L'interno di un dipartimento dell'UNICAL |
"per creare lavoro servono anche i professori universitari di cui parla il premier: non come sbocco di carriera, ma come docenti di una nuova generazione di giovani, con le competenze che si chiedono nel mercato del lavoro del Duemila e che sono radicalmente diverse da quelle di cinquant'anni fa. I professori universitari devono esser egli "ascensoristi", non i passeggeri dell'ascensore sociale".
Ora, che Letta l'abbia detta grossa puntando alla carriera universitaria come fattore di emancipazione sociale, siamo d'accordo. Ma che l'università serva a formare un lavoratore nel senso in cui lo richiede il capitale finanziario (se vogliamo dirla alla Fumagalli, il capitale cognitivo - e aggiungiamo pure Negri - dell'impero!) beh, direi che non ci siamo proprio. Uno dei limiti delle riforme universitarie degli ultimi quindici anni, a parte l'aumentata burocratizzazione dell'istituzione, sono stati proprio i rapporti distorti con il mondo del lavoro. L'università è istruzione superiore, serve a formare coscienza e mente di un ragazzo, non a creare il prototipo del bravo lavoratore pronto a essere inserito con la sua specializzazione limitata da 20 stupidi esami iperconcentrati. L'università serve a far crescere negli studenti l'amore per la ricerca, la passione per la cultura, le competenze per il lavoro che vorrebbero fare, ma in senso ampio e, soprattutto, critico. Non solo non è un ufficio di collocamento, ma non è neanche un corso di aggiornamento. Quello se lo fanno le aziende. Le quali, se proprio vogliono, potranno sempre aprirsi le proprie università private dove formare quel lavoratore lobotomizzato di cui sembrano avere così disperato bisogno. Dentro la mia facoltà in tre abbiamo vinto una battaglia perché non venisse data una laurea Honoris Causa a Marchionne in tempi ancora non sospetti. Non solo per Marchionne e il capitale, ma perché non volevamo che questo legame università-azienda, che si è in parte già formato, venisse sanzionato in modo così fortemente simbolico. Abbiamo gli spin-off accademici che già operano con sufficiente pervasività. A questi non si possono aggiungere altre forme di dipendenza che, anzi, dovrebbero essere arginate. L'università, come la scuola, devono tornare a fare quello per cui sono nate. Istruire e preparare ad affrontare una vita. Non si esce medici o avvocati. Si esce laureati. Medici, avvocati o architetti si diventa con la pratica. Comincino i vari Abranel e i suoi amici meritocratici a sboccare il mercato del lavoro universitario, a fare in modo che ci siano più possibilità - non dico di fare carriera - almeno di spostarsi di sede in sede senza che ciò comporti ogni volta la scalata di un 7000. Che si paghino anche un po' di più i professori e che si lascino i ricercatori al loro lavoro di ricerca. Che sia l'eccezione il ricercatore che insegna, e non la regola. E che si torni ad investire, subito, proprio sulla ricerca. E che il capitalista torni a fare il suo, ossia investire denaro e non attendere che lo Stato - che a parole rinnega - gli sforni annualmente un parco buoi da dove assumere sottopagando.
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