sabato 24 dicembre 2011

La morte di Bocca, Saviano e lo sciacallo "Repubblica"

Se qualcuno dei camorristi vuole ancora oggi uccidere lo scrittore napoletano Saviano, si tratta di un problema serio: Saviano va protetto dallo Stato, a lui deve andare la solidarietà di tutti e la lotta alla camorra va condotta anche perché nessuno possa, né oggi, né in futuro, minacciare di morte qualcuno solo perché abbia scritto. Saviano deve poter vivere da uomo libero in una società libera.
Se ciò fosse realizzato, potrei forse argomentare con più serenità quello che sto per scrivere e che non posso, nonostante il momento, anzi, proprio per il momento, non dire. Saviano scrittore e il fenomeno Saviano non mi piacciono.
I motivi sono tre: il primo riguarda proprio la lotta alla camorra. Ridurla a Saviano, identificarla con il giovane scrittore napoletano, significa rischiarne il discredito qualora il libro “Gomorra” fosse discreditato o il personaggio Saviano perdesse di veridicità e dunque di stima generale.
Il secondo motivo è più propriamente pertinente al suo mestiere. Non mi piace come scrive e non mi piace il libro “Gomorra”. Non è un romanzo, ma non è neanche un saggio. È un saggio in fiction dove i fatti vengono raccontati per sentito dire o per averli visti di persona. Si ha l’impressione che lo scrittore abbia frequentato gli stessi ambienti dei camorristi, non come un alieno, bensì dal di dentro, pur ovviamente non essendo mai stato un camorrista. Era lì, osservava. Lo conoscevano, lo lasciavano osservare. Poi, ha scritto il libro. Perché dovrei fidarmi? Perché dovrei identificare veridicità e verità? Solo perché si tratta della camorra, che è il male. Non può bastare e a me, che faccio lo storico, non basta. Dunque, “Gomorra” non aggiunge nulla di nuovo a quello che già conoscevo. Lo fa di più una sentenza di un tribunale di Napoli.E, infine, il terzo motivo. Da quando è uscito il libro, Saviano ripete sempre le stesse cose. Da un lato afferma che lo si vuole uccidere non per lo scrittore in sé, ma per il libro, perché la camorra avrebbe paura della pubblicità. Un lettore, afferma in ogni occasione, prende coscienza e se tutti avessero coscienza la camorra non potrebbe più continuare a fare le sue operazione nel silenzio. In tutti questi anni non è mutata la situazione?

E' morto Giorgio Bocca. Cosa c'entra Saviano con Bocca? Nulla. Di lui Bocca aveva detto, nel novembre 2010, "è uno che recita, un bravo attore" e ancora "la mafia è troppo divertente in Gomorra per essere vera".
Un giudizio, come si vede, senza appello.



Eppure, in occasione della morte del grande giornalista, Saviano lo rievoca su "Repubblica", che non perde occasione. Comincia con un colloquio tra Carlo Alberto Dalla Chiesa e Bocca che parlano di mafia. Il loro, afferma, era amore per il sud, "da italiani che sapevano di essere parte di quella stessa terra così lontana dai portici delle città sabaude, costruiti per proteggere da un clima europeo che il sole della Sicilia e della Campania non sa immaginare: un amore che andava oltre il senso del dovere o della professione e che per questo si trasformava in denuncia, nella metodica, sistematica analisi di quanto il male fosse profondo nella vita della gente che non sapeva, non voleva, non poteva ribellarsi."

Dalla Chiesa, il creatore delle Carceri Speciali durante gli anni Settanta e dell'operazione Camoscio, quando centinaia di brigatisti e altri combattenti di sinistra furono deportati dai normali uffici di pena ai "kampi" sulle isole del meridione. Bell'amore per quella terra! La violazione dei più elementari diritti del cittadino, del cittadino più debole di tutti, quello in carcere, e l'inizio della sistematica violenza per sconfiggere la lotta armata. 
Vuole capire, afferma Saviano, ma non comprende la violazione più elementare della dignità umana. Secondini che spezzano ossa, colpiscono a freddo, impongono la loro legge e non quella del diritto. Familiari costretti a giorni di viaggio per visitare i prigionieri, umiliati da sistematiche perquisizioni vaginali e anali, respinti, a volte, per motivi burocratici. Questo è stato Dalla Chiesa. Che poco o nulla aveva da spartire con il partigiano Bocca.
Che poi, Bocca avrebbe insegnato qualcosa a Saviano, ossia a "raccontare senza avere scrupoli né sentirmi un traditore", lo vorrei proprio vedere. Vorrei conoscere gli orari dei loro incontri, i luoghi, le parole dette e la stima, se c'era, che Bocca dimostrava allo scrittore campano. Ci si paragona, si mette al suo stesso livello, perché qualcuno lo avrebbe accusato, come Bocca, di essere un "rinnegato", un "antimeridionale". Non ricordo, francamente, se non qualche camorrista da quattro soldi. Quelli ricchi, tra l'altro, stanno a Milano. Ieri uno di loro momenti mi investe con una Bently. Sulle strisce, ovviamente. E mi manda anche a cagare. 
Ma torniamo a Bocca. Ha fatto dell'essere "antitaliano", scrive Saviano una virtù. 
Mi ritorna in mente un motivetto: "Io non sento italiano, ma per fortuna o purtroppo, lo sono". Lo metterò in coda al pezzo. Non era di Saviano, né di Bocca, né di Dalla Chiesa, ma di Gaber. Giorgio.
Caro Saviano, non so chi frequenti. Ma qui, non ci sono in giro molti che si arrendono ai luoghi comuni, come tu scrivi. Almeno, io ne conosco pochi. E li evito con molta circospezione. Ma la mia vita è piena di persone che ragionano con la loro testa, e non grazie a te. Forse un po' grazie a Bocca. Ma è qualche goccia in un mare di stimoli e di letture, molte ben più importanti e appassionate. 
Alla fine del suo pezzo, Saviano scopre che a Sud di Roma è difficile ascoltare racconti di partigiani. Direi impossibile. 



Giorgio Gaber
Io non mi sento italiano


Mi scusi Presidente
non è per colpa mia
ma questa nostra Patria
non so che cosa sia.
Può darsi che mi sbagli
che sia una bella idea
ma temo che diventi
una brutta poesia.
Mi scusi Presidente
non sento un gran bisogno
dell'inno nazionale
di cui un po' mi vergogno.
In quanto ai calciatori
non voglio giudicare
i nostri non lo sanno
o hanno più pudore.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Mi scusi Presidente
se arrivo all'impudenza
di dire che non sento
alcuna appartenenza.
E tranne Garibaldi
e altri eroi gloriosi
non vedo alcun motivo
per essere orgogliosi.
Mi scusi Presidente
ma ho in mente il fanatismo
delle camicie nere
al tempo del fascismo.
Da cui un bel giorno nacque
questa democrazia
che a farle i complimenti
ci vuole fantasia.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Questo bel Paese
pieno di poesia
ha tante pretese
ma nel nostro mondo occidentale
è la periferia.

Mi scusi Presidente
ma questo nostro Stato
che voi rappresentate
mi sembra un po' sfasciato.
E' anche troppo chiaro
agli occhi della gente
che tutto è calcolato
e non funziona niente.
Sarà che gli italiani
per lunga tradizione
son troppo appassionati
di ogni discussione.
Persino in parlamento
c'è un'aria incandescente
si scannano su tutto
e poi non cambia niente.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Mi scusi Presidente
dovete convenire
che i limiti che abbiamo
ce li dobbiamo dire.
Ma a parte il disfattismo
noi siamo quel che siamo
e abbiamo anche un passato
che non dimentichiamo.
Mi scusi Presidente
ma forse noi italiani
per gli altri siamo solo
spaghetti e mandolini.
Allora qui mi incazzo
son fiero e me ne vanto
gli sbatto sulla faccia
cos'è il Rinascimento.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Questo bel Paese
forse è poco saggio
ha le idee confuse
ma se fossi nato in altri luoghi
poteva andarmi peggio.

Mi scusi Presidente
ormai ne ho dette tante
c'è un'altra osservazione
che credo sia importante.
Rispetto agli stranieri
noi ci crediamo meno
ma forse abbiam capito
che il mondo è un teatrino.
Mi scusi Presidente
lo so che non gioite
se il grido "Italia, Italia"
c'è solo alle partite.
Ma un po' per non morire
o forse un po' per celia
abbiam fatto l'Europa
facciamo anche l'Italia.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo
per fortuna o purtroppo
per fortuna
per fortuna lo sono.


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