Questo è l'intervento al convegno organizzato al Nuovo Cinema Palazzo dal titolo "Autobiografie e memorie del 900. Un contadino nella metropoli", che si svolge domani 27 marzo a Piazza dei Sanniti 9 (via dei Volsci).
Come
avete scritto nella presentazione di questo incontro, Primo Levi riteneva la
memoria umana uno strumento meraviglioso, ma fallace: “I ricordi che giacciono
in noi non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli
anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando
lineamenti estranei”.
Questo ci dice alcune
cose importanti: che la memoria è uno strumento, che però sbaglia, ossia,
spesso è inattendibile. La memoria, intesa come la capacità di ricordare gli
avvenimenti, è una macchina complessa che lavora per inclusioni ed esclusioni.
Strettamente collegato
a questo troviamo l’altro problema di cui si parla nella presentazione di
questo pomeriggio: l’autobiografia come fonte.
Si pone il problema delle
differenze sottese a ciascuna autobiografia, “specchio di diverse esperienze di
vita”. Ma ciò è ben più che naturale. Il vero problema, mi chiedo, non è forse
– come ho detto – che la memoria lavori per inclusioni ed esclusioni? Se è
così, appare secondario che nelle autobiografie ci siano differenze dovute alle
diverse esperienze di vita. perché ciò è normale. noi, invece, parliamo di
metodo prima che di contenuto.
E mi chiedo ancora: è vero
che “Un primo elemento di analisi applicabile a tutti i testi e, attinente in
realtà al genere autobiografico in generale, è il problema della memoria”?
La mia risposta è che
potrebbe esserlo, ma potrebbe anche non esserlo. Se io, nel momento in cui
scrivo una autobiografia, mi comporto come uno storico, e dunque inserisco documenti
a sostegno dei miei ricordi, che verifico constantemente, l’autobiografia cessa
di essere un problema della memoria.
In realtà la memoria è,
non solo e non soprattutto, il ricordo personale. ovvero: se potessi
intervistare tutti i partecipanti alla lotta armata degli anni settanta, mi
avvicinerei molto alla verità storica di quel periodo. La forchetta all’interno
della quale ricostruisco una vicenda sarebbe molto stretta. Ma un’operazione
del genere è complicata, al limite del possibile. Non mi fermo però a chiarire
perché. sono problemi di facile intuizione.
La memoria è anche il modo
in cui una generazione usa il ricordo, gli oggetti attraverso cui ricorda (che
trascendono la memoria personale) il luogo e il modo in cui questi oggetti sono
conservati e il momento in cui nella società scatta la possibilità che essi
diventino condivisibili. Che non è sinonimo di memoria condivisa, un concetto
politico che poco ha a che vedere con il lavoro dello storico e sul quale si
ritornerà. Condivisibili vuole dire “fruibili”, perché li si cerca, nella
società si accende intorno a loro un interesse e li si vuole vedere, conoscere,
valutare. ci si vuole confrontare.
In Italia tutti i tipi di
memoria degli anni settanta, tra cui la memoria incarnata nella cultura
materiale, non sono potuti diventare comune retaggio culturale. Non mi soffermo
sui motivi per cui questo è accaduto [l’elenco è lungo: posizione delle forze
politiche e dei loro eredi, posizione della stampa, delle associazioni dei
parenti delle vittime, delle istituzioni, ma anche del fatto che la storia
giudiziaria di alcuni ex ha perso progressivamente il carattere politico].
Perché ho parlato di “tipi di memoria”? Perché accanto alla memoria orale
troviamo quella materiale, che riveste un grande interesse nello studioso e una
grande importanza.
Ed è una memoria doppia:
vale per i combattenti, vale per – usando una definizione che neanche è del
tutto loro, perché non arrivano a tanto, ma ha un suo significato storiografico
preciso – la memoria delle vittime del terrore politico.
La
memoria degli oggetti, delle cose, così come ogni altra memoria, si divide in
privata e pubblica. privata è ciò che si conserva in famiglia in memoria di
coloro che sono morti. si tratta di oggetti lasciati da chi ha scelto la strada
della clandestinità, o da chi, non avendola scelta, è morto conducendo una vita
“normale”. Ma anche di tutti quegli oggetti conservati oggi di quel periodo da
chi ha passatto decine di anni in carcere. Gli oggetti di uso quotidiano, i regali
inviati a casa dal carcere.
La memoria pubblica è
invece composta da tre componenti principali: la prima è la collezione tematica
dei musei. La seconda sono le “cicatrici” della storia: luoghi dove sono state
eseguite, per esempio, stragi, o il cercere stesso. La terza è costituita dalle
lapidi commemorative e da singoli segni della memoria.
Una
raccolta di articoli di giornale riguardante un singolo episodio fa parte di
quella memoria privata che si conserva in famiglia, di norma in un luogo
appartato, da parte di una sola persona, che si è assunta l’incarico. Così come
le lettere, quaderni, materiale scritto che riporta la presenza della persona
morta. Vale per i militanti, vale per le vittime delle stragi, per quelle di
azioni militari (attentati). Si tratta di cose che vanno a costituire una
specie di archivio privato (se volete poi potrò tornare su un archivio che ho
rimesso in ordine a milano), ma che spesso restano lì. Non riescono a venire
alla luce, perché mancano nella società le condizioni per cui questo ciò
accada. per i parenti delle vittime, per esempio, si è dovuto attendere un
libro come “spingendo la notte più in là”, perché quelle memorie – al di là del
loro contenuto – fossero accettate dai circoli del mercato libraio italiano e
dai giornali come novità e quindi inizio di un nuovo genere. ma quanti anni ci
sono voluti?
Memoria
pubblica, che non c’entra qui con i giorni della memoria – legati strettamente
alla politica e non alla ricerca.
Collezioni
dei musei. Esiste un “Museo per la Memoria di Ustica”; per Bologna un archivio
virtuale. Poi ci sono i film, che è un modo strano per ricordare, ma rientrano
in questo genere. Le cicatrici della Storia sono i luoghi in cui si sono svolti
attentati, stragi, rivolte. Le piazze fotografate da Tano d’Amico, il circuito
dei camosci, i resti dell’aereo di Ustica, la crepa che ancora si vede nella
stazione ferroviaria di bologna.
Il
terzo sono i monumenti alle vittime. Prendiamo le lapidi che ricordano Pinelli,
come esempio. Due le troviamo in piazza fontana a pochi metri una dall’altra.
Una dice: “A Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, innocente morto
tragicamente nei locali della questura di Milano”. è del comune di milano.
l’altra: “A Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, ucciso innocente nei locali
della questura di Milano”. Gli studenti e i democratici milanesi, più un
intervento esterno.
Una
mano, in passato, ha corretto nel primo caso morto con ucciso. Si tratta di due
memorie: una pubblica, del comune, una privata resa pubblica, da parte di
“studenti e democratici milanesi”.
La
lapide di Bologna dice: 2 agosto 1980: vittime del terrorismo fascista. In più
l’orologio, fermo all’ora dell’attentato.
Per
piazza fontana:
IN QUESTA PIAZZA
LUOGO DI OPEROSI INCONTRI CIVILI
IL 12 DICEMBRE 1969
UN CRIMINOSO ATTENTATO
RECAVA TRAGICA SFIDA
ALLA CITTA' ED ALLE ISTITUZIONI
REPUBBLICANE
MILANO POPOLARE E DEMOCRATICA
ONORAVA CON DETERMINAZIONE
UNITARIA IL SACRIFICIO DELLE
VITTIME INNOCENTI MOBILITANDOSI
CONTRO L'ATTACCO EVERSIVO
E CONTRO OGNI TENTATIVO DI
AVVENTURISMO AUTORITARIO
A RICONFERMA DELL'ATTUALITA'
DEI VALORI DI LIBERTA' E GIUSTIZIA
CARDINI DEL RINNOVAMENTO
CIVILE E SOCIALE DEL PAESE
per
via fani e aldo moro, rispettivamente:
Oreste Leonardi, Francesco Zizzi, Domenico Ricci, Raffaele
Iozzino, Giulio Rivera. In questo luogo alle 9.05 del 16 marzo 1978 cinque
uomini fedeli allo Stato e alla democrazia sono stati uccisi con fredda ferocia
mentre adempivano il loro dovere.
Ecco cosa riporta la lapide di Moro in via Caetani:
Cinquantaquattro
giorni dopo il suo barbaro rapimento, venne ritrovato in questo luogo, la
mattina del 9 maggio 1978, il corpo crivellato di proiettili di Aldo Moro. Nato
a Maglie il 23 settembre 1916 professore ordinario dell’università di Roma
segretario politico e poi presidente della Democrazia Cristiana più volte
presidente del consiglio dei ministri della Repubblica italiana. Per oltre
trent’anni recò all’attività politica del paese rinato alla libertà e alla
democrazia il contributo impareggiabile della sua lucida intelligenza della
rettitudine morale di una squisita sensibilità capace di cogliere nella fedeltà
ai principi fermamente professati le varie esigenze emergenti nella società
italiana in rapida trasformazione. Il suo sacrificio freddamente voluto con
disumana ferocia da chi tentava inutilmente d'impedire l'attuazione di un
programma coraggioso e lungimirante a beneficio dell'intero popolo italiano
resterà quale monito e insegnamento a tutti i cittadini per un rinnovato
impegno di unità nazionale nella giustizia, nella pace, nel progresso sociale.
Il comune di Roma pose nel primo anno della morte.
Non
una parola, in entrambi i casi, sulle Brigate Rosse.
La
Memoria è sempre legata all’oblio. Cosa si sceglie di ricordare esclude ciò che
si decide di non ricordare.
C’è
poi la memoria che in realtà non lo è. Vi leggo cosa è stato scritto da
Repubblica in occasione del trentennale di via fani:
Quel che mette a disagio,
se ci si guarda intorno, è la memoria. Un'ingombrante memoria, in questo colle
di Roma, non aiuta quel po' di storia identitaria che abbiamo messo insieme
negli ultimi trent'anni. L'immagine del passato è ancora lì incorrotta come per
il ricordo dell'assassinio di JFK o dell'11 settembre. Non c'è chi non ricordi
dov'era e con chi in quel momento, che cosa disse e fece in quel momento
preciso quando seppe che cosa era accaduto a Roma. Non c'è chi non abbia ancora
negli occhi - al punto da poterne sentire ancora l'ansia - i parabrezza
frantumati, i fori neri nell'auto bianca, il corpo di Iozzino a braccia larghe
coperto da un lenzuolo bianco e la macchia di sangue sull'asfalto - densa,
scura - un caricatore vuoto accanto al marciapiede nel piano sequenza di 3
minuti e 12 secondi dell'operatore del Tg che accompagna la voce ansimante di
Paolo Frajese. Quel che non va è la storia, non la memoria. La storia, dopo
trent'anni, dovrebbe essere ferma, fissa in un ordine temporale chiuso e
ordinato, immobile, ragionevolmente condivisa alle nostre spalle e dovrebbe
essere deficit della memoria farsi abitualmente ondivaga, flessibile,
soggettiva, un po' falsaria. Per il "caso Moro" quest'equilibrio è
capovolto: la memoria è solida, resistente, "condivisa"; la storia è
fragile, contraddittoria, incerta, ancora precaria, quasi impedita dalla memoria.
Dalla memoria dei brigatisti che scrivono, parlano, raccontano tra silenzi e
omertà; la memoria di chi era al potere in quei giorni e ancora ha voce oggi:
più che parlare spiegando, dissimula, confonde reticente e ancora oggi nasconde
che cosa è stato.
Tutto
questo non ha nulla a che vedere con la memoria, per la quale il giornalista
intende il semplice ricordo. né con la storia. Le accuse sono buttate lì,
generiche, senza un nome, un fatto, un “fare i conti” con la storia. Tutto
troppo facile, come spesso accade.
prendiamo
una parte del discorso di Giorgio Napolitano in occasione del primo giorno
della memoria, il 9 maggio 2008, istituito dal parlamento italiano nel 2007.
anche qui troviamo degli importanti spunti di riflessione.
Questo
è il giorno del ricordo e del pubblico riconoscimento che l'Italia da tempo
doveva alle vittime del terrorismo. E' il giorno del sostegno morale e della
vicinanza umana che l'Italia sempre deve alle loro famiglie. Ed è il giorno
della riflessione su quel che il nostro paese ha vissuto in anni tra i più
angosciosi della sua storia e che non vuole mai più, in alcun modo,
rivivere.
Parlo del terrorismo serpeggiante in Italia a partire dalla fine
degli anni '60, e infine esploso come estrema degenerazione della violenza
politica ; parlo delle stragi di quella matrice e della lunga trama degli
attentati, degli assassinii, dei ferimenti che insanguinarono le nostre città.
L'obbiettivo che i gruppi terroristici così perseguivano era quello della
destabilizzazione e del rovesciamento dell'ordine costituzionale. Dedichiamo
l'incontro di oggi in Quirinale alle vittime di quell'attacco armato alla
Repubblica, che seminò ferocemente lutto e dolore.
Sappiamo che nell'istituire,
un anno fa, questo "Giorno della memoria" il Parlamento ha raccolto
diverse proposte, comprese quelle rivolte a onorare gli italiani, militari e
civili, caduti in anni recenti nel contesto delle missioni in cui il nostro
paese è impegnato a sostegno della pace e contro il terrorismo internazionale,
nemico insidioso capace di colpire anche a casa nostra. Alla loro memoria
rinnovo l'omaggio riconoscente delle istituzioni repubblicane e della nazione.
Sono certo che anche al loro sacrificio si rivolgerà pubblico omaggio nelle
manifestazioni e negli incontri cui darà luogo ovunque la celebrazione del
"Giorno della memoria". E colgo l'occasione per ricordare anche le
vittime causate da fatti di diversa natura, dal disastro di Ustica all'intrigo
delittuoso della Uno Bianca, ai caduti nell'adempimento del loro dovere e ai
semplici cittadini, uomini e donne, che hanno perso la vita in torbide
circostanze, su cui non sempre si è riusciti a fare pienamente chiarezza e
giustizia. Più in generale, mi inchino a tutti i caduti per la Patria, per la
libertà e per la legalità democratica, e dunque - come dimenticarle ! - alle
tante vittime della mafia e della criminalità organizzata.
Come
possiamo vedere, si tratta di un grande calderone, dove denominatori comuni
sono l’essere stati uccisi e l’essere italiani, civili o militari, in guerra o
in pace, non fa differenza. Però, qui viene per la prima volta nominata
l’organizzazione Brigate Rosse.
La
scelta della data per il "Giorno della memoria" è caduta per validi
motivi sull'anniversario dell'assassinio di Aldo Moro. Perché se nel periodo da
noi complessivamente considerato, si sono incrociate per qualche tempo diverse
trame eversive, da un lato di destra neofascista e di impronta reazionaria, con
connivenze anche in seno ad apparati dello Stato, dall'altro lato di sinistra
estremista e rivoluzionaria, non c'è dubbio che dominanti siano ben presto
diventate queste ultime, col dilagare del terrorismo delle Brigate Rosse. E il
bersaglio più alto e significativo che esso abbia raggiunto è stato il
Presidente della Democrazia Cristiana, sequestrato, tenuto prigioniero per
quasi due mesi e infine con decisione spietata ucciso.
Basterebbe un conto delle
vittime per definire il “tributo di sangue” (usiamo le loro parole) pagato per
mano delle BR meno incisivo di quello stragista, con un rapporto di uno a tre.
Si tratta forse di un riconoscimento della loro valenza politica, allora?
No, leggendo di seguito
non è così. ovviamente. La loro è una logica abberrante e Moro non viene
ricordato per aver detto che la DC non si sarebbe fatta processare in
parlamento o nelle piazze, ma perché aveva individuato
"manifestazioni di
violenza" che avevano "uno sfondo ideologico" e si collocavano
"tra la lotta politica e la lotta armata" ; di qui
l'"apprensione per il logoramento" cui erano "sottoposte le
istituzioni e le stesse grandi correnti ideali che credono nella
democrazia".
Sono costretto a fermarmi,
perché il tempo è terminato e forse sono andato oltre. Vorrei concludere con un cenno al libro di Prospero. Egli
dichiarò che nello scrivere la propria autobiografia avrebbe tentato di evitare
il senno di poi e di Raccontare attingendo a critiche, autocritiche, scomuniche,
valutazioni o giudizi maturati a posteriori. Avrebbe cercato di far riemergere
il filo dei pensieri e degli atti compiuti nel modo in cui, effettivamente
questi hanno attraversato e poi portato ad agire di conseguenza.
Un proposito difficile,
arduo da realizzare, ma di grande fascino. Il comportamento di chi, come detto,
si appresta a scrivere di se stesso con il rigore dello storico. Serve una
grande capacità di spersonalizzazione e di oggettivizzazione,
universalizzazione della materia e una vicenda cristallina alle spalle. Cose
che Prospero aveva.
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