venerdì 16 dicembre 2011

Il terrorista Carlos, la strage di Bologna e le Br




Carlos oggi
Ilich Ramírez Sánchez, noto col nome di Carlos, è stato condannato il 15 dicembre 2011 dalla Corte d'Assise Speciale di Parigi all'ergastolo, (ne sta già scontando uno) come responsabile del gruppo che commise quattro attentati mortali nel paese tra 1982 e 1983. Il tribunale ha anche condannato all'ergastolo due degli altri tre 
imputati, giudicati in contumacia. Si tratta del palestinese Ali Kamal All'Issawi, da una decade irreperibile, del tedesco Johannes Weinrich, che sconta un ergastolo in Germania e della tedesca Christa-Margot Fröhlich, iscritta dalla 
procura di Bologna nel registro degli indagati per la strage alla 
stazione del 2 agosto 1980, che è stata  assolta.
"Questa sentenza è a suo modo epocale, in quanto viene riconosciuto che Carlos e il suo gruppo non esitavano a far saltare treni e stazioni, pur di liberare i loro compagni d'armi." Così commenta "Cielilimpidi" in Italia.

Si tratta, invece, di una sentenza epocale, in quanto scagiona del tutto la Frölich. L'ex brigatista Sandro Padula aveva già scritto un lungo documento nell'aprile 1997 per dimostrare la sua innocenza rispetto all'attentato di rue Marbeuf, unico fatto per cui era imputata in territorio francese, nel vano tentativo di evitare la sua estradizione dall'Italia. "Questa sentenza", commenta oggi lo stesso Padula, "implicitamente sgonfia  la pista palestinese e la recente indagine  sulla Frölich rispetto alla strage di Bologna del 1980".

giovedì 15 dicembre 2011

Nuto Revelli, Giulio Bedeschi e la Storia Orale

Nuto Revelli
Passano le stagioni e cambiano i maestri . Cesare Bermani e Alessandro Portelli sono due nomi sulla bocca di tutta la sinistra radical chic, colti,  librai, editori, che ne hanno fatto i due soli, unici, primi e maggiori storici orali italiani. 


Senza nulla voler loro togliere, l'affermazione va corretta. 

Con il foulard nero Cesare Bermani
Giulio Bedeschi
Nuto Revelli fece della storia orale una missione di vita negli anni Sessanta. Partecipò alla campagna di Russia con l'Armir; rientrato in Italia divenne partigiano. I suoi primi libri raccontano della sua esperienza in Russia durante la ritirata del gennaio 1943. I primi scritti sono autobiografici; quindi il "geometra" Revelli ha cominciato a cercare documenti privati, a intervistare sopravvissuti e familiari dei cosiddetti dispersi, in un lavoro pioneristico; si affermò in Italia all'inizio degli anni Sessanta l'inizio della storia orale. Si è occupato anche dello studio delle condizioni di vita dei contadini poveri del cuneese. Le sue opere più importanti, come L'Ultimo Fronte e La strada del davaj, vengono continuamente editate da Einaudi. Anche con Il mondo dei vinti e L'anello forte, con oltre 270 interviste, Revelli ha dato voce ai "vinti" e a un mondo che l'Italia ha voluto dimenticare in fretta, prima ancora della conclusione della seconda guerra mondiale.


Al contrario di Revelli, democratico e uomo di sinistra, un altro pioniere della storia orale in Italia è un ex fascista e repubblichino, Giulio Bedeschi. Anche lui ha partecipato alla campagna di Russia e dopo il rientro e la seconda parte della guerra nelle file della Repubblica Sociale Italiana, ha scritto Centomila gavette di ghiaccio, pubblicato dopo varie avventure da Mursia, nel 1963, e vincitore del Premio Bancarella l'anno seguente. Nel 1966 uscì il seguito, Il peso dello zaino. Quindi si è dedicato alla raccolta di testimonianze di sopravvissuti dai vari fronti di guerra: "Nikolajewka: c'ero anch'io"; "Fronte greco-albanese: c'ero anch'io"; "Fronte d'Africa: c'ero anch'io"; "Fronte russo: c'ero anch'io"; "Il Corpo d'Armata Alpino sul fronte russo". Ha composto canti alpini entrati nel repertorio nazionale. 

domenica 11 dicembre 2011

il prof. De Tormentis e la tortura in Italia


Riprendo dal   blog di BARUDA  e pubblico qui un articolo di Paolo Persichetti uscito su Liberazione dell'11 dicembre 2011


Nei primi anni 80 per contrastare la lotta armata oltre alle leggi d’emergenza, alla giustizia d’eccezione e alle carceri speciali, lo Stato fece ricorso anche alle torture

Paolo Persichetti
Liberazione 11 dicembre 2011

«Professor De Tormentis», era chiamato così il funzionario dell’Ucigos (l’attuale Polizia di prevenzione) che a capo di una speciale squadretta addetta alle sevizie, in particolare alla tecnica del waterboarding (soffocamento con acqua e sale), tra la fine degli anni ‘70 e i primissimi anni ’80 si muoveva tra questure e caserme d’Italia per estorcere informazioni  ai militanti, o supposti tali, delle Brigate rosse.
Di lui, e del suo violento trattamento riservato agli arrestati durante gli interrogatori di polizia, parla diffusamente Nicola Rao in un libro recentemente pubblicato per Sperling&Kupfer, Colpo al cuore. Dai pentiti ai “metodi speciali”: come lo Stato uccise le Br. La storia mai raccontata. Rivelazioni che portano un colpo decisivo alla tesi, diffusa da magistrati come Caselli e Spataro (recentemente anche Turone) che vorrebbe la lotta armata sconfitta con le sole armi dello stato di diritto e della costituzione. In realtà alle leggi d’emergenza, alla giustizia d’eccezione e alle carceri speciali, si accompagnò anche il più classico degli strumenti tipici di uno stato di polizia: la tortura. Il velo su queste violenze si era già squarciato nel 2007, quando Salvatore Genova, uno dei protagonisti dell’antiterrorismo dei primi anni ’80, coinvolto nell’inchiesta contro le sevizie praticate ai brigatisti che avevano sequestrato il generale Dozier, cominciò a testimoniare quanto aveva visto: «Nei primi anni ’80 esistevano due gruppi – dichiara a Matteo Indice sul Secolo XIX del 17 giugno – di cui tutti sapevano: “I vendicatori della notte” e “I cinque dell’Ave Maria”. I primi operavano nella caserma di Padova, dov’erano detenuti i brigatisti fermati per Dozier (oltre a Cesare Di Lenardo c’erano Antonio Savasta, Emilia Libera, Emanuela Frascella e Giovanni Ciucci)». Per poi denunciare che «Succedeva esattamente quello che i terroristi hanno raccontato: li legavano con gli occhi bendati, com’era scritto persino su un ordine di servizio, e poi erano costretti a bere abbondanti dosi di acqua e sale. Una volta, presentandomi al mattino per un interrogatorio, Savasta mi disse: “Ma perché continuano a torturarci, se stiamo collaborando?”». Come sempre le donne subirono le sevizie più sadiche, di tipo sessuale.
Genova si salvò grazie all’immunità parlamentare intervenuta con l’elezione in parlamento come indipendente nelle liste del Psdi del piduista Pietro Longo (numero di tessera 2223). In quell’intervista Genova si libera la coscienza: «Ovunque era nota l’esistenza della “squadretta di torturatori” che si muoveva in più zone d’Italia, poiché altri Br (in particolare Ennio Di Rocco e Stefano Petrella, bloccati dalla Digos di Roma il 3 gennaio 1982) avevano già denunciato procedure identiche. Non sarebbe stato difficile individuarne nomi, cognomi e “mandanti” a quei tempi». Ma quando il giornalista Piervittorio Buffa raccontò sull’Espresso del marzo 1982 quella mattanza, “informato” dal capitano di Ps Ambrosini (che vide la porta di casa bruciata da altri poliziotti), venne arrestato per tutelare il segreto su quelle pratiche decise ad alto livello.
Chiamato in causa, una settimana dopo anche il «professor De Tormentis» fece sentire la sua voce. Il 24 giugno davanti allo stesso giornalista disseminava indizi sulla sua reale identità, quasi fosse mosso dall’inconscia volontà di venire definitivamente allo scoperto e raccontare la sua versione dei fatti su quella pagina della storia italiana rimasta in ombra, l’unica – diversamente da quanto pensa la folta schiera di dietrologi che si esercita da decenni senza successo sull’argomento – ad essere ancora carica di verità indicibili. De Tormentis non si risparmia ed ammette “i metodi forti”: «Ammesso, e assolutamente non concesso, che ci si debba arrivare, la tortura – se così si può definire – è l’unico modo, soprattutto quando ricevi pressioni per risolvere il caso, costi quel che costi. Se ci sei dentro non ti puoi fermare, come un chirurgo che ha iniziato un’operazione devi andare fino in fondo. Quelli dell’Ave Maria esistevano, erano miei fedelissimi che sapevano usare tecniche “particolari” d’interrogatorio, a dir poco vitali in certi momenti». La struttura – rivela a Nicola Rao il maestro dell’annegamento simulato – è intervenuta una prima volta nel maggio 1978 contro il tipografo delle Br, Enrico Triaca. Ma dopo la denuncia del “trattamento” da parte di Triaca la squadretta venne messa in sonno perché – gli spiegarono – non si potevano ripetere, a breve distanza, trattamenti su diverse persone: «se c’è solo uno ad accusarci, lascia il tempo che trova, ma se sono diversi, è più complicato negare e difenderci». All’inizio del 1982 venne richiamato in servizio. Più che un racconto quella di “De Tormentis” appare una vera e propria rivendicazione senza rimorsi: «io ero un duro che insegnava ai sottoposti lealtà e inorridiva per la corruzione», afferma presagendo i tempi del populismo giustizialista. «Occorreva ristabilire una forma di “auctoritas”, con ogni metodo. Tornassi indietro, rifarei tutto quello che ho fatto».
Oggi l’identità di “De Tormentis” è un segreto di Pulcinella. Lui stesso ha raccontato di aver prestato servizio in polizia per quasi tre decenni, uscendone con il grado di questore per poi esercitare la professione di avvocato. Accanto al questore Mangano partecipò alla cattura di Luciano Liggio; poi in servizio a Napoli sia alla squadra mobile che all’ispettorato antiterrorismo creato da Emilio Santillo (sul sito della Fondazione Cipriani sono indicate alcune sue informative del periodo 1976-77, inerenti a notizie raccolte tramite un informatore infiltrato in carcere), per approdare dopo lo scioglimento dei nuclei antiterrorismo all’Ucigos dove ha coordinato i blitz più «riservati».
De Tormentis riferisce anche di essere raffigurato in una delle foto simbolo scattate in via Caetani, tra gli investigatori vicini alla Renault 4 dove si trovava il corpo senza vita di Moro. In rete c’è traccia di un suo articolo scritto nel gennaio 2001, su un mensile massonico, nel quale esalta le tesi del giurista fascista Giorgio Del Vecchio, elogiando lo Stato etico («il diritto è il concentrato storico della morale»), e rivendica per la polizia i «poteri di fermo, interrogatorio e autonomia investigativa». Nel 2004 ha avuto rapporti con Fiamma Tricolore di cui è stato commissario per la federazione provinciale di Napoli e, dulcis in fundo, ha partecipato come legale di un funzionario di polizia, tra l’86-87, ai processi contro la colonna napoletana delle Br, che non molto tempo prima aveva lui stesso smantellato senza risparmio di metodi “speciali”. Una singolare commistione di ruoli tra funzione investigativa, emanazione del 
potere esecutivo, e funzioni di tutela all’interno di un iter che appartiene al giudiziario, che solo in uno stato di eccezione giudiziario, come quello italiano, si è arrivati a consentire.

Forse è venuto il momento per questo ex funzionario, iscritto dal 1984 all’albo degli avvocati napoletani (nel suo profilo si descrive «già questore, penalista, cassazionista, esperto in investigazioni  nazionali e internazionali su criminalità organizzata, politica e comune, sequestri di persona»), di fare l’ultimo passo alla luce del sole. Sul piano penale “De Tormentis” sa che non ha da temere più nulla. I gravi reati commessi sono tutti prescritti (ricordiamo che nel codice italiano manca quello di tortura).
L’ex questore, oggi settantasettenne, ha un obbligo morale verso la società italiana, un dovere di verità sui metodi impiegati in quegli anni. Deve qualcosa anche ai torturati, alcuni dei quali dopo 30 anni sono ancora in carcere ed a Triaca, che subì la beffa di una condanna per calunnia. Restano da sapere ancora molte altre cose: quale fu l’esatta linea di comando? Come l’ordine sia passato dal livello politico a quello sottostante, in che termini sia stato impartito. Con quali garanzie lo si è visto: impunità flagrante. Venne pizzicata solo una squadretta di Nocs capeggiata da Genova. Condannati in primo grado ma prosciolti in seguito. Di loro, racconta compiaciuto “De Tormentis”: «vollero strafare, tentarono di imitare i miei metodi senza essere sufficientemente addestrati e così si fecero beccare». All’epoca Amnesty censì 30 casi nei primi tre mesi dell’82; il ministro dell’Interno Rognoni ne riconobbe 12 davanti al parlamento, ma il fenomeno fu molto più esteso (cf. Le torture affiorate, Sensibili alle foglie, 1998). La tortura, scriveva Sartre: «Sconfessata – a volte, del resto, senza molta energia – ma sistematicamente applicata dietro la facciata della legalità democratica, può definirsi un’istituzione semiclandestina».
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In memoria di Pasquale Faiella


Pasquale Faiella
E' morto la scorsa notte a Milano, all'eta' di 50 anni, il collega dell'ANSA, Pasquale Faiella. Era nato a Napoli il 20 marzo 1961. Cronista di razza, aveva cominciato la carriera a Napoli nel quotidiano 'Roma' prima di entrare all'Ansa nella sede della Campania dove per oltre dieci anni ha seguito i principali fatti di cronaca nera e giudiziaria.
Successivamente e' stato chiamato alla sede centrale di Roma dove gli e' stato affidato il delicato incarico di seguire l'attivita' di Palazzo di Giustizia. La sua professionalita', il senso del dovere ed il rigore che poneva nel lavoro, lo hanno fatto apprezzare dalle fonti e dai colleghi.
Da circa un anno e mezzo aveva chiesto ed ottenuto il trasferimento nella sede milanese dell'Ansa dove in breve ha conquistato la stima e la simpatia dei colleghi e di quanti ha frequentato nell'attività quotidiana. Lascia la sua compagna, la collega del Corriere della Sera, Cristina Marrone, e il figlio Lorenzo di poco piu' di un anno.
così l'Ansa ha dato la notizia sul suo sito.
Pasquale, per chi l'ha conosciuto ed amato, era un uomo speciale, buono, con un senso del dovere morale, della dignità e del pudore che sono oggi cose rare nel mondo, spesso, sguaiato e volgare nel quale viviamo.
Perdiamo un caro amico e ci lascerà un vuoto che nulla sarà in grado di colmare. Ho visto troppa gente morire e so che è così. Nessun uomo è un'isola; ogni mancanza fa avanzare l'acqua e tu hai solo un retino in mano. Che il tempo ti aiuterà a capire quanto è inutile. 

sabato 10 dicembre 2011

Elezioni in Russia, Il Partito Comunista e Memorial


La sede del parlamento russo, bombardata nel settembre
1992 dalle forze militari fedeli all'allora presidente Boris
Eltsin
Le elezioni per la Duma di Stato che si sono appena svolte in Russia hanno dimostrato che il partito del presidente, Russia Unita, è in caduta libera. Da quando Putin, nell'ottobre scorso, ha annunciato che si sarebbe candidato per le elezioni presidenziali del marzo 2012, ha perso quasi il 20% dei consensi. Perché Putin è già stato presidente per otto anni e con la modifica della costituzione, potrebbe esserlo per altri 12. La Russia però, vuole guardare avanti. Putin rappresenta, a modo suo, il passato; un modo di fare politica che non ha più il fascino della novità, il carisma dell'uomo forte, la legittima voglia di superare l'era eltsiniana, fatta di corruzione e grave danno per la statura internazionale del paese. E' vero, in questi giorni si sono riviste insieme le bandiere sovietiche e dell'impero zarista marciare insieme intorno al Cremlino con l'opposizione unita che chiedeva di ripetere le elezioni, a suo dire falsificate nel risultato; però sono una minoranza. La maggioranza è fatta di giovani che vogliono un paese in cui il parlamento funzioni come garanzia democratica e il presidente non sia il doppione di se stesso. Altri dodici anni di Putin la Russia non potrà reggerli. Il 10 dicembre, intanto, la maggiore ONG Russa, più volte candidata al premio Nobel per la Pace e già vincitrice del Premio Sacharov del Parlamento Europeo, Memorial, ha diffuso questa nota, che riportiamo: 
"La Società Memorial di San Pietroburgo ritiene che le elezioni per la Duma di Stato della Repubblica Federale Russa e quelle per il Parlamento Federale di San Pietroburgo, che si sono svolte il 4 dicembre 2011, sono state falsificate e che quindi il loro risultato non sia legittimo. Inoltre, ritiene che siano state compiute delle violazioni dal profilo penale nei confronti di persone trattenute dalla polizia mentre manifestavano pacificamente il proprio disaccordo con la gestione delle elezioni da parte della Commissione elettorale centrale. Chiede che vengano rilasciati tutti i cittadini trattenuti illegalmente e che siano denunciati i responsabili di tale attività. Chiede che vengano immediatamente indette nuove 
elezioni gestite da nuove Commissioni elettorali, a tutti i libelli. Chiede il pieno controllo dello 
svolgimento delle elezioni da parte dei cittadini durante tutte le tappe, dalla campagna elettorale agli 
scrutini finali" 
Secondo dati non ufficiali, il primo partito in Russia oggi sarebbe il partito comunista, con più del 24% dei voti. Il partito del presidente, Russia Unita, non supererebbe il 20%. Ricordiamo che già nel 1996 le elezioni per la presidenza della repubblica furono vinte dal candidato comunista Zjuganov, ma il risultato fu alterato e diede nuovamente la vittoria a Eltsin.

mercoledì 7 dicembre 2011

Fiorello e Benigni

La comparsata di Benigni al programma di Fiorello è stata giudicata "moscia" da molti giornalisti.
Fiorello aveva chiamato il premio oscar toscano, ricordandogli che si trattava del suo show e che sul palco sarebbero rimasti in due.
A poche ore dall'inizio della trasmissione il manager di Benigni avvertiva che il suo assistito avrebbe svolto un monologo, senza Fiorello.
Ne è seguita una furibonda litigata tra i due che si è protratta fino a pochi minuti prima dell'inizio del programma. Fiorello non ha ceduto, ma Benigni lo ha ripagato con una prestazione sottotono.
La notizia viene dal "Corriere", ma non l'ha pubblicata.
Non chiedetemi perché.




mercoledì 30 novembre 2011

LA SISSCo si indigna per de Mattei

Con ritardo commento il seguente comunicato della SISSCo, società privata per lo studio della Storia Contemporanea


La Sissco esprime una positiva considerazione per premi e riconoscimenti attribuiti ad opere storiche, che segnalano i lavori più meritevoli e incoraggiano le ricerche in questo campo. Guarda però con preoccupazione ad influenze politiche ed ideologiche che orientano talvolta l’assegnazione di tali premi, invece della considerazione per la loro qualità culturale e scientifica e per la loro rilevanza sul piano storiografico, anche perché è obbligatorio per legge tenerne conto nelle procedure di valutazione comparativa. Esprime perciò apprezzamento per le questioni sollevate da Guido Pescosolido a proposito del Premio Acqui Storia e si augura che i responsabili di tutti i riconoscimenti di questo tipo si attengano sempre a criteri culturali e scientifici nella loro assegnazione.
5 ottobre 2011
Cos'è accaduto? E' successo che il premio Acqui Storia 2011, sezione scientifica, sia andato a Roberto de Mattei con il libro "Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta". Il presidente della giuria, Guido Pescosolido, si è dimesso in segno di protesta.
E' noto che Pescosolido non votò, in giugno quando si scelsero le cinquine dei finalisti, per de Mattei, ma concordò sulle motivazioni degli altri giurati, che dicevano: 
«il volume di de Mattei costituisce una originale e completa ricostruzione del Concilio Vaticano II, in una prospettiva storiografica attenta anche al contesto generale dell’epoca e non solo alle vicende ecclesiali e teologiche, queste ultime per altro trattate con grande competenza e rigore scientifico. Basata su un’ampia letteratura e su accurate ricerche d’archivio, l’opera si colloca in maniera originale nel dibattito sulla continuità o rottura rappresentata dal Concilio»
Al di là di queste considerazioni, che riguardano solo Pescosolido, sarebbe il caso di chiedere alla SISSCo quante volte si è indignata per i concorsi universitari taroccati, quante volte non ha stigmatizzato il comportamento di commissari che avrebbero dovuto dimettersi, ma non lo hanno fatto, accettando supinamente le scelte localistiche e mafiosette dei capi bastone in commissione.
Simone Neri Serneri
Ordinario di Storia Contemporanea e membro
della SISSCo
Si indigna oggi, perché de Mattei propugna una lettura della storia diversa, evidentemente, da quella che piacerebbe ai membri della SISSCo. Che, invece,  essere rallegrarsi che qualcuno la pensi diversamente da loro, che non esiste in Italia un pensiero unico e che un rappresentante della minoranza cattolica vinca un premio di prestigio. De Mattei è una figura di storico quanto mai conosciuta. Wikipedia dice che

"Tra gli incarichi accademici ricoperti figura la cattedra di Storia Moderna presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Cassino; è attualmente docente di Storia Moderna e Storia del Cristianesimo presso l'Università Europea di Roma, istituto dei legionari di Cristo, dove è anche coordinatore del corso di laurea in Scienze Storiche.
Dal febbraio 2002 al maggio 2006 ha avuto l’incarico di Consigliere per le questioni internazionali del Governo Berlusconi II e III
Tra il 2004 e il 2007, e di nuovo a partire dal 2008 fino al 2011, è stato vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, con delega per il settore delle scienze umane.
È inoltre presidente della Fondazione Lepanto, membro dei consigli direttivi dell'Istituto Storico Italiano per l'Età Moderna e Contemporanea e della Società Geografica Italiana. Collabora inoltre con il Pontificio Comitato di Scienze Storiche. È direttore della rivista di storia contemporanea Nova Historica, del mensile Radici Cristiane e del settimanale Corrispondenza Romana".
Insomma, si tratta di una figura di livello internazionale (non fosse altro che c'è di mezzo il Vaticano) ma che male si confà con il profilo radical-chic, snob, della SISSCo.