Fanno fatica a capirlo ancora oggi. Le Br non volevano denaro per Moro, ma una contropartita politica. Ecco perché l'aria fritta che segue, pubblicata ovviamente da Repubblica, non ha ragione di essere. Non c'è mai stata trattativa, come del resto si ricava dallo stesso articolo. Tra l'altro, si tratta di cose ampiamente note. "L'intermediario" delle Br era un fake, uno che si voleva prendere quel denaro.
Una cifra dai 10 ai 15 miliardi di lire era stata messa a disposizione di Paolo VI per salvare la vita di Aldo Moro. Un riscatto che riservati emissari pontifici, la mattina del 9 maggio 1978 - 35 anni fa - avrebbero dovuto consegnare a persone "vicine" ai terroristi delle Brigate Rosse che 55 giorni prima avevano rapito il presidente della Dc e massacrato la sua scorta a via Fani, a Roma, lo stesso giorno in cui Giulio Andreotti si presentò in Parlamento per ottenere la fiducia per il varo del primo governo nato d'intesa col Pci di Enrico Berlinguer. "Tutto era pronto per la liberazione di Moro, ma quella mattina del 9 maggio qualcosa andò storto o qualcuno si mise in mezzo per far fallire il piano voluto da Paolo VI, e finì come tutti sappiamo", racconta il teologo Gianni Gennari, giornalista Rai e titolare della popolare rubrica quotidiana "Rosso Malpelo" che da 17 anni tiene sul quotidiano cattolico Avvenire. Gennari ne ha parlato alla recente presentazione del libro "La zona franca" - sottotitolo, "Così è fallita la trattativa segreta che doveva salvare Aldo Moro", edito da Castelvecchio - scritto dal giornalista Rai Alessandro Forlani.
Il corsivista della rubrica "Rosso Malpelo" ha anche fornito alcuni particolari inediti che riportano alla luce per la prima volta tutta la passione con cui papa Montini tentò di salvare Moro. Passione e determinazione che emersero pubblicamente alcuni giorni dopo il rapimento e la strage della scorta del leader Dc con la storica lettera aperta "Agli uomini della Brigate Rosse" nella quale il Papa implorò, prostrandosi simbolicamente ai loro piedi, di liberare Moro, "uomo giusto e buono". Gennari ha quindi presentato il fascicolo originale di Civiltà Cattolica in data 16 aprile 1978 (le bozze della rivista dei gesuiti sono sempre vistate in anticipo dalla Segreteria di Stato vaticana) in cui era scritto che, salvo il riconoscimento politico delle Br, bisognava fare tutto il possibile per la salvezza di Aldo Moro. Pochi però sanno - ha specificato - che Paolo VI, affiancato dal suo segretario, monsignor Pasquale Macchi, mise in moto riservatamente tra i suoi amici un tam tam di solidarietà per raccogliere la cifra destinata al riscatto per la liberazione del presidente Dc, tenendo fuori dall'iniziativa i politici italiani.
I canali con la Santa Sede erano tenuti in piedi da due sacerdoti, noti nell'ambiente romano, ma lontani dalle alte sfere ecclesiastiche: padre Carlo Cremona, collaboratore del Gr2 e amico di monsignor Macchi, e don Cesare Curioni, il cappellano capo delle carceri italiane, che dopo il sequestro di Moro ha incontrato più volte a Torino, durante il processo, i capi storici della Br Renato Curcio e Alberto Franceschini, ricevendo l'assicurazione che loro con il rapimento Moro non c'entravano nulla. In questo contesto proprio padre Cremona aveva avuto l'incarico di attendere una telefonata la mattina del 9 maggio da parte di un intermediario delle Br che gli avrebbe annunciato dove trovare Moro per liberarlo. "Tutto pareva pronto", ha detto Gennari, "e in quella stessa mattina nella Direzione della Dc Amintore Fanfani avrebbe formalizzato anche la proposta di uno scambio per la liberazione della brigatista Paola Besuschio. Qualcuno o qualcosa vanificò l'iniziativa" e il corpo di Moro fu trovato crivellato di colpi in via Caetani all'interno della Renault R4 amaranto.
Secondo la testimonianza di don Curioni - ha ancora ricordato il teologo - sul cadavere del presidente Dc era presente un solo colpo che lo aveva ucciso con i segni del sangue. E c'erano poi altri colpi sparati a distanza di tempo che procurarono ferite che non presentavano tracce di sangue esterno. Probabilmente i cervelli di tutta l'operazione vollero essere sicuri in anticipo dell'uccisione dell'ostaggio e poi fecero credere ad alcuni dei brigatisti che avevano sparato uccidendo il presidente dc che in realtà era già morto. Per Gennari è chiaro che tutta l'operazione aveva come scopo principale l'eliminazione del personaggio principale di quel momento storico della politica italiana e la conseguente destabilizzazione dei due attori principali di quel momento, la Dc di Moro e di Benigno Zaccagnini e il Pci di Enrico Berlinguer. Tra l'altro, Gennari ha ricordato - e la cosa ha il sapore amaro dell'ironia della sorte - che Zaccagnini, se quel giorno non avessero rapito Moro, avrebbe dato le dimissioni da segretario dc in dissenso su alcune nomine di quel governo Andreotti. Non solo, ma, come ha ricordato l'onorevole Franco Salvi, braccio destro di Zaccagnini, sul Mattino del 29 ottobre 1993, "il Pci aveva deciso di votare contro il governo Andreotti, ma poi disse un sì coraggioso e difficile davanti all'emergenza".
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