In
un documento del Comitato Centrale del Pcus del marzo 1977 conservato presso l’Archivio
di Storia Sociale di Mosca [RGASPI] la dirigenza comunista sottolineava come lo
stesso CC avesse stabilito il 31 gennaio 1977 che la politica del partito
dovesse prestare grande attenzione allo sviluppo della democrazia socialista
sulla base delle decisioni approvate nel corso del XX congresso del partito,
nel plenum del partito del 1964 e nei successivi congressi, il XXIII, XXIV e
XXV. Restava fuori da questo elenco il XXII congresso, e non a caso. Nikita Chruschev
aveva denunciato il culto della personalità di Stalin davanti al XX Congresso, dando
inizio a una serie di riabilitazioni politiche e sociali, ma solo nel corso del
ben più incisivo e politicamente impegnativo XXII congresso (1961) era stata
indicata con chiarezza la natura dei crimini del passato regime. Il plenum dell’ottobre
1964, invece, coincideva con l’allontanamento di Chruscev dalla segreteria del
Pcus e i successivi Congressi si erano svolti sotto la direzione di Leonid Brezhnev
e del suo gruppo, moderatamente filostaliniano. Ancora negli anni Ottanta, del
resto, alcune riunioni del CC erano caratterizzate da una chiara volontà di non
porre in una luce negativa la figura del georgiano (e in quelle occasioni la
voce di un “giovane” Michail Gorbachev non era diversa da quella degli altri membri più anziani del
CC), della quale si distinguevano i meriti incommensurabili per la vittoria nel
corso della seconda guerra mondiale da quelle che erano considerate “distorsioni”
del regime, caratterizzate come “culto della personalità” ma non più come “crimini”.
Il XXII Congresso, insomma, attraversò la storia del Pcus, come se, per usare
le parole che chiudono Il giardino dei ciliegi, “non si fosse mai vissuto”.
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