Roberto Saviano |
La parabola vale per Saviano. È uno scrittore, mica un lettore! E si vede! Lasciamo da parte le sue invenzioni, già commentate a proposito della Politkovskaja. Il fatto è che quando si toccano con una certa ricorrenza argomenti delicati, come la violenza, si dovrebbero avere spalle larghe formatesi nelle biblioteche. Si dovrebbe aver letto qualche classico, partendo dai greci per poi arrivare ai giorni nostri.
Vabbè, direte, saltiamo i greci che è roba vecchia. Saltiamo anche Cicerone, che è tosto. Anche Machiavelli, che è sempre scivoloso. Marx, per carità, fuori moda. Lenin, peggio, un criminale avanzo di galera che per una serie di coincidenze irripetibili si è ritrovato a cambiare la storia del '900. Lasciamo perdere anche le direzioni strategiche delle BR, che è terrorismo. Ma un essere mite, uno studioso di chiara fama, un nome conosciuto in tutto il mondo e lodato ad ogni latitudine, quel Walter Benjamin di cui muove a compassione il solo sentir pronunciarne il nome (fateci caso come suona dolce: W-a-l-t-e-r B-e-n-j-a-m-i-n), questo grande intellettuale del secolo scorso non merita l'oblio di Saviano (ovvero, non lo meriterebbe se la fama di Saviano corrispondesse alla sostanza).
In "Angelus Novus", saggi e frammenti pubblicati da Einaudi, a cura di Renato Solmi e con un saggio di Fabrizio Desideri (mica Mario Moretti o Barbara Balzerani), il mite Walter ragiona sul "problema della legittimità di certi mezzi, che costituiscono la violenza" (p. 7). E prosegue:
«La distinzione ha luogo fra violenza storicamente riconosciuta (la violenza come potere) e la violenza non sanzionata. Le analisi seguenti muovono da questa distinzione, ciò naturalmente non significa che poteri dati vengano ordinati e valutati secondo che sono sanzionati o no. Poiché in una critica della violenza il criterio del diritto positivo non può trovare la sua semplice applicazione, ma deve piuttosto essere giudicato a sua volta».
Parole pesanti, no? Se il criterio stabilito dal diritto positivo per la legittimità della violenza può essere analizzato solo secondo il suo significato, continua, «la sfera della sua applicazione deve essere criticata secondo il suo valore».
Per Benjamin, che ne aveva visto di persona l'applicazione «il militarismo è l'obbligo dell'impegno universale della violenza come mezzo ai fini dello Stato». Urca! «ogni violenza è, come mezzo, potere che pone o che conserva il diritto» Urca!!
Per Benjamin, che ne aveva visto di persona l'applicazione «il militarismo è l'obbligo dell'impegno universale della violenza come mezzo ai fini dello Stato». Urca! «ogni violenza è, come mezzo, potere che pone o che conserva il diritto» Urca!!
E, infine: «È in generale possibile il regolamento non violento di conflitti? Senza dubbio. I rapporti fra persone private ne offrono esempi a iosa». Ma «la critica della violenza è la filosofia della sua storia. La filosofia di questa storia, in quanto solo l'idea del suo esito apre una prospettiva critica, separante e decisiva, sui suoi dati temporali. Uno sguardo rivolto al più vicino può permettere tutt'al più un'altalena dialettica tra le forme della violenza che pone e che conserva il diritto. La legge di queste oscillazioni si fonda sul fatto che ogni violenza conservatrice indebolisce, a lungo andare, indirettamente, attraverso la repressione delle forze ostili, la violenza creatrice che è rappresentata in essa».
Ecco, in breve sintesi, la complessità di un argomento che Saviano riduce constantemente alla dialettica scrittore-lettore. Facendo a sua volta violenza all'intelligenza di molti. Mi scuserà, Benjamin, se ho osato accostare due nomi così distanti. Anche questa è violenza, con mio grande rammarico.
Nessun commento:
Posta un commento