lunedì 21 gennaio 2013

EZIO MAURO e l'OBLIO

"Non è un problema di partecipare ai funerali, ma all'elemento simbolico che i funerali rappresentano e non sentire la necessità umana di separarsi da quei simboli che quei funerali rappresentano. Non è possibile aver ripudiato il terrorismo, aver fatto una scelta di difendere lo Stato e la democrazia, uno Stato che non ci piaceva e difendeva le stragi, ma che andava cambiato. Nascondere tutto ciò dietro la parola umanità è improprio. E' vero che i morti meritano compassione tutti ed è chiaro che di fronte alle persone sconfitte si guarda alla parabola della loro vita, ma l'umanità deve cominciare prima di tutto dalle vittime. La cui vita è stata spezzata per un disegno ideologico folle, che sembrava già folle allora, ripudiato dalla classe operaia alla quale ci si rivolgeva. Come si fa a parlare di umanità senza dimostrare umanità per le vittime. E' grave che esistano queste scorie nella sinistra italiana. Che significato ha? Come se non fosse la cosa più vile di questo mondo sparare a una persona disarmata che crede di vivere in democrazia in tempo di pace perché si mima una guerra che non esiste e che è stata dichiarata da una parte sola?
Com'è possibile a tanti anni di distanza a dare dei giudici ancora così ambigui? Fortunatamente la grandissima maggioranza della sinistra i conti li ha fatti, salvando la democrazia italiana come hanno fatto la Democrazia Cristiana e il Pci durante il sequestro Moro."


Queste le parole di Ezio Mauro oggi in redazione a Repubblica. Le ho trascritte in fretta, qualche passaggio è omesso, ma la sostanza è questa.

Io mi chiedo, e ce lo chiediamo in molti: ma come si fa ad avere ancora paura di una rivoluzione che come giustamente dice Mauro, è stata sconfitta? Cosa c'entrano le vittime? Non è mica morta una vittima delle Br. E' morto ed è stato accompagnato nel suo ultimo viaggio un dirigente delle Br. Uno dei più famosi. Di cui la stampa, che avrebbe preferito tacere, è costretta a parlare.  La memoria di Prospero fa paura, perché ci sono donne e uomini che lo ricordano. E che non pensano a una guerra dichiarata unilateralmente, guardando a quegli anni. Credono che la lotta armata fu una risposta alla reazione della classe dirigente italiana, alla ristrutturazione capitalistica, ai licenziamenti e alla controffensiva reazionaria, dopo lo scatto in avanti rappresentato dagli anni Sessanta. Fu la risposta alle bombe di Milano, alla strategia della tensione che insanguinò il Paese fino al 1974. Fu il tentativo, unico nella sua originalità, di portare in Italia uno scontro sociale armato, di armare il proletariato, di attaccare lo Stato, la Democrazia Cristiana. E di processarla. Quel processo che non poteva avvenire né in Parlamento, né nelle piazze, avvenne in un appartamento della periferia romana. E i partiti se ne disinteressarono. Che Mauro ci spieghi in che modo sarebbe andata a malora la Repubblica, ripeto, la Repubblica, lo Stato, se i partiti avessero trattato la liberazione di Moro? Se avessero scelto di liberare un solo prigioniero politico. Uno solo. Avrebbero salvato Moro. Lo hanno lasciato morire, senza assumersene la responsabilità politica. E di questa memoria che non si può e non si deve parlare in Italia. Del fatto che un gruppo consistentissimo di proletari si siano armati e abbiano sparato al capitale e ai suoi rappresentanti. E del fatto che questa storia sia durata non meno di quindici anni. E si sia conclusa, da un punto di vista giudiziario, con l'assunzione piena di responsabilità da parte degli imputati. Responsabilità politica, per la quale sono stati condannati a decine di ergastoli persone che non hanno mai sparato. E per la quale, dopo 32 anni, molti sono ancora in carcere.
Cosa vuole Mauro? Una solo parola: l'Oblio. Caro Mauro, non l'avrai mai.

















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