martedì 24 gennaio 2012

Da Vika a Kuleshov. La Bielorussia in cronaca nera

Una bambina bielorussa di nome Vika (vezzeggiativo di Viktorija), venne affidata per un breve periodo allo Stato italiano e attraverso l’amministrazione locale di Cogoleto, fu ospitata da una famiglia italiana per alcuni giorni. La stessa la sottrasse, nascondendola per circa tre settimane e impedendone il rientro in patria fino al suo ritrovamento da parte della polizia italiana.
Si trattò, allora, di una vicenda esemplare, perché in essa si delineano alcuni tratti, sia dell’italianità, sia del tempo nel quale viviamo.
Un tratto storico dell’italianità, che dovrebbe oggi essere superato, è il cambio del nome: da Vika a Maria, che suona certamente più cristiano. Noi italiani, purtroppo, lo abbiamo fatto spesso in passato: abbiamo cambiato in nomi delle strade, delle città e dei luoghi naturali in Istria, Dalmazia e Tirolo Meridionali, costringendo gli abitanti a "italianizzare" il proprio cognome.
Per quanto riguarda i tempi che corrono, si noti l’incidenza dell’iniziativa privatistica a discapito di quella di uno Stato che dovrebbe essere il garante del diritto.
Secondo quella famiglia che sottrasse la piccola Vika, esisterebbe una legge superiore a quella degli uomini, una legge morale simile a quella che contrappose Antigone a Creonte. Nulla di più falso. Anche Creonte evoca la morale e non giustifica Antigone perché, afferma, i morti non sono tutti uguali. Chi è morto tradendo non può aspirare a una degna sepoltura. Antigone, che vìola questa disposizione, VOLUTA dagli dei, si assume però tutta la responsabilità del suo gesto, e in questo acquista dignità.
Nel caso di Vika, invece, la coppia di Cogoleto non si è assunse nulla. Sottrasse un minore, nascondendolo, non dandogli la possibilità di parlare e spiegare, ma svolgendo il ruolo di suo portavoce e arrogandosene un altro, quello di "genitori affidatari" che non solo i due non avevano, ma che è stato addirittura distorto nella sua valenza.
Il parlamento italiano, infatti, ha adottato nel 2001 la legge 149 con la quale il minore ha acquisito nuovi diritti. La legge prevede la chiusura degli istituti per i minori e la loro sostituzione o con case-famiglia e l’assegnazione dei minori a genitori affidatari, cosa assolutamente diversa dall’adozione, direi praticamente opposta. L’affidamento, infatti, ha come fine ultimo la conservazione della famiglia di provenienza del minore, che mentre lo stesso si trova presso un’altra coppia, dovrà essere sostenuta grazie all’intervento dei servizi sociali e degli enti locali. L’affidamento, dunque, è assolutamente temporaneo e non recide in alcun modo le radici del minore, come accade, invece, nel caso dell’adozione, dove il bambino diventa, per così dire, "proprietà" dei nuovi genitori.
Si tratta di una legge innovativa rispetto al passato, perché, come dice all’articolo 5, il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di LINGUA, di RELIGIONE, e nel rispetto della IDENTITA’ CULTURALE del minore e comunque non in contrasto con i princìpi fondamentali dell'ordinamento italiano. La coppia di Cogoleto, e dietro lei tutto il comune rappresentato dal sindaco, hanno violato la lettera di questa legge, tentando di sottrarla al suo retaggio culturale attraverso l’impedimento al ritorno in patria dove, peraltro, vive un fratello.
La risposta dello Stato italiano venne affidata alla sola magistratura, mentre la politica latitò, soprattutto a sinistra (si ricorderà il caso del piccolo cubano Elìan, riconsegnato infine al padre a Cuba dopo il tentativo dei parenti di naturizzarlo statunitense. Le autorità di Washington, alla fine, decisero. Da noi, nulla. Si è atteso "il ritrovamento").
La magistratura evitò di assumere provvedimenti restrittivi nei confronti della coppia, ma respinse il loro ricorso in quanto quei due signori, non essendo neanche "affidatari", non avevano i titoli per un’azione legale, di nessun tipo. Ciò, però, è accadde con grave ritardo, quando già Vika si trovava in Bielorussia.
Il governo di Minsk, con grande dignità, si limitò a reclamare il ritorno della sua cittadina in patria. "L’ultimo dittatore" Lukashenko, non ha proferito parola al riguardo, lasciando che fossero i ministeri competenti ad occuparsene. Che ribadirono la possibilità che la bambina possa venire adottata, secondo le procedure previste dalla legge. Una lezione, l’ennesima. 

Il presidente bielorusso Lukashenko
Perché lo ricordo oggi?
Perché di Bielorussia si parla molto poco. Sta diventando una specie di Corea del Nord europea. Chiusa, distante (apparentemente), nota alle cronache solo quando accade qualcosa di negativo o per i "bambini di Chernobyl", che oggi sono più che ventenni.
Anatoly Kuleshov
ministro degli Interni
bielorusso
Il 19 gennaio Una denuncia per torture è stata depositata a Parigi nei confronti del ministro degli Interni bielorusso Anatoly Kuleshov, come dichiarato dall’avvocato di un gruppo di vittime, William Bourdon. Il legale delle “vittime del regime di Alexander Lukashenko e del suo ministro degli Interni” ha presentato la denuncia per “atti di tortura e trattamenti crudeli e degradanti” seguiti alle elezioni presidenziali del 19 dicembre 2010. Come si ricorderà, la sera delle elezioni  si svolse a Minsk una grande una manifestazione di protesta contro l’esito del voto alla quale parteciparono decine di migliaia di persone. La manifestazione venne repressa con la violenza e oltre  600 manifestanti furono arrestati.

Il 19 gennaio Kuleshov si trovava in Francia, a Lione, per partecipare a una riunione dell’Interpol. Bourdon ne ha chiesto  “l’arresto immediato” perchè venga messo a disposizione della giustizia francese. “Ci troviamo oggi di fronte a una situazione di urgenza estrema” ed è “indispensabile un’azione rapida che possa avviare un’inchiesta per stabilire le responsabilità della violazioni commesse”, scrive Bourdon nella denuncia trasmessa anche al ministro della Giustizia francese Michel Mercier.

La Francia non è nuova a questo tipo di interventi umanitari. Da oggi è legge la norma che prevede il carcere per chi nega il genocidio degli Armeni del 1916. Ne parleremo presto.



















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