mercoledì 13 giugno 2012

ICHINO E IL TERRORISMO





ALFREDO DAVANZO IN AULA A MILANO
Nei giorni scorsi, in occasione del processo d’appello ai presunti appartenenti alle  cosiddette «nuove Brigate rosse», il Senatore Ichino ha proposto a ciascuno degli imputati di rinunciare alla propria costituzione in giudizio contro di loro, in cambio “del puro e semplice riconoscimento del suo diritto a non essere aggredito”. Il senatore, evidentemente, non si accontenta del mercato del lavoro; vuole modificare, ovvero introdurre il mercato anche nella giurisprudenza. Non si era mai vista una tale spudoratezza e un tale spregio dei diritti degli imputati da parte di un senatore della Repubblica. Una domanda del genere, infatti, prescinde dagli esiti del processo e non tiene conto della presunzione di innocenza. Il diritto a non essere aggredito è un diritto naturale. Nessuno di noi lo va a chiedere in un tribunale a degli imputati. Casomai, si rivolge a un magistrato. Ma non mi pare che fino ad oggi Ichino sia stato mai aggredito. Si tratta, dunque, di un’azione preventiva.
Per maggiore evidenziare la proposta, il senatore Ichino ha scritto al “Corriere” di aver ripetuto “l’offerta di conciliazione e di dialogo”, ma di aver ricevuto come risposta da Alfredo Davanzo le seguenti parole:

«Questo signore - che sarei io - rappresenta il capitalismo, lui è l'esecutore di questo sistema e noi eseguiremo il dovere di sbarazzarci di questo sistema».

Del sistema, ha detto Davanzo, ma Ichino la interpreta come personale. Crede che si vogliano sbarazzarsi di lui.
E si è arrabbiato, perché la sentenza di condanna non riconosce agli imputati il reato di terrorismo. Solo associazione sovversiva” (articolo 270 del codice penale), ma non di terrorismo (articolo 270-bis).

Il motivo è giuridico. La corte non ha riscontrato nel comportamento dei brigatisti, «il proposito di intimidire indiscriminatamente la popolazione, l'intenzione di esercitare costrizione sui pubblici poteri», oppure «la volontà di destabilizzare» o addirittura «distruggere gli assetti istituzionali del Paese».

Ichino non ci sta. E parte con i paragoni. Se non è terrorismo quello dei nuovi brigatisti, ancor meno lo è quello dei feritori (afferma gli anarchici) di Roberto Adinolfi.

E ancor meno, potrà ravvisarsi un siffatto intendimento politico nell'attentato di Brindisi contro un istituto scolastico”. Come potrebbe «destabilizzare o distruggere gli assetti istituzionali del Paese» un attentatore che neppure fa conoscere all'opinione pubblica tale suo preciso intendimento?

Ma perché questo paragone, senatore? Come può una persona che dia senso alle proprie parole paragonare la propria situazione al tentativo di strage in una scuola?

Ichino non ammette che stiamo vivendo un lungo periodo di scontro sociale altissimo, che la ristrutturazione capitalistica che ha causato la crisi economico-finanziaria che stiamo vivendo è costata il lavoro e in alcuni casi la vita a decine di migliaia di persone; ha reso liquido il concetto stesso di lavoro e con esso la prospettiva per molti di una vita normale, nel senso di “programmabile”. Viviamo in un paese con un’altissima disoccupazione giovanile, una generazione di lavoratori, i nati tra il 1965 e il 1975, che se perdono il lavoro lo ritrovano in 8 su cento entro un anno. Né ammette, Ichino, di essere uno dei ristrutturatori del sistema. Di essere per l’abolizione, o la riforma in senso restrittivo, dell’articolo 18, di aver scritto più volte contro le cause di lavoro, che ritiene una perdita di tempo (meglio l’accordo privato, dice – e spesso ciò accade, ci si mette d’accordo, ma in altri casi la possibilità di denunciare è una tutala). Ecco la parola. Tutela. Non piace a Ichino per gli altri. Ma la vuole per sé. Vuole essere tutelato e offre una pipa di pace ai presunti brigatisti. Per poter continuare indisturbato a contribuire all’abbattimento del sistema sociale così faticosamente creato nel corso di un centinaio di anni.

Il terrorismo è tante cose: una bomba che uccide in modo indiscriminato la popolazione, i bombardamenti di civili a Gaza, in Siria, in Afganistan, in Iraq, le autobomba, i treni e le piazze, da Portella della Ginestra nella piana degli Albanesi in Sicilia in poi. Non è terrorismo minacciare un giuslavorista perché anziché difendere gli interessi dei lavoratori, si occupa di quelli dei padroni. È un reato, una cosa che non fa parte del convivere civile, ma non è terrorismo.

Sono contro ogni terrorismo e ogni forma di violenza, e in questo mi trovo d’accordo con Ichino. Lo invito allora a scrivere dei bombardamenti sulle popolazioni civili, che il senatore ha approvato, rifinanziando le missioni italiane all’estero e in particolare quella in Afganistan. Perché Ichino, da quando è iniziata questa storia, ha ancora maggiore visibilità mediatica ed è stato eletto, ovviamente, senatore.

Forse ha ragione lui. Che i presunti militanti delle Nuove Br, o chi per loro, lo lasci stare. Magari non verrà più rieletto, gli toglieranno la scorta e sarà costretto a cercare lavoro nel privato. Lo troverà, ovviamente, ma almeno non lo pagheremo più noi. 

MARCONISTA

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