Il Dalai Lama? Tramava con la Cia
di Claudio Guidi – Il Secolo XIX, 9 giugno 2012
BERLINO - Pregare a mani giunte per la pace in ogni angolo del mondo, davanti a migliaia di persone e sempre sotto l’occhio attento delle telecamere, fomentando sotto banco con l’aiuto della Cia la guerriglia per strappare il Tibet alla Cina.
Con un clamoroso scoop la Süddeutsche Zeitung rivela che proprio questo avrebbe fatto per anni il Dalai Lama all’insaputa del mondo intero, guadagnandosi anche il Nobel per la pace.
Nelle prime righe del suo lunghissimo articolo il giornale progressista ha posto un titolo feroce per la sua ambivalenza, “Heiliger Schein”, santa apparenza, alludendo al fatto che questa può spesso ingannare. A parlare dagli Stati Uniti di tutta questa incredibile vicenda è uno che la sa lunga, John Kenneth Knaus, un ex agente della Cia di 89 anni, che incontrò il Dalai Lama nel 1964 nel suo esilio indiano di Dharamsala: «Per lui ero l’anello di collegamento con la violenza, che come buddhista non poteva approvare», ha spiegato Knaus che nel frattempo ha concesso un’intervista anche alla regista americana Lisa Catheyper il suo film “La Cia in Tibet”, destinato a uscire entro l’anno. La Süddeutsche scrive che il film documenterà “una guerra estremamente sanguinosa e da tempo dimenticata, condotta in Tibet dal 1955 fino agli inizi degli Anni ’70 e in Nepal a partire dal 1959”.
Nel film Lisa Cathey rivela anche che suo padre fu uno degli istruttori militari dei guerriglieri tibetani in un campo situato nelle Montagne Rocciose del Colorado, una zona a tremila metri di altezza e coperta di neve, molto simile all’altopiano dell’Himalaya. Il giornale tedesco scrive che la Cia “addestrò i guerriglieri tibetani, rifornendoli con tonnellate di armi per la lotta contro il nemico comune, la Cina comunista”, versando annualmente 180 mila dollari come “aiuti finanziari al Dalai Lama”. Sarebbe anche dimostrato che due fratelli maggiori del Dalai Lama “avevano presto allacciato contatti con la Cia, diventata poi lo sponsor della guerriglia in Tibet”.
L’articolo con le clamorose rivelazioni è anche corredato da una foto particolarmente imbarazzante, scattata nel 1972, che ritrae il Dalai Lama mentre su una jeep passa in rassegna unità speciali tibetane dell’esercito indiano a Chakrala, nel Punjab.
Da un memorandum della Cia del 1968 emerge che “il programma per il Tibet è basato sugli impegni che il governo americano aveva assunto con il Dalai Lama dal 1951 al 1956”, l’anno in cui la Cia lanciò l’operazione “ST Circus”, che in codice stava per “Circo Tibet”.
L’obiettivo era di “mantenere in vita la concezione politica di un Tibet autonomo”, dopo l’occupazione da parte della Cina nel 1950, oltre all’impegno di creare “un potenziale di resistenza contro possibili evoluzioni politiche nella Cina comunista”.
A partire da quel momento, su un’isola dei Mari del Sud “la Cia addestrò i guerriglieri a sparare, uccidere, minare e costruire bombe”, con un fratello del Dalai Lama che fungeva da interprete. “Un bombardiere B-17 senza segni di riconoscimento, guidato da un pilota polacco e con un tecnico ceco lanciò subito dopo con il paracadute i primi combattenti sul Tibet”. Si trattava di miliziani che portavano al collo “un amuleto con l’immagine del Dalai Lama e una capsula di cianuro”, con cui suicidarsi nel caso fossero stati catturati dai cinesi.
Il giornale rivela che “accompagnato da guerriglieri addestrati dalla Cia, il Dalai Lama nella primavera del 1959 fuggì attraverso le montagne per cercare asilo in India, dove annunciò una rivolta non violenta”, ma “durante la fuga i suoi accompagnatori erano in contatto radio permanente con gli agenti della Cia”.
Il quotidiano tedesco aggiunge un’altra rivelazione. Nel Tibet meridionale, scrive ancora il giornalista “erano attivi ottantacinquemila guerriglieri, che con il nome di Chushi Grangdrug, quattro fiumi e sette montagne, operavano in piccole unità per attaccare la supremazia militare cinese, cooperando strettamente con la Cia”.
In una documentazione della Bbc citata dal giornale, un ex combattente tibetano fa addirittura un racconto allucinante per la sua truculenza, quando spiega che “abbiamo ammazzato più che potevamo. Quando uccidevamo un animale dicevamo una preghiera, ma quando ammazzavamo un cinese nemmeno una preghiera è uscita dalle nostre labbra”.
In un memorandum segreto della Cia è scritto che “la guida tibetana considera la truppa come il braccio paramilitare del governo in esilio”.
Le attività militari di guerriglia si conclusero negli anni ’70, dopo una visita segreta a Pechino dell’allora Segretario di Stato Herny Kissinger, mentre per la Cia il Dalai Lama continuava a rimanere “finanziariamente e politicamente del tutto dipendente dagli americani”. Terminata l’avventura militare, il capo religioso dei tibetani poté dedicarsi anima e corpo a diffondere nel mondo il suo messaggio pacifista.
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