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mercoledì 15 gennaio 2014

CARIOTI SU INTELLETTUALI E ISRAELE




Antonio Carioti sul sito del Corriere. Importanti segnalazioni e una materiale di discussione.


La questione ebraica resta aperta, più viva che mai, controversa quanto i giudizi che abbiamo udito in occasione della morte di Ariel Sharon. E la complessità di questi temi può dare adito a indebite semplificazioni, anche da parte di studiosi attenti e raffinati. Enzo Traverso, nel saggio La fine della modernità ebraica (Feltrinelli), coglie e deplora una svolta conservatrice nell’orientamento prevalente degli intellettuali ebrei: un tempo, scrive, erano «la coscienza critica» dell’Occidente, ne illuminavano il lato oscuro; oggi, allineati in maggioranza al sionismo e all’impero americano, ne sorreggono «il dispositivo di dominio». Invece lo storico israeliano Shlomo Sand, nel libro Come ho smesso di essere ebreo (Rizzoli), afferma che «non esiste un retaggio culturale specificamente ebraico all’infuori di quello religioso», contestando quindi la stessa ragion d’essere dello Stato in cui vive, dipinto come una «etnocrazia» sedicente laica, ma retta su un’impalcatura confessionale.
Insomma, Traverso rimpiange un ebraismo (ateo e progressista) che secondo Sand non è mai esistito in quanto tale. I due autori condividono però la critica radicale a Israele, di cui denunciano l’atteggiamento oppressivo verso i palestinesi e l’uso strumentale della Shoah. Posizioni simili a quelle espresse da Moni Ovadia e Judith Butler nello speciale che l’ultimo numero della rivista «MicroMega» dedica al sionismo. Eppure Traverso ammette «la vitalità della nazione israeliana odierna». E Sand riconosce che l’identità culturale plasmata dal sionismo «si è consolidata con una rapidità stupefacente», cogliendo un successo che «non ha precedenti nella storia». Ma se l’impresa è stata titanica, si può davvero pensare che le sue fondamenta siano così fragili e malsane?
Popoli e nazioni sono in realtà creature politiche assai più che culturali. E alle origini dell’attuale identità ebraica, a parte il vincolo religioso, troviamo appunto due giganteschi fattori storico-politici. Da un lato la memoria di una persecuzione sterminatrice su basi razziali, che prendeva ugualmente a bersaglio l’osservante più ortodosso e il miscredente più secolarizzato; dall’altro il persistente rifiuto arabo nei riguardi d’Israele, in parte comprensibile, ma certo destinato a suscitare nella controparte una non meno comprensibile mentalità da fortezza assediata. Addebitare tutte le responsabilità del conflitto al «pregiudizio coloniale» dei sionisti, fino al paragone abnorme con il Sudafrica dell’apartheid, evocato da Traverso come da Sand, significa sbilanciare il giudizio in modo inaccettabile.
Quanto alla svolta occidentalista del pensiero ebraico, lo stesso Traverso ne illustra una delle ragioni, osservando che la cultura politica anglosassone «fondata sull’esaltazione del diritto e delle libertà individuali» ha offerto agli intellettuali israeliti (già nell’Inghilterra vittoriana, ma poi soprattutto negli Stati Uniti) opportunità d’integrazione sconosciute altrove. Ma c’è un altro elemento, che Traverso non cita: la violenta repressione antisemita scatenata nel dopoguerra da Stalin, con il pretesto della lotta al sionismo, e proseguita in forme meno cruente dai successori del despota sovietico. La rottura con il comunismo divenne così per molti ebrei inevitabile, anzi doverosa.
Ben consapevole di tali precedenti si mostra Fabio Nicolucci, che nel libro Sinistra e Israele (Salerno) esorta le forze progressiste europee a perseguire «una identificazione politica e culturale» con lo Stato ebraico, riscoprendo la radici socialiste del sionismo. A suo parere esiste un’alternativa forte all’indirizzo neoconservatore del premier Benjamin Netanyahu, che danneggia «gli interessi nazionali di Israele di più lungo periodo». Nell’ambito del sionismo, sostiene Nicolucci, una linea di maggiore apertura verso i palestinesi «riflette il consenso maggioritario degli apparati di sicurezza». E la sinistra dovrebbe adoperarsi, in sintonia con l’amministrazione americana, per renderla vincente. Non tutto persuade in questa analisi: piuttosto rituali e forzati appaiono per esempio i richiami di Nicolucci agli scritti di Antonio Gramsci. Ma almeno qui siamo sul terreno della politica, comunque preferibile alle fughe nella nostalgia o nell’utopia proposte dai libri di Traverso e di Sand.
Enzo Traverso, La fine della modernità ebraica. Dalla critica al potere, Feltrinelli 2013, pagine 191, € 19
Shlomo Sand, Come ho smesso di essere ebreo, traduzione di Francesco Peri, Rizzoli 2013, pagine 153, € 15
Fabio Nicolucci, Sinistra e Israele. La frontiera morale dell’Occidente, Salerno 2013, pagine 280, € 12,90
Sionismo/antisionismo, dossier con interventi di Gianni Vattimo, Furio Colombo, Moni Ovadia, Judit Butler, Avishai Margalit, in «MicroMega», n. 9/2013

martedì 18 dicembre 2012

LODO MORO. LA VERSIONE DI COSSIGA


Che cos'è stato il Lodo Moro


Il 3 ottobre 2008 sul quotidiano israeliano Yediot Aharonot fu pubblicata una lunghissima intervista del corrispondente dall’Italia Menachem Ganz a Francesco Cossiga, ex ministro dell’Interno e poi presidente della Repubblica. Un’intervista che ebbe solo una debole eco sui media italiani. Parlando al quotidiano israeliano, Cossiga rivelava che sarebbe stato firmato un accordo segreto tra Italia e terrorismo palestinese quando era presidente del Consiglio Aldo Moro; i servizi segreti avrebbero chiuso gli occhi sulle attività logistiche ed economiche dei terroristi in Italia, in cambio di una sorta di immunità dagli attentati, che non preservava però i cittadini ebrei. Infatti, nel 1982 ci fu l’attacco alla Sinagoga di Roma.
In realtà il cosiddetto “Lodo Moro” era noto da tempo, ma nessun politico italiano aveva ammesso con tanta dovizia di particolari la vicenda. Già nell’estate del 2008, alcune esternazioni di Cossiga a proposito della strage di Bologna del 2 agosto 1980 avevano riaperto la vergognosa pagina di “realpolitik all’italiana”, ma l’intervista offre dettagli inediti.
“Vi abbiamo venduti”, ha dichiarato infatti Cossiga. “Lo chiamavano ‘Accordo Moro’ e la formula era semplice: l’Italia non si intromette negli affari dei palestinesi, che in cambio non toccano obiettivi italiani”. Ma gli ebrei erano esclusi dall’equazione. Cossiga ha anche dichiarato che oggi la situazione è per certi versi analoga: “C’è un accordo con Hezbollah in Libano”. Menachem Gantz riferisce che in casa di Francesco Cossiga, nel cuore del quartiere Prati di Roma, sventolano l’una accanto all’altra tre bandiere: quella dell’Italia, quella della Regione Sardegna e quella di Israele. Ma, nota il corrispondente “Non sempre l’ex presidente della Repubblica italiana è stato un amante di Sion. Negli anni Cinquanta, fu lui a fondare l’Associazione Italia – Palestina. Poi, quando era presidente del Senato, ha persino dato, nel suo Gabinetto, asilo ad Arafat quando era stato emesso un mandato di cattura nei suoi confronti. Ma oggi, a ottant’anni, Cossiga ama Israele”.
Gantz ha chiesto a Cossiga: “Se l’Italia aveva ottenuto l’immunità dal terrorismo palestinese, come mai ebbero luogo nel Paese attentati sanguinosi contro obiettivi ebraici?”. La risposta: “In cambio di ‘mano libera’ in Italia, i palestinesi hanno assicurato la sicurezza del nostro Stato e l’immunità di obiettivi italiani al di fuori del Paese da attentati terroristici, fin tanto che tali obiettivi non collaborassero con il sionismo e con lo Stato d’Israele”. Gli ebrei, ovviamente, sono stati considerati “fiancheggiatori dei sionisti”, quindi esclusi dall’immunità. Questo accordo è costato la vita a Stefano Taché, due anni, nell’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre ’82. Le volanti della polizia di solito presenti davanti al Tempio si allontanarono poco prima dell’attentato. E nel dicembre del 1985, all’aeroporto di Fiumicino, terroristi palestinesi attaccarono con mitra e bombe a mano il banco dell’El Al e quello della compagnia americana TWA. Tredici persone furono uccise e settanta ferite. Una vergogna che peserà per sempre su chi firmò l’accordo, come pure la morte di Leon Klinghoffer sull’Achille Lauro, con il capo dei terroristi lasciato scappare da Bettino Craxi a Sigonella.
“Per evitare problemi, l’Italia assumeva una linea di condotta  tale da non essere disturbata o infastidita”, continua Cossiga nell’intervista del 2008. “Poiché gli arabi erano in grado di disturbare l’Italia più degli americani, l’Italia si arrese ai primi. Posso dire con certezza che anche oggi esiste una simile politica. L’Italia ha un accordo con Hezbollah in Libano per cui le forze UNIFIL chiudono un occhio sul processo di riarmo, purché non siano compiuti attentati contro gli uomini del suo contingente”. Forse lo stesso accordo protesse i soldati italiani in Libano, nel 1983, quando invece, in due diversi attentati con auto-bomba, furono uccisi 241 americani e 58 francesi.
Cossiga ammette di essere rimasto sorpreso per l’indifferenza con cui è stata accolta in Italia la sua rivelazione. “Ero convinto che la notizia pubblicata in agosto avrebbe risvegliato i media, che magistrati avrebbero cominciato ad indagare, che sarebbero cominciati gli interrogatori dei coinvolti. Invece c’è stato il silenzio assoluto”. I rapporti complessi con il meccanismo del terrorismo palestinese, Francesco Cossiga li ha conosciuti per la prima volta alla sua nomina a ministro dell’Interno nel 1976. “Già allora”, continua nella sua intervista a Yediot Aharonot, “mi fecero sapere che gli uomini dell’OLP tenevano armi nei propri appartamenti ed erano protetti da immunità diplomatica. Mi dissero di non preoccuparmi, ma io riuscii a convincerli a rinunciare all’artiglieria pesante ed accontentarsi di armi leggere”. Più tardi, quando era presidente del Consiglio nel 1979-1980, gli divenne sempre più evidente il fatto che esistesse un accordo chiaro tra le parti. “Durante il mio mandato, una pattuglia della polizia aveva fermato un camion nei pressi di Orte per un consueto controllo”, racconta. “I poliziotti rimasero sbigottiti nel trovare un missile terra-aria, che aveva raggiunto il territorio italiano via mare”. Nel giro di alcuni giorni, racconta Cossiga, una sua fonte personale all’interno del SISMI passò al segretario del governo informazioni in base alle quali il missile andava restituito ai palestinesi. “In un telegramma arrivato da Beirut era scritto che secondo l’accordo, il missile non era destinato ad un attentato in Italia, e a me fu chiesto di restituirlo e liberare gli arrestati”. Cossiga stesso, va sottolineato, non era stato mai ufficialmente informato dell’esistenza di questo telegramma. Se non fosse stato per la sua fonte nel SISMI, non sarebbe stato consapevole di tutta questa storia. “Col tempo cominciai a chiedermi che cosa potesse essere questo accordo di cui si parlava nel telegramma. Tutti i miei tentativi di indagare presso i Servizi e presso diplomatici si sono sempre imbattuti in un silenzio tuonante. Fatto sta che Aldo Moro era un mito nell’ambito dei Servizi Segreti”.
A proposito dell’attentato alla Sinagoga di Roma, Cossiga dichiara che l’unico attentatore arrestato, non per mano italiana, è Abd El Osama A-Zumaher. Fu arrestato in Grecia mentre trasportava esplosivo con la sua auto. I greci lo liberarono dopo sei anni, ed egli scappò in Libia. Le autorità italiane non ne hanno mai chiesto l’estradizione. “Oggi”, ammette Cossiga, “non si può più scoprire tutta la verità su quanto accaduto. L’Italia non chiederà mai la sua estradizione e i libici non lo consegneranno”.
Cossiga ha colto però nel sistema Italia una sorta di “reciprocità dell’ignavia”, una “equivicinanza” ante litteram. “L’Italia non si immischia in quanto non la concerne. Anche l’azione del Mossad contro gli assassini degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 è passata per Roma”, dice. Come noto, Adel Wahid Zuaitar fu ucciso a Roma. “Crede che l’Italia non potesse, a suo tempo, arrestare i due agenti che lo fecero fuori?”.  Yediot Aharonot chiede: “Lei paragona l’eliminazione di un terrorista all’assassinio di un bambino di due anni all’uscita della sinagoga?” “No, assolutamente no. Se avessi saputo che le volanti della polizia erano state istruite ad andarsene quella mattina, nell’ambito di quell’accordo di cui mi hanno sempre negato l’esistenza, forse tutto sarebbe andato diversamente”. La colpa, tuttavia, Cossiga la attribuisce solo ed esclusivamente ad Aldo Moro. E sostiene che la politica di altri Paesi europei era analoga: “La Germania ha liberato il commando dei terroristi che uccisero gli atleti a Monaco di Baviera, e anche la Francia si è comportata in modo simile. Questa era la politica europea. Tranne gli inglesi, ovviamente”. Il magistrato Rosario Priore, membro della Corte di Cassazione di Roma, conferma le dichiarazioni di Cossiga: “L’Accordo Moro è esistito per anni”, ha dichiarato, “l’OLP aveva in territorio italiano uomini, basi ed armi”. Quello che oggi preoccupa di più è la certezza di Cossiga sul fatto che l’Italia abbia un accordo con Hezbollah, che ne consente il riarmo. La minaccia per Israele è grave.

FONTE:
 http://www.mosaico-cem.it/articoli/a-30-anni-dallattacco-alla-sinagoga-di-roma-che-cose-stato-il-lodo-moro

giovedì 29 novembre 2012

GRAN BELLA FIGURA

Una delle bandiere dello Stato arabo-israeliano disegnata da Friedensreich Hundertwasser



Una volta tanto ce l'abbiamo fatta. L'Italia voterà sì all'accoglienza della Palestina nel novero dei paesi osservatori in seno all'ONU. Palazzo Chigi ha dichiarato: "I due Stati devono vivere in pace, uno di fianco all'altro". Due popoli, due Stati, dunque.
Ci torno.
Per quanto riguarda l'ONU, si tratta di una giornata storica. Per la prima volta è riconosciuto uno Stato palestinese a questo livello. Si tratta di un inizio, verso la piena sovranità delle regioni palestinesi? Difficile dirlo, perché molto dipende anche da Israele, ma è possibile.
Due popoli, due Stati, forse è il massimo che in questo momento si possa realizzare.
Personalmente sono sempre stato per Due popoli, Uno Stato, uno Stato arabo-israeliano che, se realizzato, rivoluzionerebbe l'essenza stessa del Medio Oriente.
Mi rendo conto che le contraddizioni sono troppe e le spinte contrarie enormi. Non solo da parte di Israele, ma anche, forse soprattutto, da parte dei vicini arabi. Che sulla pelle palestinese spesso hanno avuto modo di speculare.

Vedremo. La pace può arrivare. Le persone comuni ce l'hanno dentro in quei luoghi. Lo dicono, in entrambe le lingue, come saluto.

venerdì 21 settembre 2012

LIBANO. CAMPI MINATI OGGI

Nuove immagini dal confine meridionale del Libano scattate oggi.


NEI CORRIDOI SMINATI AL CONFINE CON ISRAELE VENGONO POSTI QUESTI INDICATORI PER
POSIZIONARE IL BLUE PILLAR

I PICCHETTI INDICANO LE MINE TROVATE LUNGO IL CONFINE VIRTUALE TRA
ISRAELE E LIBANO

CORRIDOIO TRA LE MINE IN SICUREZZA


CONFINE


LA STRADA CHE SI VEDE E' ISRAELE

giovedì 20 settembre 2012

SUD DEL LIBANO. ORA.

L'amica WX. è da qualche parte nel sud del Libano. La saluto con affetto. Mi ha mandato queste foto.
La missione Unifil media tra Libano e Israele per lo stabilimento dei confini dopo la guerra del 2006. Siedono in un forum trilaterale dove porre i cosiddetti Blue Pillar (vedi foto), sorta di segni convenzionali per stabilire i territori. Il problema è che il confine è stato minato dagli israeliani e per arrivare a mettere i Blue Pillar si deve prima sminare un corridoio adatto. Israele si protegge comunque con una technical fence, una rete metallica elettrica con sopra del filo spinato arrotolato. E' sensibile a qualsiasi tentativo di sconfinamento.




UN BLUE PILLAR

IL CONFINE DI NOTTE

CORRIDOI TRA LE MINE

QUI SI VEDE MEGLIO IL CORRIDOIO SMINATO