venerdì 23 marzo 2012

GIUSLAVORISTI



Giacomo Matteotti, rapito dai fascisti e ucciso il 10 giugno 1924, oltre che un parlamentare era un giuslavorista, un giurista che si occupava dei diritti dei lavoratori. Per difenderli. Non esisteva concertazione, allora, ma scontro frontale con il capitale per la conquista di diritti, passo dopo passo, lotta dopo lotta.
Quando finalmente l'Italia lo statuto dei lavoratori, nel 1970, che si chiama Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, sembrò che quasi un secolo di vertenze avesse trovato il suo corollario. Il "padre" dello Statuto, Gino Giugno, scomparso nel 2009, il nuovo Matteotti. Poi, qualcosa è accaduto nella storia del nostro paese. I giuslavoristi sono diventati il bersaglio di organizzazioni armate di sinistra. Lo stesso Giugni fu ferito dalle Br nel 1983. Poi fu la volta di Ezio Tarantelli, giuslavorista che lavorava alla riforma (eliminazione) della "scala mobile", quindi di Massimo D'Antona e di Marco Biagi, (Nuove Brigate Rosse). Oggi una specialista del sistema pensionistico, il ministro Fornero, quella della "paccata di miliardi", quella di cui non si riesce a ricostruire la carriera universitaria e quindi non si capisce con quali titoli sia ascesa in cattedra, "tira dritto", come titolano alcuni giornali italiani, nella riscrittura dell'articolo 18 dello statuto, ossia nel suo smantellamento. Come è potuto accadere? Cosa è cambiato? 
Intanto è cambiato il ruolo dei tecnici. Proprio a partire da Giugni, essi hanno cominciato a giocare un ruolo politico importante, riformista, ma nel senso degli interessi del capitale (lo stesso Giugni introdusse il TFR riformandolo in senso contributivo). La parola "riformista" ci ha cambiato la vita, e lo ha fatto in peggio. I tecnici (Pietro Ichino è uno di loro), solitamente professori universitari, sono arruolati dalla politica per trovare soluzioni "tecniche" al conflitto "capitale-lavoro". 
E' cambiato anche il ruolo della politica. Con l'euro i conti sono indirizzati, commissariati; la politica ha molta meno possibilità di manovra di un tempo. Deve far tornare i conti, riformare, trovare denaro, risparmiare. Serve il tecnico. 
La globalizzazione ha significato la richiesta sempre più impellente da parte di Confindustria di porte aperte alla competitività, che tradotta vuole dire, flessibilità nel mondo del lavoro, meno diritti, più contratti a termine, mobilità. Il tutto coperto dallo stato attraverso interventi di welfare, come la cassa integrazione o il sussidio di disoccupazione. 
In questo contesto il sindacato, anziché "globalizzarsi" a sua volta, ha continuato nella politica degli ultimi 25 anni, spaccandosi sulle riforme, mostrando limiti e falle. Anziché difendere il lavoro, ha difeso il capitale cercando di salvare un po' di lavoro. E con la scomparsa della sinistra italiana il lavoro non ha più neanche un partito che lo rappresenta. 




















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