Una casa editrice milanese sta lavorando a una biografia di Oriana Fallaci. Uscirà nel 2012.
Oriana Fallaci ha costituito uno dei maggiori casi letterari che l'Italia abbia avuto negli ultimi decenni e che dopo la sua morte è destinato probabilmente a rinnovarsi; io stesso, che mi ero fermato a "Un uomo", forse finirò per leggere qualcosa di più rabbioso e orgoglioso.
Si conosceva bene la giornalista. Essa aveva un ego ragguardevolmente ipertrofico che le imponeva di dividere con la sua scrittura. Talentuosa, scrupolosa, concepiva la sua professione come una missione e si era convinta, specialmente negli ultimi anni di vita, di essere nel giusto. Prigioniera di questa sua convinzione, la Fallaci ha prodotto molti danni e ha contribuito alla polarizzazione dell'opinione pubblica italiana in un momento nel quale sarebbe servito soprattutto ragionare. Si considerava, peraltro, una storica e non apprezzava gli storici di professione - gli studiosi, insomma - in quanto, diceva, essi arrivavano a occuparsi di un avvenimento due o trecento anni dopo e pretendevano di ritrovare la verità leggendo fonti scritte da così tanto tempo e probabilmente manipolate da altri interventi. Il giornalista, invece, che osserva direttamente i fatti che descrive, è l'unico portatore di verità e, dunque, non si deve dubitare di ciò che ci viene detto quando si ascolta la Tv o si legge la stampa.
Si tratta di una grave mistificazione della realtà. Il giornalista che racconta un fatto crea nel migliore dei casi una "Cronaca" (o parte di essa). Quello che intervista un uomo politico ecc., o compie un'inchiesta, crea un documento. Sia la Cronaca che l'intervista o l'inchiesta diventano delle fonti e possono essere usate dallo storico, che si differenzia dal giornalista e dal cronista proprio per la possibilità che egli ha, e offre agli altri, di controllare le fonti non solo in quel momento, ma sempre, anche a distanza di cento anni da uno storico di un'altra epoca. Quando non è possibile fare ciò, si esce dall'ambito scientifico e si entra altrove. Ciò è dirimente, in quanto è proprio la possibilità di controllare le fonti (che corrisponde in fisica a quella di ripetere un esperimento in laboratorio), a fare della storia una scienza, a differenza del giornalismo, che è una professione.
I danni provocati dall'esaltazione di certe argomentazioni della Fallaci, proveniente del resto essenzialmente da suoi colleghi, contribuisce alla mancanza di chiarezza che contraddistingue le pagine dei giornali italiani negli ultimi anni sulle quali, troppo spesso, si parla sempre di "altro". Da storico ritaglio e conservo i quotidiani, o li fotografo, ostinandomi a non dare retta a Kraus, per il quale il giornale del giorno prima era buono solo per incartare il pesce. Ma forse aveva ragione lui.
Oriana Fallaci ha costituito uno dei maggiori casi letterari che l'Italia abbia avuto negli ultimi decenni e che dopo la sua morte è destinato probabilmente a rinnovarsi; io stesso, che mi ero fermato a "Un uomo", forse finirò per leggere qualcosa di più rabbioso e orgoglioso.
Si conosceva bene la giornalista. Essa aveva un ego ragguardevolmente ipertrofico che le imponeva di dividere con la sua scrittura. Talentuosa, scrupolosa, concepiva la sua professione come una missione e si era convinta, specialmente negli ultimi anni di vita, di essere nel giusto. Prigioniera di questa sua convinzione, la Fallaci ha prodotto molti danni e ha contribuito alla polarizzazione dell'opinione pubblica italiana in un momento nel quale sarebbe servito soprattutto ragionare. Si considerava, peraltro, una storica e non apprezzava gli storici di professione - gli studiosi, insomma - in quanto, diceva, essi arrivavano a occuparsi di un avvenimento due o trecento anni dopo e pretendevano di ritrovare la verità leggendo fonti scritte da così tanto tempo e probabilmente manipolate da altri interventi. Il giornalista, invece, che osserva direttamente i fatti che descrive, è l'unico portatore di verità e, dunque, non si deve dubitare di ciò che ci viene detto quando si ascolta la Tv o si legge la stampa.
Si tratta di una grave mistificazione della realtà. Il giornalista che racconta un fatto crea nel migliore dei casi una "Cronaca" (o parte di essa). Quello che intervista un uomo politico ecc., o compie un'inchiesta, crea un documento. Sia la Cronaca che l'intervista o l'inchiesta diventano delle fonti e possono essere usate dallo storico, che si differenzia dal giornalista e dal cronista proprio per la possibilità che egli ha, e offre agli altri, di controllare le fonti non solo in quel momento, ma sempre, anche a distanza di cento anni da uno storico di un'altra epoca. Quando non è possibile fare ciò, si esce dall'ambito scientifico e si entra altrove. Ciò è dirimente, in quanto è proprio la possibilità di controllare le fonti (che corrisponde in fisica a quella di ripetere un esperimento in laboratorio), a fare della storia una scienza, a differenza del giornalismo, che è una professione.
I danni provocati dall'esaltazione di certe argomentazioni della Fallaci, proveniente del resto essenzialmente da suoi colleghi, contribuisce alla mancanza di chiarezza che contraddistingue le pagine dei giornali italiani negli ultimi anni sulle quali, troppo spesso, si parla sempre di "altro". Da storico ritaglio e conservo i quotidiani, o li fotografo, ostinandomi a non dare retta a Kraus, per il quale il giornale del giorno prima era buono solo per incartare il pesce. Ma forse aveva ragione lui.
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