Miloš Zeman |
L’11
ed il 12 Gennaio 2013 in Repubblica Ceca si è svolto il primo turno delle
presidenziali. Si tratta della prima elezione diretta del capo dello Stato dopo
la riforma voluta dal primo ministro Petr Nečas nel 2010 e votata dal parlamento
in modo definitivo nel febbraio del 2012. Sebbene accusato da molti osservatori
di aver spesso travalicato i limiti costituzionali e favorito con il suo
operato la riforma, il presidente Vaclav
Klaus (2003 – marzo 2013), pur firmandola si dichiarò contrario alla legge, ritenendola
precoce per la relativamente giovane democrazia mitteleuropea.
Dei
nove aspiranti la carica di capo dello Stato (Klaus non ha potuto
ricandidarsi), due indipendenti hanno suscitato particolare interesse
nell’opinione pubblica internazionale: Vladimír Franz e Jan Fischer. Il primo,
professore di Arte drammatica all’Accademia di Prega, a causa dell’aspetto assolutamente inedito per un politico, almeno
qui in Occidente: il suo corpo è infatti interamente ricoperto di tatuaggi. Il
secondo, perché in caso di vittoria sarebbe stato il primo presidente ebreo
direttamente eletto dal popolo in Europa. Né Franz, né Fischer sono passati al
secondo turno, pur avendo ottenuto un buon successo. Fischer è risultato terzo,
con 841.437 voti, corrispondenti al 16,35% delle preferenze, mentre Franz è
giunto quinto con 351.916 voti (6,84%). Tra
loro, Jiří Dienstbier, del Partito socialdemocratico, con il 16,12%.
Al
secondo turno, che si è svolto secondo tradizione dalle 14.00 del 25 gennaio
alle 14.00 del giorno successivo, si sono scontrati, invece, due politici che
in passato hanno ricoperto importanti cariche: Miloš Zeman, primo ministro
dal 1998 al 2002, già socialdemocratico e ora leader del “Partito dei diritti
civili – Zemaniani” (Strana Práv Občanů – Zemanovci) che l’11 gennaio ha
raccolto 1.245.848 voti (24,21%) e un principe, Karel Schwarzenberg, attuale
ministro degli Esteri, posizione peraltro già occupata dal 2007 al 2009, con
alle spalle una rilevante attività di sostegno al dissenso anticomunista durante
gli anni della guerra fredda e oggi leader del partito TOP-09 (Tradice
Odpovědnost Prosperita 09 ossia Tradizione
Responsabilità Prosperità 09),
secondo con 1.204.195 voti (23,40%). L’elettorato ceco ha dunque puntato su due
candidati “sicuri” e conosciuti: due settantenni che hanno già segnato la vita
politica della Cechia post-comunista. Sia Zeman, sia Schwarzenberg, inoltre, dopo un impegno
politico all’interno di partiti tradizionali, hanno fondato, o contribuito a
far nascere, formazioni che si richiamano con gli slogan, la terminologia e il
nome, a sentimenti non ideologici e populisti, come i diritti civili o la
prosperità.
Com’era prevedibile, il secondo turno è stato
vinto da Zeman con il 54,80% dei suffragi. Schwarzenberg si è però aggiudicato
le due maggiori città del paese, Praga (66,01%) e Brno (53,90%), Plzeň
(54,15%), České Budějovice (52,45%) e il voto dei cechi all’estero con
l’84,21%. Zeman ha vinto conquistato tutti gli altri distretti del paese,
costruendo così la sua vittoria fuori dai grandi centri urbani. È lecito
chiedersi quale Cechia sarà sotto la presidenza di Zeman.
Il
nuovo capo dello Stato, che salirà a marzo al Castello, si è sempre detto per
un’attiva e fattiva partecipazione dell’elettorato alla vita politica. È stato
quindi favorevole all’elezione diretta del presidente e vorrebbe proseguire su
questa strada introducendo, per esempio, il referendum secondo il modello
svizzero. Da un punto di vista sociale si è dichiarato ammiratore del sistema
socialdemocratico svedese, ma le sue idee presentano tratti di liberalismo
puro. È favorevole a una bassa tassazione all’interno di un sistema fiscale
progressivo che non superi il 25%. Contrario all’adozione per le coppie
omosessuali, si è dichiarato anche contro le quote rosa in politica. Pur
essendo stato emarginato durante il periodo comunista, non è un anticomunista
dichiarato, come Schwarzenberg, e l’unico partito che ritiene davvero
antidemocratico è il Partito operaio della giustizia sociale (Dělnická
strana sociální spravedlnosti), che giudica una formazione fascista. In politica estera
ha sposato la causa di Israele, che vorrebbe vedere nella NATO. In passato ha
paragonato Arafat a Hitler e nel 2011 ha dichiarato che “un musulmano moderato
è come un nazista moderato”. Favorevole al mercato globale, non ritiene Russia
e Cina partner ideali perché non rispetterebbero i diritti umani. Non mancano
le contraddizioni. Zeman, pur avendo appoggiato l’intervento armato contro la
Serbia nel 1999, ha definito il Kosovo, che da quel conflitto compì i primi
passi verso la piena sovranità, una “dittatura terroristica finanziata dai
narcotrafficanti”. Infine, è un europeista convinto: appoggia l’idea di
un’Europa Federale, con politica estera e di difesa unitarie. Ci attende un
paese attivo in politica estera, in prima linea nella “lotta al terrorismo
internazionale”, ma sostanzialmente conservatore e difficilmente in grado di
aprire una nuova fase storica nelle sue politiche economiche e sociali.
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