sabato 2 novembre 2013
martedì 29 ottobre 2013
UNIVERSITA' A TEMPO PERSO
Non solo perché ci lavoro nell'università, ma perché credo nel diritto allo studio, nella capacità di emancipazione dell'istruzione superiore e nella funzione di creazione di una classe dirigente adeguata. Per questi motivi nei mesi precedenti l'approvazione della riforma Gelmini ho lottato con tutte le mie forze per fermare la deriva. Ho lottato e sto ancora qui. Non mi sono mai più spostato da quella mattonella occupata allora. Mentre intorno a me si usava l'espressione "senso di responsabilità" come una clava. Anche da parte di quelli che urlavano di più. I lottatori di Sumo, gli attori da prima visione. Uno schifo. Quella clava, quel senso ipocrita di responsabilità, ha portato ora a questo. A tempo perso, ne scrivo, per informarvi, perché sappiate che nessuno, oggi, è irresponsabile per quello che sta accadendo e che accadrà.
ROMA - Mondo dell'università in fermento. Contro la politica distruttiva degli ultimi anni, le organizzazioni sindacali e dei soggetti che studiano e lavorano negli atenei italiani hanno indetto una settimana di dibattiti e mobilitazioni per opporsi al "disfacimento in atto" del sistema universitario nazionale. Dal 18 al 23 novembre in tutti gli atenei italiani si discuterà "per sollecitare una riflessione collettiva e per costruire insieme una tempestiva ed efficace opposizione al progetto di distruzione dell'università statale". Tra i firmatari del documento che denuncia l'accanimento politico degli ultimi anni contro il sistema delle università statali ci sono proprio tutti: dal Cnu (il Comitato nazionale universitario) ai sindacati Flc Cgil, Cisl, Uil, Cobas, Snals, Ugl e Cisal.
E ancora: dalle organizzazioni studentesche - Link e Udu - per arrivare alle organizzazioni dei docenti di scuola e universitari - Adi, Adu, Andu, Cipur, CoNPass - e a quelle dei ricercatori: Cnru, Rete29aprile. Dalla riforma Gelmini in poi, secondo gli organizzatori della mobilitazione, "il sistema universitario statale è stato continuamente e progressivamente sottoposto a pesantissimi attacchi di diversa natura che lo stanno portando ad una vera e propria implosione". Dai tagli alle risorse - meno 10 per cento in pochi anni - "all'accentramento esasperato dei poteri a livello nazionale e negli atenei, alla messa ad esaurimento di un'intera categoria (i ricercatori, ndr) al precariato reso ancor più feroce e senza sbocchi dalla legge Gelmini".
Ma non solo. Docenti, studenti e ricercatori contestano un sistema di "valutazione - mal concepita e peggio realizzata da un'Agenzia che ha commissariato il sistema universitario - usata come clava per colpire e demolire piuttosto che per aiutare a far funzionare meglio la ricerca e l'alta formazione nel nostro Paese". Ma contestano anche "lo svuotamento del diritto allo studio che dovrebbe invece essere garantito anche a chi è privo di mezzi". "Scelte - si legge nel documento sottoscritto da 18 organizzazioni - che apparirebbero ingiustificabili e autolesioniste se non fossero operate deliberatamente per cancellare l'idea stessa di un'università di qualità, democratica, aperta a tutti e diffusa nel Paese".
Il meccanismo premiale inaugurato dalla Gelmini con una quota del Fondo di finanziamento ordinario e adesso con il meccanismo dei 'punti-organico' per le assunzioni sta mettendo 'tutti contro tutti' mentre gli organizzatori della settimana nazionale di dibattito-mobilitazione lanciano l'idea di unirsi "tutti per salvare e rilanciare l'università". Intanto, l'ultimo provvedimento del ministro Maria Chiara Carrozza sulla distribuzione delle risorse per assumere nuovi docenti ha già creato una fortissima contrapposizione tra atenei del meridione e settentrionali. "E' ormai evidente a tutti - spiegano gli organizzatori - come il razionamento e i criteri di distribuzione dei cosiddetti 'punti organico' puntano anche a mantenere attiva una contrapposizione tra i docenti, i tecnico-amministrativi e gli studenti".
"Molte università si vedono assegnare una quantità di risorse risibile persino al cospetto del 20 per cento del programmato turnover". Ma "l'attenzione viene però deviata, piuttosto che sulle scarsissime risorse messe in campo dal governo, verso quei (pochi) atenei che ottengono una maggiorazione rispetto alle cessazioni e che, non a caso, risultano in larga parte coincidere con quelli che hanno le tasse d'iscrizione più elevate". Il meccanismo messo in piedi dalla Gelmini prevede un turnover pari al 20 per cento: un'assunzione ogni cinque pensionamenti. Ma il 20 per cento dei 445,5 punti-organico disponibili per le assunzioni (un punto-organico corrisponde a 118.489 euro, pari al trattamento economico annuale per assumere un docente universitario di prima fascia) viene distribuito in base al merito.
Così pochi atenei riescono ad accaparrarsi un numero di punti-organico addirittura superiore a quel 20 per cento previsti dalla normativa: è il caso dell'ateneo di Brescia - che tocca quota 30 per cento - o del Politecnico di Milano, che arriva addirittura al 73 per cento di turnover. Mentre nell'ateneo retto fino a pochi mesi fa dall'attuale ministro Carrozza - la Scuola superiore S. Anna di Pisa - si potranno assumere più docenti di quelli che sono andati in pensione. Ma in parecchi atenei del Sud ci si dovrà accontentare di assunzioni col contagocce. A Bari le assunzioni possibili saranno pari al 6,8 per cento dei corrispondenti pensionamenti. Stessa percentuale di turnover a Messina e Sassari che figurano tra gli atenei meno virtuosi della Penisola.
ROMA - Mondo dell'università in fermento. Contro la politica distruttiva degli ultimi anni, le organizzazioni sindacali e dei soggetti che studiano e lavorano negli atenei italiani hanno indetto una settimana di dibattiti e mobilitazioni per opporsi al "disfacimento in atto" del sistema universitario nazionale. Dal 18 al 23 novembre in tutti gli atenei italiani si discuterà "per sollecitare una riflessione collettiva e per costruire insieme una tempestiva ed efficace opposizione al progetto di distruzione dell'università statale". Tra i firmatari del documento che denuncia l'accanimento politico degli ultimi anni contro il sistema delle università statali ci sono proprio tutti: dal Cnu (il Comitato nazionale universitario) ai sindacati Flc Cgil, Cisl, Uil, Cobas, Snals, Ugl e Cisal.
E ancora: dalle organizzazioni studentesche - Link e Udu - per arrivare alle organizzazioni dei docenti di scuola e universitari - Adi, Adu, Andu, Cipur, CoNPass - e a quelle dei ricercatori: Cnru, Rete29aprile. Dalla riforma Gelmini in poi, secondo gli organizzatori della mobilitazione, "il sistema universitario statale è stato continuamente e progressivamente sottoposto a pesantissimi attacchi di diversa natura che lo stanno portando ad una vera e propria implosione". Dai tagli alle risorse - meno 10 per cento in pochi anni - "all'accentramento esasperato dei poteri a livello nazionale e negli atenei, alla messa ad esaurimento di un'intera categoria (i ricercatori, ndr) al precariato reso ancor più feroce e senza sbocchi dalla legge Gelmini".
Ma non solo. Docenti, studenti e ricercatori contestano un sistema di "valutazione - mal concepita e peggio realizzata da un'Agenzia che ha commissariato il sistema universitario - usata come clava per colpire e demolire piuttosto che per aiutare a far funzionare meglio la ricerca e l'alta formazione nel nostro Paese". Ma contestano anche "lo svuotamento del diritto allo studio che dovrebbe invece essere garantito anche a chi è privo di mezzi". "Scelte - si legge nel documento sottoscritto da 18 organizzazioni - che apparirebbero ingiustificabili e autolesioniste se non fossero operate deliberatamente per cancellare l'idea stessa di un'università di qualità, democratica, aperta a tutti e diffusa nel Paese".
Il meccanismo premiale inaugurato dalla Gelmini con una quota del Fondo di finanziamento ordinario e adesso con il meccanismo dei 'punti-organico' per le assunzioni sta mettendo 'tutti contro tutti' mentre gli organizzatori della settimana nazionale di dibattito-mobilitazione lanciano l'idea di unirsi "tutti per salvare e rilanciare l'università". Intanto, l'ultimo provvedimento del ministro Maria Chiara Carrozza sulla distribuzione delle risorse per assumere nuovi docenti ha già creato una fortissima contrapposizione tra atenei del meridione e settentrionali. "E' ormai evidente a tutti - spiegano gli organizzatori - come il razionamento e i criteri di distribuzione dei cosiddetti 'punti organico' puntano anche a mantenere attiva una contrapposizione tra i docenti, i tecnico-amministrativi e gli studenti".
"Molte università si vedono assegnare una quantità di risorse risibile persino al cospetto del 20 per cento del programmato turnover". Ma "l'attenzione viene però deviata, piuttosto che sulle scarsissime risorse messe in campo dal governo, verso quei (pochi) atenei che ottengono una maggiorazione rispetto alle cessazioni e che, non a caso, risultano in larga parte coincidere con quelli che hanno le tasse d'iscrizione più elevate". Il meccanismo messo in piedi dalla Gelmini prevede un turnover pari al 20 per cento: un'assunzione ogni cinque pensionamenti. Ma il 20 per cento dei 445,5 punti-organico disponibili per le assunzioni (un punto-organico corrisponde a 118.489 euro, pari al trattamento economico annuale per assumere un docente universitario di prima fascia) viene distribuito in base al merito.
Così pochi atenei riescono ad accaparrarsi un numero di punti-organico addirittura superiore a quel 20 per cento previsti dalla normativa: è il caso dell'ateneo di Brescia - che tocca quota 30 per cento - o del Politecnico di Milano, che arriva addirittura al 73 per cento di turnover. Mentre nell'ateneo retto fino a pochi mesi fa dall'attuale ministro Carrozza - la Scuola superiore S. Anna di Pisa - si potranno assumere più docenti di quelli che sono andati in pensione. Ma in parecchi atenei del Sud ci si dovrà accontentare di assunzioni col contagocce. A Bari le assunzioni possibili saranno pari al 6,8 per cento dei corrispondenti pensionamenti. Stessa percentuale di turnover a Messina e Sassari che figurano tra gli atenei meno virtuosi della Penisola.
giovedì 24 ottobre 2013
martedì 22 ottobre 2013
L'ODISSEA DEL PENTCHO
Il 23 ottobre 1940 (cinque giorni prima dell'aggressione italiana alla Grecia), la nave militare italiana "Camogli" partiva al comando del capitano Orlando da Rodi, all'epoca sotto il governatorato del quadrumviro De Vecchi, e si dirigeva verso l'isolotto disabitato chiamato Kamilonisi, a circa 50 miglia da Rodi.
Alcuni giorni prima era naufragato un battello fluviale, il "Pentcho", che trasportava 514 ebrei cechi, slovacchi, polacchi e tedeschi, diretti in Palestina. Dopo un avventuroso viaggio lungo il Danubio, nel Mar Nero e nell'Egeo, l'esplosione di una caldaia aveva spento le speranze dei fuggitivi, già di per sé molto basse a causa del blocco navale inglese. Londra, infatti, mandataria dal 1921 sulla Palestina, dal 1939 aveva posto un argine all'ingresso degli ebrei nella regione nonostante le evidenti persecuzioni che stavano allora subendo in tutta Europa e la legislazione antiebraica assunta da diversi paesi, tra cui l'Italia. Rodi allora faceva parte con tutto il Dodecaneso proprio dell'Italia, ma appariva come un'isola felice rispetto al resto dell'Europa fascista. I naufraghi furono infatti accolti in una tendopoli e poi in una caserma, dove rimasero per più di un anno. Nel febbraio e marzo del 1942 vennero inviati in Italia, nel campo di Ferramonti, in provincia di Cosenza. Da qui furono liberati dagli americani dopo l'8 settembre 1943. Di loro, moltissimi raggiunsero la Palestina a guerra finita. Il Pentcho è una delle tante navi partite in quel periodo dalle coste europee. Quello che vedete sopra è il monumento al battello che si trova in Israele nella città di Netanya. Le altre foto si riferiscono al viaggio dell'imbarcazione.
LETTERA DI COSSIGA A PAOLO PERSICHETTI
Senato della Repubblica
Francesco Cossiga

Francesco Cossiga
Signor Paolo Persichetti Casa Circondariale Marino del Tronto Frazione Navicella, 218 63100 Ascoli Piceno |

Gentile Signor Persichetti,
ho letto la Sua intervista a "La Stampa" e La ringrazio per l'attenzione che Lei e i Suoi compagni riservate alle mie valutazioni e ai miei giudizi.
Io ho combattuto duramente il terrorismo, ma ho sempre ritenuto che certo si trattasse di un gravissimo e deprecabile fenomeno politico, ma che affondava le sue radici nella particolare situazione sociale politica del Paese, e non invece un "humus delinquenziale".
Il terrorismo di sinistra - frutto anche di chi nei partiti e nella CGIL lanciava la pietra e nascondeva la mano, e che insegnava la "violenza" in Parlamento e "in piazza", ma non si é poi assunto, tutt'altro, la responsabilità delle conseguenze pratiche degli insegnamenti stessi -, nasce a mio avviso da una lettura "non storica" del marxismo-leninismo e da una "mitizzazione" della Resistenza e della Liberazione che, nel contenuto sociale e politico della sinistra, è fallita perché ha portato alla ricostituzione di un "regime delle libertà borghesi".
Ritengo che l'estremismo di sinistra, che era non un terrorismo in senso proprio (non credeva infatti che solo con atti terroristici si potesse cambiare la situazione politica), ma era "sovversione di sinistra" come agli albori era il bolscevismo russo, e cioè un movimento politico che, trovandosi a combattere un apparato dello Stato, usava metodi terroristici come sempre hanno fatto tutti i movimenti di liberazione, Resistenza compresa (l'assassinio di un grande filosofo, anche se fascista, che camminava tranquillamente per strada, Giovanni Gentile, da parte di Gap fiorentini si può giudicare positivamente o negativamente, ma da un punto di vista teorico è stato pur sempre un atto di terrorismo) pensando di innescare - e qui era l'errore anche formale - un vero e proprio movimento rivoluzionario.
Voi siete stati battuti dall'unità politica tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, e per il fatto che non siete stati in grado di trascinare le masse in una vera e propria rivoluzione. Ma tutto questo fa parte di un periodo storico dell'Italia che è concluso; e ormai la cosiddetta "giustizia" che si è esercitata e ancora si esercita verso di voi, anche se legalmente giustificabile, è politicamente o "vendetta" o "paura", come appunto lo è per molti comunisti di quel periodo, quale titolo di legittimità repubblicana che credono di essersi conquistati, non con il voto popolare e con le lotte di massa, ma con la loro collaborazione con le Forze di Polizia e di Sicurezza dello Stato. Per questo, io che sono stato per moltissimi di voi: "Cossiga con la K" e con le due [N.d.R. qui viene lasciato uno spazio riempito poi con due "S" runiche, a mano], e addirittura "un capo di assassini e un mandante di assassinii", oggi sono perché si chiuda questo doloroso capitolo della storia civile e politica del Paese, anche ad evitare che pochi irriducibili diventino cattivi maestri di nuovi terroristi, quelli che hanno ucciso D'Antona e Biagi che, per le Forze di Polizia e per la giustizia, è facile ricercare tra di voi, perché voi siete stati sconfitti politicamente e militarmente con l'aiuto della sinistra: andare a cercarli altrove potrebbe essere forse più imbarazzante...
Purtroppo ogni tentativo mio e di altri colleghi della destra o della sinistra di far approvare una legge di amnistia e di indulto si è scontrato soprattutto con l'opposizione del mondo politico che fa capo all'ex-partito comunista.
Leggo che Le hanno rifiutato l'uso di un computer, che onestamente non sapevo costituisse un'arma da guerra! Qualora Lei lo richieda ancora e ancora glielo rifiutassero, me lo faccia sapere, che provvederò io a farglielo dare.
Non perda mai la Sua dignità di uomo neanche in carcere, luogo non fatto e non gestito certo per "redimere" gli uomini! E non perda mai la speranza.
Cordialmente,
Io ho combattuto duramente il terrorismo, ma ho sempre ritenuto che certo si trattasse di un gravissimo e deprecabile fenomeno politico, ma che affondava le sue radici nella particolare situazione sociale politica del Paese, e non invece un "humus delinquenziale".
Il terrorismo di sinistra - frutto anche di chi nei partiti e nella CGIL lanciava la pietra e nascondeva la mano, e che insegnava la "violenza" in Parlamento e "in piazza", ma non si é poi assunto, tutt'altro, la responsabilità delle conseguenze pratiche degli insegnamenti stessi -, nasce a mio avviso da una lettura "non storica" del marxismo-leninismo e da una "mitizzazione" della Resistenza e della Liberazione che, nel contenuto sociale e politico della sinistra, è fallita perché ha portato alla ricostituzione di un "regime delle libertà borghesi".
Ritengo che l'estremismo di sinistra, che era non un terrorismo in senso proprio (non credeva infatti che solo con atti terroristici si potesse cambiare la situazione politica), ma era "sovversione di sinistra" come agli albori era il bolscevismo russo, e cioè un movimento politico che, trovandosi a combattere un apparato dello Stato, usava metodi terroristici come sempre hanno fatto tutti i movimenti di liberazione, Resistenza compresa (l'assassinio di un grande filosofo, anche se fascista, che camminava tranquillamente per strada, Giovanni Gentile, da parte di Gap fiorentini si può giudicare positivamente o negativamente, ma da un punto di vista teorico è stato pur sempre un atto di terrorismo) pensando di innescare - e qui era l'errore anche formale - un vero e proprio movimento rivoluzionario.
Voi siete stati battuti dall'unità politica tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, e per il fatto che non siete stati in grado di trascinare le masse in una vera e propria rivoluzione. Ma tutto questo fa parte di un periodo storico dell'Italia che è concluso; e ormai la cosiddetta "giustizia" che si è esercitata e ancora si esercita verso di voi, anche se legalmente giustificabile, è politicamente o "vendetta" o "paura", come appunto lo è per molti comunisti di quel periodo, quale titolo di legittimità repubblicana che credono di essersi conquistati, non con il voto popolare e con le lotte di massa, ma con la loro collaborazione con le Forze di Polizia e di Sicurezza dello Stato. Per questo, io che sono stato per moltissimi di voi: "Cossiga con la K" e con le due [N.d.R. qui viene lasciato uno spazio riempito poi con due "S" runiche, a mano], e addirittura "un capo di assassini e un mandante di assassinii", oggi sono perché si chiuda questo doloroso capitolo della storia civile e politica del Paese, anche ad evitare che pochi irriducibili diventino cattivi maestri di nuovi terroristi, quelli che hanno ucciso D'Antona e Biagi che, per le Forze di Polizia e per la giustizia, è facile ricercare tra di voi, perché voi siete stati sconfitti politicamente e militarmente con l'aiuto della sinistra: andare a cercarli altrove potrebbe essere forse più imbarazzante...
Purtroppo ogni tentativo mio e di altri colleghi della destra o della sinistra di far approvare una legge di amnistia e di indulto si è scontrato soprattutto con l'opposizione del mondo politico che fa capo all'ex-partito comunista.
Leggo che Le hanno rifiutato l'uso di un computer, che onestamente non sapevo costituisse un'arma da guerra! Qualora Lei lo richieda ancora e ancora glielo rifiutassero, me lo faccia sapere, che provvederò io a farglielo dare.
Non perda mai la Sua dignità di uomo neanche in carcere, luogo non fatto e non gestito certo per "redimere" gli uomini! E non perda mai la speranza.
Cordialmente,
Francesco Cossiga
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venerdì 18 ottobre 2013
L'università Capodistriana e altre sconcezze
Uno degli striscioni all'università capodistriana che spiega i motivi dello sciopero. Motivi che si richiamano alle manifestazioni contro la trojka degli anni scorsi |
L'università è occupata, i professori in sciopero - ma non ufficialmente. Altrimenti, addio stipendio. Inoltre, è in corso una tenzone tra il ministero e i rettori. Il primo vuole i nomi dei fannulloni da mettere, eventualmente, in uscita. I secondi si rifiutano - a mio parere giustamente - di darli.
Il sistema universitario greco è in parte diverso da quello italiano, in parte soffre degli stessi mali. Il numero chiuso esiste per ogni corso di studi. Entrare all'università è difficilissimo e per questo molti studenti vanno all'estero. Allo stesso tempo, per decenni hanno imperato favori e nepotismo. Insegnano i figli dei figli, le amanti e le sorelle, gente che non ha pubblicato un libro in vita sua o non ha mai messo il naso fuori dal paese. Ora, però, non vedo una strada in grado di invertire la tendenza o, almeno, non quella dei licenziamenti. Almeno per due motivi. Il primo è che l'epurazione si renderebbe necessaria per motivi di budget e non di principio. Troppo comodo. Il secondo è che i complici silenti di ieri non possono diventare improvvisamente i "vendicatori". Per troppi decenni - sotto agli occhi di tutti - sono entrate persone con curricula singolari accanto a grandi studiosi. Per troppo tempo lo scambio di favori ha prevalso sull'onestà e il pensiero che un'università migliore significa per il paese un futuro migliore. Ora si paga il conto. Signomi (scusate). In Italia non è diverso. La più grande associazione di storici per numero di iscritti, l'Associazione degli storici contemporanei, ha messo in rete i verbali degli ultimi anni di concorsi. Perché? Che ci stanno a fare sul sito se nessuno li commenta? Se non si indica come un vincitore mettiamo del 10 novembre 2013 (data assolutamente a caso, tanto che deve ancora venire) nell'Università di CXSREG era stato giudicato/a quasi incompetente due settimane prima a uno stesso concorso nell'università di GRFORT? O di persone diventate ordinarie con gli stessi titoli con i quali si fecero associati?
Marconista, e come lui tanti, sa molto. Conosce i meccanismi, conosce i nomi, i luoghi, le circostanze. Molte commissioni non sono altro che associazioni a delinquere: falso, abuso d'ufficio, truffa ai danni dello Stato. So, ma non ho le prove. Quelle che valgono in tribunale. E, forse, se anche le avessi, le posterei qui, ma non le porterei a un giudice. Lo schifo ingenerato da questa gente è tale, che non si meritano neanche la gogna. Il male che hanno fatto lo pagheranno anche i loro figli e nipoti. E questo può bastare.
BANDA NERA IN SEGNO DI LUTTO |
martedì 15 ottobre 2013
ORIANA INNAMORATA. FOTO INEDITE CON PANAGOULIS E PELOU
Marconista ha avuto accesso a due foto di Oriana Fallaci che, per quanto ne sappia, sono ad oggi inedite.
La loro storia è complessa, ma quello che più interessa qui sono le immagini particolarmente dolci della giornalista, all'epoca - fine anni sessanta, primissimi settanta - ancora lontana dalle posizioni politiche estreme prese dopo l'11 settembre.
La prima foto, del 13 agosto 1973, ritrae la scrittrice insieme all'eroe della resistenza greca Alekos Panagoulis il giorno del loro primo incontro. Oriana era lì per intervistarlo e fu amore subito.
Nella seconda è del 1968, aeroporto di Saigon. Oriana con il giornalista francese François Pelou, con cui ebbe una lunga relazione.
Ed ecco cosa ha scritto Oriana di quell'incontro:
Cominciammo l’intervista. E immediatamente mi colpì la sua voce che era seducentissima, dal timbro fondo, quasi gutturale. Una voce per convincer la gente. Il tono era autorevole, calmo: il tono di chi è molto sicuro di sé e non ammette repliche a ciò che dice in quanto non ha dubbi su ciò che dice. Parlava, ecco, come un leader. Parlando fumava la pipa che praticamente non staccava mai dalla bocca. Così avresti detto che la sua attenzione era concentrata su quella pipa, non su di te, e questo gli conferiva una certa durezza che intimidiva perché non si trattava di una durezza recente, cioè maturata dagli strazi fisici e morali, bensì di una durezza nata con lui: grazie alla quale aveva potuto vincere gli strazi fisici e morali. Allo stesso tempo era premuroso, gentile, e restavi come smarrito quando, con virata improvvisa, sai la virata di un motoscafo che procede dritto e di colpo si gira per tornare indietro, tanta durezza si rompeva in dolcezza: struggente come il sorriso di un bimbo. Il modo in cui ti versava la birra, ad esempio. Il modo in cui ti toccava una mano per ringraziarti di un’osservazione. Ciò gli cambiava i lineamenti del volto che, non più doloroso, diventava indifeso. Di volto non era bello: con quegli occhi piccoli e strani, quella bocca grande e ancora più strana, quel mento corto, infine quelle cicatrici che lo sciupavano tutto. Alle labbra, agli zigomi. Eppure ben presto ti sembrava quasi bello: di una bellezza assurda, paradossale, e indipendente dalla sua anima bella. No, forse non lo avrei mai capito. Decisi da quel primo incontro che l’uomo era un pozzo di contraddizioni, sorprese, egoismi, generosità, illogicità che avrebbero sempre chiuso un mistero. Ma era anche una fonte infinita di possibilità e un personaggio il cui valore andava oltre quello del personaggio politico. Forse la politica rappresentava solo un momento della sua vita, solo una parte del suo talento. Forse, se non lo avessero ammazzato presto, se non lo avessero rimesso in gabbia, un giorno avremmo sentito parlare di lui per chissà quali altre cose.
Quante ore restammo nella stanza coi libri e coi fiori a parlare? È l’unico particolare che non ricordo. Non ti accorgi del tempo che passa se ascolti ciò che narrava lui. La storia delle torture, anzitutto, l’origine delle sue cicatrici. Ne aveva dappertutto, mi disse. Mi mostrò quelle sulle mani, sui polsi, sulle braccia, sui piedi, sul costato. Qui stavano esattamente dove stanno le ferite di Cristo: all’altezza del cuore. Gliele avevano inflitte alla presenza di Costantino Papadopulos, il fratello di Papadopulos, con un tagliacarte scheggiato. Però me le mostrava con distacco, nessuna autocommiserazione: lo irrigidiva un autocontrollo eccezionale, quasi crudele. Tanto più crudele quando ti accorgevi che i suoi nervi non erano usciti intatti dai cinque anni d’inferno. E questo lo raccontavano i suoi denti quando mordeva la pipa, lo raccontavano i suoi occhi quanto si appannavano in lampi di odio o di muto disprezzo. Pronunciando il nome dei suoi seviziatori, infatti, si isolava in pause impenetrabili e non rispondeva nemmeno a sua madre che entrava chiedendo se volesse ancora una birra o un caffè.
La loro storia è complessa, ma quello che più interessa qui sono le immagini particolarmente dolci della giornalista, all'epoca - fine anni sessanta, primissimi settanta - ancora lontana dalle posizioni politiche estreme prese dopo l'11 settembre.
La prima foto, del 13 agosto 1973, ritrae la scrittrice insieme all'eroe della resistenza greca Alekos Panagoulis il giorno del loro primo incontro. Oriana era lì per intervistarlo e fu amore subito.
Nella seconda è del 1968, aeroporto di Saigon. Oriana con il giornalista francese François Pelou, con cui ebbe una lunga relazione.
Ed ecco cosa ha scritto Oriana di quell'incontro:
Cominciammo l’intervista. E immediatamente mi colpì la sua voce che era seducentissima, dal timbro fondo, quasi gutturale. Una voce per convincer la gente. Il tono era autorevole, calmo: il tono di chi è molto sicuro di sé e non ammette repliche a ciò che dice in quanto non ha dubbi su ciò che dice. Parlava, ecco, come un leader. Parlando fumava la pipa che praticamente non staccava mai dalla bocca. Così avresti detto che la sua attenzione era concentrata su quella pipa, non su di te, e questo gli conferiva una certa durezza che intimidiva perché non si trattava di una durezza recente, cioè maturata dagli strazi fisici e morali, bensì di una durezza nata con lui: grazie alla quale aveva potuto vincere gli strazi fisici e morali. Allo stesso tempo era premuroso, gentile, e restavi come smarrito quando, con virata improvvisa, sai la virata di un motoscafo che procede dritto e di colpo si gira per tornare indietro, tanta durezza si rompeva in dolcezza: struggente come il sorriso di un bimbo. Il modo in cui ti versava la birra, ad esempio. Il modo in cui ti toccava una mano per ringraziarti di un’osservazione. Ciò gli cambiava i lineamenti del volto che, non più doloroso, diventava indifeso. Di volto non era bello: con quegli occhi piccoli e strani, quella bocca grande e ancora più strana, quel mento corto, infine quelle cicatrici che lo sciupavano tutto. Alle labbra, agli zigomi. Eppure ben presto ti sembrava quasi bello: di una bellezza assurda, paradossale, e indipendente dalla sua anima bella. No, forse non lo avrei mai capito. Decisi da quel primo incontro che l’uomo era un pozzo di contraddizioni, sorprese, egoismi, generosità, illogicità che avrebbero sempre chiuso un mistero. Ma era anche una fonte infinita di possibilità e un personaggio il cui valore andava oltre quello del personaggio politico. Forse la politica rappresentava solo un momento della sua vita, solo una parte del suo talento. Forse, se non lo avessero ammazzato presto, se non lo avessero rimesso in gabbia, un giorno avremmo sentito parlare di lui per chissà quali altre cose.
Quante ore restammo nella stanza coi libri e coi fiori a parlare? È l’unico particolare che non ricordo. Non ti accorgi del tempo che passa se ascolti ciò che narrava lui. La storia delle torture, anzitutto, l’origine delle sue cicatrici. Ne aveva dappertutto, mi disse. Mi mostrò quelle sulle mani, sui polsi, sulle braccia, sui piedi, sul costato. Qui stavano esattamente dove stanno le ferite di Cristo: all’altezza del cuore. Gliele avevano inflitte alla presenza di Costantino Papadopulos, il fratello di Papadopulos, con un tagliacarte scheggiato. Però me le mostrava con distacco, nessuna autocommiserazione: lo irrigidiva un autocontrollo eccezionale, quasi crudele. Tanto più crudele quando ti accorgevi che i suoi nervi non erano usciti intatti dai cinque anni d’inferno. E questo lo raccontavano i suoi denti quando mordeva la pipa, lo raccontavano i suoi occhi quanto si appannavano in lampi di odio o di muto disprezzo. Pronunciando il nome dei suoi seviziatori, infatti, si isolava in pause impenetrabili e non rispondeva nemmeno a sua madre che entrava chiedendo se volesse ancora una birra o un caffè.
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