lunedì 13 febbraio 2012

Note sulla giornata di Atene di Mauro Faroldi

Non è sovraesposizione ma lo scoppio di un lacrimogeno
Ringrazio Mauro Faroldi, che mi permette di pubblicare queste sue note.


12 febbraio, Atene

A casa, mi preparo spiritualmente per scendere in Piazza Syntagma, sarà una serata lunga e difficile. Gli autobus quasi non circolano, prendo un taxi, lo guida una bella signora sui 55 anni, non è abbrutita come lo sono la maggior parte dei taxitzídes di Atene, ha cura di sé, non ti alita in faccia il fumo della sua sigaretta, è gentile nonostante stia dodici ore il giorno in mezzo al traffico per mettersi in tasca si e no quaranta euro. Mi racconta che fa questo lavoro da solo un anno e mezzo, ma per lei è tanto, una vita. Ha tre figli, che vivono grazie al suo lavoro, la più grande è laureata, ha lavorato per sei mesi in un ufficio senza essere stata mai pagata, poi l’hanno cacciata dicendo che aveva problemi psicologici… Gli altri figli studiano, non mi parla del marito, sarà separata o vedova o semplicemente il marito è disoccupato e la carretta tocca tirarla solo a lei. Mi dice che non ha paura del presente, il presente si affronta, è il futuro che fa paura perché sembra non esistere.
Scendo a piazza Omonia, inizio a scattare fotografie risalendo via Stadiu per arrivare poi a Syntagma. È ancora presto ma la gente sta arrivando in piazza sempre più numerosa, alcuni giovani inveiscono contro i poliziotti schierati davanti al Parlamento: “Fate un lavoro di merda, anche a voi hanno tagliato lo stipendio e arriverete a prendere 300 euro il mese per fare i servi di chi ci sta affamando!”. Giro un po’ fra la folla a pochi metri dalla statua del milite ignoto, improvvisamente decine di clacson annunciano l’arrivo di un corteo sono decine di moto che accompagnano due auto. Sulla prima Manolis Glezos, classe 1922, eroe della Resistenza Greca, a 19 anni assieme a un compagno strappò la bandiera nazista dall’Acropoli, sulla seconda Mikis Theodorakis, 87 anni, una vita dedicata alla musica, anni e anni passati in galera, al confino, in esilio, un lungo percorso politico che dalla sinistra l’ha portato a essere un uomo di destra. La folla applaude commossa e urla: “Salvate la Grecia! Salvate la Grecia!”. Ma per “salvare la Grecia”, è necessario affondare prima la Grecia, delle banche, degli armatori, dei rentier, dei partiti arroganti, surrealisti e mafiosi. Manolis saluta bello e gagliardo, straordinariamente giovane per i suoi anni. Mikis arranca, cammina a fatica, ha un bastone ed è sorretto, al contrario di Manolis mostra un’imponenza che gli è rimasta nonostante le ferite del tempo.
Ogni minuto di che passa la piazza e le vie adiacenti sono sempre più piene, le stazioni del metrò straboccano di gente. Molti volti, specie i più giovani, sono allegri, altri sono seri tutti sono consapevoli che al “palazzo” i giochi sono già stati fatti, staremo a vedere chi, fra i deputati, si sfilerà da un voto plebiscitario ottenuto grazie a un gioco di pressioni e di ricatti. Con rabbia e disperazione la folla urla: “Na kaì! Na kaì! To burdelo tis Vulì”. Cioè “Deve bruciare! Deve bruciare! Quel bordello del Parlamento!”, certo non lo stanno mandando a dire….
Giro per la piazza per immergermi meglio nella folla, improvvisamente al cellulare mi chiama Antonio, ci troveremo più sotto a Stadiu, mentre mi avvio sento i primi botti dei lacrimogeni, sembrano bombe carta, la polizia inizia a caricare. Stadiu è piena di gente così Panepistimiu fino a piazza Omonia, faccio in tempo a trovarmi con Antonio e Sandra che veniamo investiti dai gas lacrimogeni, come tanti giovani e pensionati, insegnanti e casalinghe, lavoratori e disoccupati indosso la mia maschera antigas, un oggetto che va molto in Grecia di questi tempi. Saliamo verso Panepistimiu, il fumo dei lacrimogeni diventa insopportabile, la gente che accalca la strada arretra lentamente verso Omonia, arretra ma non si disperde vuole continuare a manifestare. In fondo a Panepistimiu il corteo del Pame, il sindacato legato al Partito Comunista, decide d’allontanarsi dalla zona calda e di concentrarsi più in giù in via 3 Septembriu, inquadrati come soldatini, protetti da un poderoso servizio d’ordine scendono verso piazza Omonia e via 3 Septembriu. Sandra e Antonio mi salutano, io rimango, decido di riavvicinarmi a piazza Syntagma, per strada ci sono ancora migliaia e migliaia di persone che vogliono manifestare la loro rabbia nonostante il centro di Atene si è ormai trasformato in un campo di battaglia e qua e là si vedono alzarsi lingue di fuoco. Nella confusione più totale sento vibrare il cellulare, è Teresa si è rifugiata a casa di un’amica, mi chiede di raggiungerla. Rimango ancora un po’, poi, facendo un percorso molto esterno al campo di battaglia raggiungo Teresa a casa di Mika. In tv vediamo la città in preda alle fiamme, bruceranno una quarantina di edifici, fra cui alcuni dei pochi edifici neoclassici sopravissuti a un’altra devastazione, quella edilizia degli anni ’50 e ’60. Alle due di notte il parlamento vota la legge che massacra salari e pensioni, i partiti del governo di “unità nazionale” si sono persi una settantina di deputati per strada, ma come appariva scontato, ce l’hanno fatta.

Mattino, mi alzo, trangugio un caffè e vado in centro. Atene è ferita, forse mortalmente, come sono lontani i fasti e le glorie dei giorni delle Olimpiadi del 2004! Scendo dal filobus davanti al Politecnico, dove nel ’73 i carri armati della giunta misero a tacere nel sangue i moti studenteschi, e vado verso Omonia. Il volto di chi incontri è triste, depresso, stravolto. Arrivo in piazza Klathmonos dove è bruciato un cinema, i pompieri sono ancora all’opera. Molti, attoniti si fermano a guardare, qualcuno scatta fotografie, l’odore dei lacrimogeni permane ancora e si mischia con il fumo degli incendi, non è una piacevole sensazione. Di fronte a quello che è rimasto dell’edifico un senza tetto dorme sotto un portico fra cartoni e vecchie coperte, pochi metri più in là accanto alla libreria francese Kaufman, fondata nel lontano 1918, anche questa sfasciata e saccheggiata, un anziano, fra vetri, pezzi di marmo e ferri, lustra le scarpe a un passante, non ha altro modo per vivere. Non molto lontano alcuni extracomunitari raccolgono tutti i ferri divelti nella battaglia di Atene, li andranno a vendere per pochi euro. Davanti alla libreria Ianos, una donna di mezz’età, invasata arringa alla folla dicendo che quello che sta succedendo è volontà di Dio per punire i nostri peccati.
Ho il cuore gonfio, riprendo a camminare, piazza Korais, via Panepistimiu, Akadimia, Syntagma, Ermu, Atinas ovunque devastazioni, stiamo vivendo in una società impazzita. Una società in cui pochi hanno tutti e molti non hanno niente non può essere che una società basata sulla violenza e i primi responsabili sono coloro che tutto hanno. Un pugno di banchieri decide di mettere un popolo alla fame, alla protesta legittima e sacrosanta si associa una protesta primordiale, bruta, cieca, autodistruttiva figlia di un’umanità che sembra destinata alla decadenza. Mi sembra di vivere in un paese senza speranza, non ho pianto per i lacrimogeni ma ora ho voglia di piangere, e qui non sono il solo.

Atene, Kypseli, 13 febbraio 2012

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