giovani, e meno giovani, scesi a manifestare contro un esito elettorale scontato. Alcuni erano giovanissimi, ancora minorenni. Non vogliono ritrovarsi adulti con lo stesso presidente, lo stesso regime. Ne parleremo ancora.
Il punto, oggi, è la repressione: da Valencia ad Atene, dalla Val Susa a Mosca e San Pietroburgo, viene dosata secondo le tradizioni, le possibilità, la volontà politica dei governi. In Italia e in Grecia il grado di violenza è altissimo. Lo scontro è fisico, i gas vengono sparati dentro i treni, le teste rotte dai manganelli. In Russia, come si vede dalle foto, lo scopo è l'intimidazione. I manifestanti vengono presi e portati via, in stato di fermo. In commissariato si passa alla schedatura dei fermati, quindi si stila un protocollo con i capi di imputazione: manifestazione non autorizzata, vandalismo, resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio.
Si tratta di fermi politici, ma appaiono come violazioni dell'ordine pubblico. E' intimidazione, perché le persone non vadano in piazza il giorno dopo.
Non voglio sopravvalutare l'importanza che noi rappresentiamo per chi governa questo delicato momento storico. Non scriverò che ci temono. Posso dire, però, che diamo un certo fastidio. Perché siamo tanti, abbiamo i nostri canali di comunicazione alternativi, testimoniamo e non lasciamo soli i compagni che cadono nella loro rete.
Ad Atene, poche settimane fa, fece scalpore una vecchia intervista di Cossiga, nella quale parlava di infiltrati tra i manifestanti. Inconcepibile per un greco un atto così meschino. E ancor di più che un ex presidente della Repubblica potesse parlarne in quel modo, senza che il giornalista reagisse con sorpresa, sdegno, o indignazione.
Qui in Russia la questione dei mezzi di informazione è più complessa che da noi e la tengo da parte per i prossimi giorni.
Ma quando in Italia si esalta un carabiniere, perché non riempie di manganellate un giovane che lo sta apostrofando, decontestualizzando l'episodio da giornate intere di mobilitazione e proteste, dove reazione c'è stata in abbondanza, questo significa che la strada è pronta. E che l'informazione è schierata. Ha già deciso.
Genova è stata la svolta. Avevamo ragione a dirlo allora, e dobbiamo ribadirlo adesso. E' stata la svolta della repressione nell'era della globalizzazione.
Né erano errate le analisi sul fenomeno. La globalizzazione impoverisce sia il Nord che il Sud del pianeta, distrugge società civili, riduce il lavoro, aumenta lo sfruttamento. E' un mutamento strutturale della produzione e della distribuzione della ricchezza, gestito dall'alto dai governi più solidi e dalle istituzioni finanziarie internazionali. E non c'è mutamento strutturale senza l'intervento decisivo della repressione organizzata o l'uso graduale della violenza.
Con questo dobbiamo misurarci.
Un forte, fortissimo abbraccio a Luca Abbà. Gli auguro di tornare presto.
M.
Il punto, oggi, è la repressione: da Valencia ad Atene, dalla Val Susa a Mosca e San Pietroburgo, viene dosata secondo le tradizioni, le possibilità, la volontà politica dei governi. In Italia e in Grecia il grado di violenza è altissimo. Lo scontro è fisico, i gas vengono sparati dentro i treni, le teste rotte dai manganelli. In Russia, come si vede dalle foto, lo scopo è l'intimidazione. I manifestanti vengono presi e portati via, in stato di fermo. In commissariato si passa alla schedatura dei fermati, quindi si stila un protocollo con i capi di imputazione: manifestazione non autorizzata, vandalismo, resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio.
Si tratta di fermi politici, ma appaiono come violazioni dell'ordine pubblico. E' intimidazione, perché le persone non vadano in piazza il giorno dopo.
Non voglio sopravvalutare l'importanza che noi rappresentiamo per chi governa questo delicato momento storico. Non scriverò che ci temono. Posso dire, però, che diamo un certo fastidio. Perché siamo tanti, abbiamo i nostri canali di comunicazione alternativi, testimoniamo e non lasciamo soli i compagni che cadono nella loro rete.
Ad Atene, poche settimane fa, fece scalpore una vecchia intervista di Cossiga, nella quale parlava di infiltrati tra i manifestanti. Inconcepibile per un greco un atto così meschino. E ancor di più che un ex presidente della Repubblica potesse parlarne in quel modo, senza che il giornalista reagisse con sorpresa, sdegno, o indignazione.
Qui in Russia la questione dei mezzi di informazione è più complessa che da noi e la tengo da parte per i prossimi giorni.
Ma quando in Italia si esalta un carabiniere, perché non riempie di manganellate un giovane che lo sta apostrofando, decontestualizzando l'episodio da giornate intere di mobilitazione e proteste, dove reazione c'è stata in abbondanza, questo significa che la strada è pronta. E che l'informazione è schierata. Ha già deciso.
Genova è stata la svolta. Avevamo ragione a dirlo allora, e dobbiamo ribadirlo adesso. E' stata la svolta della repressione nell'era della globalizzazione.
Né erano errate le analisi sul fenomeno. La globalizzazione impoverisce sia il Nord che il Sud del pianeta, distrugge società civili, riduce il lavoro, aumenta lo sfruttamento. E' un mutamento strutturale della produzione e della distribuzione della ricchezza, gestito dall'alto dai governi più solidi e dalle istituzioni finanziarie internazionali. E non c'è mutamento strutturale senza l'intervento decisivo della repressione organizzata o l'uso graduale della violenza.
Con questo dobbiamo misurarci.
Un forte, fortissimo abbraccio a Luca Abbà. Gli auguro di tornare presto.
M.
Nessun commento:
Posta un commento