giovedì 17 maggio 2012

TORTURA: UNA SOLA FAMIGLIA

CESARE BECCARIA
La tortura, com'è noto, in Italia non è reato. Sebbene siamo il paese di Cesare Beccaria, che nel suo famoso libro raccontò da grande storico la storia della Colonna Infame (alla quale si ispirò poi Manzoni), i nostri legislatori continuano a considerare la tortura un'entità a sé. Eppure di torturatori, in Italia, ne abbiamo sempre avuti. Di Stato, intendo, con la benedizione della Chiesa - nel '600,  o con quella dei ministeri incaricati dell'ordine pubblico - più tardi.
Un vezzo accomuna alcuni torturatori: cambiarsi nome e aggiungersi un titolo. Il Cioccia, torturatore di brigatisti, era noto come prof. De Tormentis.
Neanche tanto tempo prima, nel 1945 a Roma, un ex capitano dei carabinieri Alfredo Pizzitula  si fece   promotore dell’organizzazione di un centro culturale Italo-Greco.
Secondo il ministero degli Esteri Italiano non esistevano indicazioni contrarie alla sua presenza in tale organismo, che doveva contribuire a ristabilire buoni rapporti con la Grecia dopo la guerra e l'occupazione italiana. Era stato un bravo soldato. E invece, come scrive alla rappresentanza greca in Italia l’ex direttore del carcere "Averoff" di Atene (1943-43), che chiedeva l’anonimato (si chiamava Corti), il capitano dei CC era stato “l’anima bica e luridissima dell’ufficio contro spionaggio”. Secondo Corti, i detenuti greci condotti nella prigione di Averoff  erano spesso in condizioni pietose. “Nerbate sulla schiena; occhi pesti per i pugni ricevuti". Un "povero disgraziato", continua, "ebbe la spina dorsale rotta e tante altre ferocie da far inorridire il cuore più sensibile”. Inorridito da quanto aveva visto, Corti si era addirittura rivolto, lui che era un occupante, al ministro svizzero di Atene, M. De Bavier, che da quel momento visitò di frequente il carcere.
Il torturatore Pizzitula, ci informa Corti, era conosciuto dalle sue vittime come “dott. Nardelli”.

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